Jack Sal. Ring/Rings/Ring - Daniele D'Acquisto. Strings
Dal 01 Febbraio 2014 al 09 Marzo 2014
Lissone | Milano
Luogo: MAC - Museo d'Arte Contemporanea di Lissone
Indirizzo: viale Padania 6
Orari: martedì, mercoledì e venerdì 15-19; giovedì 15-23; sabato e domenica 10-12/ 15-19
Curatori: Alberto Zanchetta
Costo del biglietto: ingresso gratuito
Telefono per informazioni: +39 039 2145174
E-Mail info: museo@comune.lissone.mb.it
Sito ufficiale: http://www.comune.lissone.mb.it
L’esperienza minimalista e concettuale di Jack Sal [Waterbury, 1954] è caratterizzata da una sensibilità tipicamente europea, tesa a scardinare i presupposti ideologici del Modernismo; l’artista realizza interventi sitespecific in cui la reiterazione di un modulo crea un “campo di accadimenti”. Ring/Rings/Ring è la logica conseguenza di una performance realizzata nel giugno 2011, in occasione della 54a Biennale di Venezia. Al Caffè Quadri, in Piazza San Marco, l’artista ha disegnato dei cerchi usando inchiostro, caffè e latte su fogli di carta fotografica autosviluppante. Quel segno bidimensionale ed elementare è stato poi convertito in forme plastiche, ossia in una serie di ceramiche al terzo fuoco di cui l’artista si serve per articolare l’ambiente espositivo. Attraverso i “rings” Sal realizza dei wall-paintings che scandiscono lo spazio e la luce, stabilendo una relazione anche con lo spettatore e i suoi spostamenti all’interno del museo. Seppur riduca al minimo la manualità, l’artista valorizza le qualità basilari della pittura limitandosi a dipingere con colori primari che seguono il contorno delle sculture, stabilendo così una relazione tra oggetto/immagine/opera d’arte. Nella sala video, quattro filmati approfondiscono la ricerca estetica e teorica di Sal: Re/Place (1999) documenta un’installazione permanente nella Max Weber Platz di Monaco; White/Wash II (2006) racconta la storia di un monumento ideato nella città polacca di Kielce per le vittime del Pogrom; De/Portees (2010) è dedicato alla memoria dei deportati italiani; Via Bixio (2010) mostra una sequenza di fotogrammi incentrati su spazi minimi, dentro e fuori lo studio dell’artista.
La ricerca di Daniele D’Acquisto [Taranto, 1978] si interroga sulla zona liminale che separa ciò che è reale da ciò che è ideale; in pratica l’artista intende tradurre dei concetti in oggetti, mettendo in contiguità il piano fenomenico con il livello neurologico, iacché immaginare o vedere una cosa stimola le medesime aree del cervello. Con un approccio analitico e tecnicista l’artista intende trasformare l’arte in una scienza sperimentale; ne sono una dimostrazione le sue Strings, le quali sviluppano l’idea di una “proliferazione della forma” che si appropria dello spazio, espandendosi in esso per definirne le parti. «Quando siamo in un ambiente vuoto», spiega l’artista, «ne percepiamo il potenziale inespresso. Le stringhe hanno la funzione di esprimere quel potenziale, raccordando le parti e formulando ipotesi sulla forma». Almeno idealmente, l’opera può svilupparsi all’infinito, come fosse un Ouroboros o un moderno Laocoonte. Progettata come un work in progress, l’installazione disegna una traiettoria atta a connettere, stringere e far aderire oggetti molto diversi tra loro, rendendoli parte di uno “spazio organicamente strutturato” anziché di un semplice “ambiente genericamente definito”. La particolare attenzione verso gli aspetti strutturali del proprio lavoro ha indotto l’artista a cimentarsi con questioni di carattere iconologico e formale, lambiccandosi soprattutto sul concetto di rappresentazione attraverso un processo di astrazione cognitiva che è in sé una rappresentazione della realtà stessa, la cui veridicità esisterebbe unicamente nel mondo delle idee.
La ricerca di Daniele D’Acquisto [Taranto, 1978] si interroga sulla zona liminale che separa ciò che è reale da ciò che è ideale; in pratica l’artista intende tradurre dei concetti in oggetti, mettendo in contiguità il piano fenomenico con il livello neurologico, iacché immaginare o vedere una cosa stimola le medesime aree del cervello. Con un approccio analitico e tecnicista l’artista intende trasformare l’arte in una scienza sperimentale; ne sono una dimostrazione le sue Strings, le quali sviluppano l’idea di una “proliferazione della forma” che si appropria dello spazio, espandendosi in esso per definirne le parti. «Quando siamo in un ambiente vuoto», spiega l’artista, «ne percepiamo il potenziale inespresso. Le stringhe hanno la funzione di esprimere quel potenziale, raccordando le parti e formulando ipotesi sulla forma». Almeno idealmente, l’opera può svilupparsi all’infinito, come fosse un Ouroboros o un moderno Laocoonte. Progettata come un work in progress, l’installazione disegna una traiettoria atta a connettere, stringere e far aderire oggetti molto diversi tra loro, rendendoli parte di uno “spazio organicamente strutturato” anziché di un semplice “ambiente genericamente definito”. La particolare attenzione verso gli aspetti strutturali del proprio lavoro ha indotto l’artista a cimentarsi con questioni di carattere iconologico e formale, lambiccandosi soprattutto sul concetto di rappresentazione attraverso un processo di astrazione cognitiva che è in sé una rappresentazione della realtà stessa, la cui veridicità esisterebbe unicamente nel mondo delle idee.
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