Quattro mostre a Lissone
Dal 01 Febbraio 2013 al 31 Dicembre 2013
Lissone | Milano
Luogo: Museo d’Arte Contemporanea
Indirizzo: viale Padania 6
Orari: martedì, mercoledì e venerdì 15-19; giovedì 15- 23; sabato e domenica 10-12/ 15-19
Curatori: Alberto Zanchetta, Federica Boràgina, Giulia Brivio
Enti promotori:
- Regione Lombardia
Costo del biglietto: ingresso gratuito
Telefono per informazioni: +39 039 7397368/ 039 2145174
E-Mail info: museo@comune.lissone.mb.it
Sito ufficiale: http://www.museolissone.it/
ISHMAEL «UNO È PITTORE» fino al 31 marzo
Nel 1969, in occasione della mostra Live in Your Head: When Attitudes Become Form, Harald Szeemann aveva redatto un diario in cui erano stati annotati tutti i preparativi e gli effetti suscitati dall'esposizione presso la Kunsthalle di Berna. Tra le tante invettive apparse sui giornali, in data 25 marzo Szeemann aveva trascritto sulle pagine del suo diario lo stralcio di un articolo pubblicato dal quotidiano Basler Nachrichten, che titolava: "Uno è pittore". In mezzo alla sessantina di artisti che parteciparono alla mostra - catalogati negli anni seguenti sotto l'egida dell'Arte concettuale, dell'Antiform, della Process Art, della Minimal Art, della Land Art e dell'Arte Povera - soltanto uno poteva essere annoverato nelle discipline tradizionali, quelle (appunto) pittoriche. Tra le forme d'arte, la pittura è sicuramente quella più soggetta alle oscillazioni del gusto, così come a segrete corrispondenze con le passioni, i desideri e le emozioni. Pochi mezzi espressivi possono suscitare reazioni tanto contrastanti, passando dal piacere allo sdegno, dall'attrazione alla riprovazione. Ma cosa sia la pittura è difficile a dirsi: che si tratti di un approccio, di un'attitudine oppure di una pratica che si affina nel tempo? Non v'è dubbio che si possano apprenderne i rudimenti e le relative tecniche, ma la pittura (in quanto opera) non può essere insegnata, né può essere spiegata con facilità. Sempre più spesso, alla pittura viene assegnato un luogo a par[e]te nei musei d'arte contemporanea, come se si volesse spodestarla della sua aura e dei suoi spazi istituzionali; sembra quasi che la pittura contemporanea sia diventata un non-luogo a procedere. Molto spesso i suoi detrattori finiscono per tacciarla come anacronistica, considerandola inattua[bi]le; in realtà la pittura è immortale: testimone dei secoli scorsi e del tempo presente. Il titolo della mostra, ripreso dall'incipit del Moby Dick di Melville («Call me Ishmael» / "Chiamatemi Ismaele"), assume la figura di Ishmael in qualità di testimone e di sopravissuto. Ma se il narratore di Melville è effettivamente un superstite, diverso è il caso della pittura contemporanea, la quale resiste, strenuamente e tenacemente, senza lasciarsi affossare dall'agone con la tela bianca - così come accade alla nave che affondava, inghiottita dall'abisso, dopo lo scontro con il grande Leviatano. La gran parte delle accuse mosse alla pittura nascono dall'invidia e dalla gelosia. Ostilità che cela un falso antagonismo, quasi sicuramente derivato dalla lunga tirannia con cui la pittura aveva tenuto in scacco ogni altra espressione artistica. Il progetto Ishmael è stato pensato in relazione con lo storico Premio Lissone, che dal 1946 fino al 1967 ha dato lustro alla pittura; nel museo, ove sono conservate alcune fondamentali opere di quegli anni, saranno accolti gli esiti più recenti e inattesi della pittura contemporanea. Nella sua capacità di reinventarsi, l'ars picta è infatti diventata una res extensa, passando dai vecchi canoni ai nuovi codici dell'arte. Nell'esposizione saranno coinvolti Emanuele Becheri, Matteo Fato, Dacia Manto e Luca Pozzi, le cui opere hanno delle tangenze con la pittura pur non essendo connotate instrictu sensu con tale disciplina. Soltanto un artista, quell'uno è pittore, darà prova del perdurare della pittura, dimostrando però come essa si sia rinnovata e contaminata con le altre discipline artistiche. Tra convergenze e ambivalenze, così come tra falsi indizi e prove tutt'altro che inconfutabili, i visitatori saranno tenuti a comprendere e a riconoscere la [r]esistenza della pittura. In modo non dissimile dalla mostra di Szeemann - che intendeva ampliare il concetto e la percezione dell'opera anziché cercare di definire o fissare l'arte - anche il progetto Ishmael si pone l'obiettivo di svincolare la pittura da una definizione tradizionale.
Omaggio a ANDREA DI MARCO un archeologo del moderno. Fino al 03 marzo
La mostra è un sentito e doveroso omaggio a Andrea Di Marco, artista scomparso lo scorso 2 novembre, all'età di 42 anni. Con Alessandro Bazan, Francesco De Grandi e Fulvio Di Piazza aveva dato vita alla Scuola di Palermo, sodalizio che tra la fine degli anni novanta e gli inizi del 2000 si era affermato sulla scena italiana. La consacrazione, che coincise con la mostra Palermo Blues inaugurata nel 2001 ai Cantieri Culturali alla Zisa di Palermo, lo aveva portato all'attenzione della critica e del pubblico per le sue emblematiche epifanie, che l'artista associava a periferie malinconiche e oggetti abbandonati. In modo pacato, curioso e minuzioso, Andrea Di Marco ha osservato la quotidianità, cercando di raccontarci la nostra realtà, la nostra vita, attraverso uno "sguardo incantato sul mondo". Sguardo che si fissava sui cascami della vita, sulle cose che rischiavano di non essere più viste, per troppa dimestichezza o per scarsa indulgenza. L'artista dipingeva oggetti impotenti, paralizzati, lasciati in balia di se stessi, che Marco Di Capua aveva descritto «senza lusso né lustro», perché umili, dimessi, oziosi, intrisi di un sereno patetismo. La pittura di Andrea Di Marco si caratterizzava inoltre per l'abbondante spremitura dei tubetti, per una pennellata larga e densa che conferiva solidità plastica alle immagini; il severo rigore formale dava a ogni suo soggetto un'evidente concretezza, gli restituiva profondità e luminosità, ponendosi in continuità con la storia dell'arte e la storia dell'umanità. Di Marco aveva compreso che la perenne obsolescenza del tempo presente sconfina spesso in un'archeologia del moderno, disseminando intorno a noi dei "relitti" monolitici-mitologici, usurati e logori. Lo stesso artista teneva a precisare che «di solito estraggo quei soggetti che hanno perso il loro valore di mercato: il loro progressivo abbandono mi rende piacevolmente malinconico». Mezzi di trasporto, cantieri edili, pompe di benzina, cisterne, cassonetti, saracinesche, giocattoli e cabine elettriche erano solo alcune delle immagini da lui predilette. Ma tutte queste "cose" dipinte da Di Marco non possono essere soltanto ciò che mostrano, descrivono infatti la realtà della pittura così come veniva da lui percepita. Alla resa dei conti, il soggetto dell'opera era (pur) sempre il pittore, il quale si dissimulava nei quadri, fin quasi a immedesimarsi negli oggetti: «La cosa più importante - confessava anni or sono - è il lavoro, dietro il quale io posso sparire». Sparire forse, ma non senza farsi sentire, non prima di farsi intendere, anche ora che la morte l'ha ghermito alla nostra presenza. Qualcuno ha tenuto a ricordare che l'artista amava definirsi un realista, ma la sua pittura apparteneva a un Realismo esente da impegni politici, sociali o ideologici; difficilmente sarebbe stato annoverato tra i Naturalisti, poteva semmai entrare nella cerchia dei Vedutisti, in virtù di quella sua "osservazione del vero" che era una necessità intima, personale. Ma a rigor di logica dovrebbe essere accreditato in un Verismo avulso da qualsivoglia retorica o propaganda, un Verismo tutto italiano - profondamente meridionale - che sapeva comunicare non la verità del mondo ma la verità del pittore, e dunque della pittura stessa. Questo è stato il senso, la scelta e l'impegno di Andrea di Marco. La mostra, allestita al pianterreno del Museo, presenterà un corpo di opere in cui sarà possibile scorrere alcuni dei temi prediletti da Di Marco, artista scomparso troppo prematuramente che ha sempre creduto nei valori della pittura.
Index G: Boîte. Fino al 03 marzo
Index G è una piccola rassegna incentrata sulle arti grafiche: dal disegno all'incisione, dall'illustrazione al fumetto, dal visual design alla pubblicità. Il primo ciclo di esposizioni sarà rivolto alle riviste d'arte che negli ultimi anni si sono distinte a livello nazionale. La progettualità dello spazio espositivo, ricavato all'interno del bookshop, verrà affidato allo staff di una redazione che deciderà le modalità di allestimento e il grado di coinvolgimento degli artisti. L'appuntamento di gennaio-marzo è stato affidato a Federica Boràgina e Giulia Brivio, fondatrici della rivista Boîte, periodico semestrale in tiratura di 250 copie numerate. Ogni numero di Boîte è monografico e si apre con un'analisi storica del tema trattato. Nel primo anno, al numero inaugurale dedicato a Marcel Duchamp, ne sono seguiti tre sulle tecniche artistiche: collage, disegno, fotografia. Nel secondo anno il tema affrontato è stato la smaterializzazione dell'opera d'arte: il mutamento chimico, l'arte relazionale, la sperimentazione sonora e un numero in chiusura per celebrare il viaggio. Scrivere è sempre nascondere qualcosa, affinché poi venga scoperto Italo Calvino Le parole sono tracce di pensieri complessi custoditi dentro la mente di ognuno. Ogni traccia annuncia un percorso composto, a sua volta, dalle parole allineate lungo i fili dell'intreccio. Boîte racchiude pensieri, trame e intrecci in bilico fra storia e contemporaneità.
A chi scrive e al lettore la scelta del filo da seguire.
In occasione di Index G, Boîte schiude le sue scatole e lascia uscire tutti i fili che in questi tre anni ha seguito, chiedendo a ogni collaboratore di scegliere il libro che predilige, non necessariamente d'arte, bensì il libro in cui ha scoperto qualcosa di importante.
Ciò che ne risulta è un intreccio, trama e ordito di un tessuto personalissimo, evocazione di incontri fisici e mentali, avvenuti dentro le pagine dei libri, dentro le scatole magiche dell'immaginazione. Scatola d'arte, di studi e di altri pensieri. Ecco che cosa è Boîte. Una rivista? Non propriamente.
Un oggetto da collezione? Talvolta.
Boîte è la concretizzazione della passione per l'arte e per la scrittura, di un percorso di studio continuo, di incontri e scontri fra diverse generazioni.
Boîte è una scatola: non-luogo abitato dalle idee.
Scrigno di parole studiate e cercate, con speranza? chiede al lettore tempo. Il tempo della lettura che è, per sua natura, il tempo della ricerca. Federica Boràgina (1986), specializzanda in storia dell'arte contemporanea all'Università Cattolica di Milano, è autrice del libro Fabio Mauri. Che cosa è, se è, l'ideologia nell'arte, edito da Rubbettino nel 2012. Giulia Brivio (1981), laureata in Scienze e Tecnologie delle Arti all'Università Cattolica, è Project Manager del Fiorucci Art Trust di Londra.
VETROFANIE. MICHELANGELO CONSANI MIRKO SMERDEL. Fino al 31 dicembre
Le vetrate del pianterreno ospiteranno il progetto In vitro che sarà visibile durante tutto l'anno, sia di giorno sia di notte. Per l'occasione verranno coinvolti otto artisti, ai quali è stato chiesto di elaborare altrettante immagini che il museo riprodurrà sottoforma di vetrofanie. Michelangelo Consani (Livorno, 1971 - vive e lavora a Castell'Anselmo) e Mirko Smerdel (Prato, 1978 - vive e lavora a Milano) sono gli autori delle prime due vetrofanie.
Nel 1969, in occasione della mostra Live in Your Head: When Attitudes Become Form, Harald Szeemann aveva redatto un diario in cui erano stati annotati tutti i preparativi e gli effetti suscitati dall'esposizione presso la Kunsthalle di Berna. Tra le tante invettive apparse sui giornali, in data 25 marzo Szeemann aveva trascritto sulle pagine del suo diario lo stralcio di un articolo pubblicato dal quotidiano Basler Nachrichten, che titolava: "Uno è pittore". In mezzo alla sessantina di artisti che parteciparono alla mostra - catalogati negli anni seguenti sotto l'egida dell'Arte concettuale, dell'Antiform, della Process Art, della Minimal Art, della Land Art e dell'Arte Povera - soltanto uno poteva essere annoverato nelle discipline tradizionali, quelle (appunto) pittoriche. Tra le forme d'arte, la pittura è sicuramente quella più soggetta alle oscillazioni del gusto, così come a segrete corrispondenze con le passioni, i desideri e le emozioni. Pochi mezzi espressivi possono suscitare reazioni tanto contrastanti, passando dal piacere allo sdegno, dall'attrazione alla riprovazione. Ma cosa sia la pittura è difficile a dirsi: che si tratti di un approccio, di un'attitudine oppure di una pratica che si affina nel tempo? Non v'è dubbio che si possano apprenderne i rudimenti e le relative tecniche, ma la pittura (in quanto opera) non può essere insegnata, né può essere spiegata con facilità. Sempre più spesso, alla pittura viene assegnato un luogo a par[e]te nei musei d'arte contemporanea, come se si volesse spodestarla della sua aura e dei suoi spazi istituzionali; sembra quasi che la pittura contemporanea sia diventata un non-luogo a procedere. Molto spesso i suoi detrattori finiscono per tacciarla come anacronistica, considerandola inattua[bi]le; in realtà la pittura è immortale: testimone dei secoli scorsi e del tempo presente. Il titolo della mostra, ripreso dall'incipit del Moby Dick di Melville («Call me Ishmael» / "Chiamatemi Ismaele"), assume la figura di Ishmael in qualità di testimone e di sopravissuto. Ma se il narratore di Melville è effettivamente un superstite, diverso è il caso della pittura contemporanea, la quale resiste, strenuamente e tenacemente, senza lasciarsi affossare dall'agone con la tela bianca - così come accade alla nave che affondava, inghiottita dall'abisso, dopo lo scontro con il grande Leviatano. La gran parte delle accuse mosse alla pittura nascono dall'invidia e dalla gelosia. Ostilità che cela un falso antagonismo, quasi sicuramente derivato dalla lunga tirannia con cui la pittura aveva tenuto in scacco ogni altra espressione artistica. Il progetto Ishmael è stato pensato in relazione con lo storico Premio Lissone, che dal 1946 fino al 1967 ha dato lustro alla pittura; nel museo, ove sono conservate alcune fondamentali opere di quegli anni, saranno accolti gli esiti più recenti e inattesi della pittura contemporanea. Nella sua capacità di reinventarsi, l'ars picta è infatti diventata una res extensa, passando dai vecchi canoni ai nuovi codici dell'arte. Nell'esposizione saranno coinvolti Emanuele Becheri, Matteo Fato, Dacia Manto e Luca Pozzi, le cui opere hanno delle tangenze con la pittura pur non essendo connotate instrictu sensu con tale disciplina. Soltanto un artista, quell'uno è pittore, darà prova del perdurare della pittura, dimostrando però come essa si sia rinnovata e contaminata con le altre discipline artistiche. Tra convergenze e ambivalenze, così come tra falsi indizi e prove tutt'altro che inconfutabili, i visitatori saranno tenuti a comprendere e a riconoscere la [r]esistenza della pittura. In modo non dissimile dalla mostra di Szeemann - che intendeva ampliare il concetto e la percezione dell'opera anziché cercare di definire o fissare l'arte - anche il progetto Ishmael si pone l'obiettivo di svincolare la pittura da una definizione tradizionale.
Omaggio a ANDREA DI MARCO un archeologo del moderno. Fino al 03 marzo
La mostra è un sentito e doveroso omaggio a Andrea Di Marco, artista scomparso lo scorso 2 novembre, all'età di 42 anni. Con Alessandro Bazan, Francesco De Grandi e Fulvio Di Piazza aveva dato vita alla Scuola di Palermo, sodalizio che tra la fine degli anni novanta e gli inizi del 2000 si era affermato sulla scena italiana. La consacrazione, che coincise con la mostra Palermo Blues inaugurata nel 2001 ai Cantieri Culturali alla Zisa di Palermo, lo aveva portato all'attenzione della critica e del pubblico per le sue emblematiche epifanie, che l'artista associava a periferie malinconiche e oggetti abbandonati. In modo pacato, curioso e minuzioso, Andrea Di Marco ha osservato la quotidianità, cercando di raccontarci la nostra realtà, la nostra vita, attraverso uno "sguardo incantato sul mondo". Sguardo che si fissava sui cascami della vita, sulle cose che rischiavano di non essere più viste, per troppa dimestichezza o per scarsa indulgenza. L'artista dipingeva oggetti impotenti, paralizzati, lasciati in balia di se stessi, che Marco Di Capua aveva descritto «senza lusso né lustro», perché umili, dimessi, oziosi, intrisi di un sereno patetismo. La pittura di Andrea Di Marco si caratterizzava inoltre per l'abbondante spremitura dei tubetti, per una pennellata larga e densa che conferiva solidità plastica alle immagini; il severo rigore formale dava a ogni suo soggetto un'evidente concretezza, gli restituiva profondità e luminosità, ponendosi in continuità con la storia dell'arte e la storia dell'umanità. Di Marco aveva compreso che la perenne obsolescenza del tempo presente sconfina spesso in un'archeologia del moderno, disseminando intorno a noi dei "relitti" monolitici-mitologici, usurati e logori. Lo stesso artista teneva a precisare che «di solito estraggo quei soggetti che hanno perso il loro valore di mercato: il loro progressivo abbandono mi rende piacevolmente malinconico». Mezzi di trasporto, cantieri edili, pompe di benzina, cisterne, cassonetti, saracinesche, giocattoli e cabine elettriche erano solo alcune delle immagini da lui predilette. Ma tutte queste "cose" dipinte da Di Marco non possono essere soltanto ciò che mostrano, descrivono infatti la realtà della pittura così come veniva da lui percepita. Alla resa dei conti, il soggetto dell'opera era (pur) sempre il pittore, il quale si dissimulava nei quadri, fin quasi a immedesimarsi negli oggetti: «La cosa più importante - confessava anni or sono - è il lavoro, dietro il quale io posso sparire». Sparire forse, ma non senza farsi sentire, non prima di farsi intendere, anche ora che la morte l'ha ghermito alla nostra presenza. Qualcuno ha tenuto a ricordare che l'artista amava definirsi un realista, ma la sua pittura apparteneva a un Realismo esente da impegni politici, sociali o ideologici; difficilmente sarebbe stato annoverato tra i Naturalisti, poteva semmai entrare nella cerchia dei Vedutisti, in virtù di quella sua "osservazione del vero" che era una necessità intima, personale. Ma a rigor di logica dovrebbe essere accreditato in un Verismo avulso da qualsivoglia retorica o propaganda, un Verismo tutto italiano - profondamente meridionale - che sapeva comunicare non la verità del mondo ma la verità del pittore, e dunque della pittura stessa. Questo è stato il senso, la scelta e l'impegno di Andrea di Marco. La mostra, allestita al pianterreno del Museo, presenterà un corpo di opere in cui sarà possibile scorrere alcuni dei temi prediletti da Di Marco, artista scomparso troppo prematuramente che ha sempre creduto nei valori della pittura.
Index G: Boîte. Fino al 03 marzo
Index G è una piccola rassegna incentrata sulle arti grafiche: dal disegno all'incisione, dall'illustrazione al fumetto, dal visual design alla pubblicità. Il primo ciclo di esposizioni sarà rivolto alle riviste d'arte che negli ultimi anni si sono distinte a livello nazionale. La progettualità dello spazio espositivo, ricavato all'interno del bookshop, verrà affidato allo staff di una redazione che deciderà le modalità di allestimento e il grado di coinvolgimento degli artisti. L'appuntamento di gennaio-marzo è stato affidato a Federica Boràgina e Giulia Brivio, fondatrici della rivista Boîte, periodico semestrale in tiratura di 250 copie numerate. Ogni numero di Boîte è monografico e si apre con un'analisi storica del tema trattato. Nel primo anno, al numero inaugurale dedicato a Marcel Duchamp, ne sono seguiti tre sulle tecniche artistiche: collage, disegno, fotografia. Nel secondo anno il tema affrontato è stato la smaterializzazione dell'opera d'arte: il mutamento chimico, l'arte relazionale, la sperimentazione sonora e un numero in chiusura per celebrare il viaggio. Scrivere è sempre nascondere qualcosa, affinché poi venga scoperto Italo Calvino Le parole sono tracce di pensieri complessi custoditi dentro la mente di ognuno. Ogni traccia annuncia un percorso composto, a sua volta, dalle parole allineate lungo i fili dell'intreccio. Boîte racchiude pensieri, trame e intrecci in bilico fra storia e contemporaneità.
A chi scrive e al lettore la scelta del filo da seguire.
In occasione di Index G, Boîte schiude le sue scatole e lascia uscire tutti i fili che in questi tre anni ha seguito, chiedendo a ogni collaboratore di scegliere il libro che predilige, non necessariamente d'arte, bensì il libro in cui ha scoperto qualcosa di importante.
Ciò che ne risulta è un intreccio, trama e ordito di un tessuto personalissimo, evocazione di incontri fisici e mentali, avvenuti dentro le pagine dei libri, dentro le scatole magiche dell'immaginazione. Scatola d'arte, di studi e di altri pensieri. Ecco che cosa è Boîte. Una rivista? Non propriamente.
Un oggetto da collezione? Talvolta.
Boîte è la concretizzazione della passione per l'arte e per la scrittura, di un percorso di studio continuo, di incontri e scontri fra diverse generazioni.
Boîte è una scatola: non-luogo abitato dalle idee.
Scrigno di parole studiate e cercate, con speranza? chiede al lettore tempo. Il tempo della lettura che è, per sua natura, il tempo della ricerca. Federica Boràgina (1986), specializzanda in storia dell'arte contemporanea all'Università Cattolica di Milano, è autrice del libro Fabio Mauri. Che cosa è, se è, l'ideologia nell'arte, edito da Rubbettino nel 2012. Giulia Brivio (1981), laureata in Scienze e Tecnologie delle Arti all'Università Cattolica, è Project Manager del Fiorucci Art Trust di Londra.
VETROFANIE. MICHELANGELO CONSANI MIRKO SMERDEL. Fino al 31 dicembre
Le vetrate del pianterreno ospiteranno il progetto In vitro che sarà visibile durante tutto l'anno, sia di giorno sia di notte. Per l'occasione verranno coinvolti otto artisti, ai quali è stato chiesto di elaborare altrettante immagini che il museo riprodurrà sottoforma di vetrofanie. Michelangelo Consani (Livorno, 1971 - vive e lavora a Castell'Anselmo) e Mirko Smerdel (Prato, 1978 - vive e lavora a Milano) sono gli autori delle prime due vetrofanie.
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