Antonio Guccione. From Jesus to Yves Saint Laurent
Dal 11 Febbraio 2014 al 31 Marzo 2014
Milano
Luogo: Galleria Bianca Maria Rizzi & Matthias Ritter
Indirizzo: via Tertulliano 70
Orari: da martedì a sabato 15-19
Telefono per informazioni: +39 347 3100295
E-Mail info: info@galleriabiancamariarizzi.com
Sito ufficiale: http://www.galleriabiancamariarizzi.com
Da Carla Bruni a Elle McPherson, da Francesca Neri a Andie MacDowell, Antonio Guccione ha fotografato le donne più belle del mondo. Protagonisti dei suoi ritratti sono le icone della cultura e dello show biz: Alberto Moravia e Arnaldo Pomodoro; Federico Fellini, Giorgio Armani e Richard Gere. E sono ritratti inconfondibili, intensamente pittorici, figli di una voglia unica di giocare e di sperimentare. Sdoppiamenti e travestimenti, scorci di intimità e trionfi su tempestosi cieli tiepoleschi. E poi ci sono le foto di moda. Già all’esordio, poco più che ragazzo, si fa notare per i grafismi geometrici, per il modo in cui le forme, nelle sue mani, attraverso il suo obiettivo, perdono l’ovvietà della propria realtà per diventare materiale nuovo. E per i colori accesi, rutilanti, zuccherosi. Foto di moda, dunque, ma dove il soggetto va oltre la semplice valorizzazione estetica per diventare strumento in una partitura di impeccabile armonia. Artista, dunque. A tutti gli effetti. In fondo, la svolta che in questi ultimi anni lo ha portato verso una fotografia diversa non è poi così drastica come sembra alla prima occhiata. I suoi teschi sono, ancora, ritratti. Che lui racconta con l’entusiasmo di un ragazzino e con quegli occhi mobilissimi scintillanti di orgoglio.
Il primo, un imponente Benito Mussolini, nasce quasi per caso. Guccione fotografa questo oggetto da un’angolazione ribassata, ne fa un monumento su un fondo dai colori caldi, vagamente aciduli. La somiglianza si coglie dopo. E lui, l’artista, con la sua consueta prontezza ad afferrare lo spunto e la sua voglia di giocare, ci prende gusto. La serie nasce così. E la somiglianza di ogni soggetto al suo teschio – perché la somiglianza c’è, sul serio, al netto di tutto ciò che viene aggiunto – ora la ottiene affidando la realizzazione della materia prima (il teschio, appunto) a un’azienda tedesca che si basa sul volto reale per intuire le fattezze del cranio. Il gioco è al tempo stesso pop e profondamente concettuale, ma ogni ritratto è unico, anche per procedimento, significati, simbolismi e associazioni. Ecco Andy Warhol. Con l’immancabile parrucchino, certo, ma anche virato in un rosso sanguigno. Ci guarda dritto negli occhi e lo sguardo, potremmo giurarlo, è proprio il suo: scanzonato e sornione al tempo stesso. Ecco Jackson Pollock, il cui teschio pare liquefarsi in un dripping di fluidi colori puri. Ecco un Leonardo da Vinci citazionista. La lunga barba fluente attaccata pelo per pelo. Già, perché Guccione è un purista, postproduzione e Photoshop sono usati in maniera minima, omeopatica, verrebbe da dire. Quello che l’occhio vede nelle sue fotografie è stato messo lì dalle sue mani. Sculture vere e proprie, insomma, che poi l’artista distrugge perché quello che conta è la foto, la testimonianza. E poi del resto è proprio questo che le Vanitas ci insegnano, no? Che nulla resta.
Ritratto dopo ritratto il gioco lo prende. Lui cambia stile, amplia la sfida. Marilyn Monroe inclina la testa, e basta quell’angolazione minima a illuminare tutto di una luce tragica (ancorché sia uno dei pochi scatti dominati dal bianco) e a trasformare il solco dell’osso in una lacrima. Frida Kahlo si sdoppia per raccontare il dramma della sua prigionia in un letto e l’ossessione degli autoritratti allo specchio, e i due teschi, issati su terribili colonne vertebrali di metallo, inalberano un roseo bouquet in cima alla testa. I fiori di Frida, sì, ma anche una stridente nota di colore nel buio. Antoine de Saint-Exupéry è immerso nell’acqua, circondato dai pesci. Il Piccolo Principe, con il suo inconfondibile mantello foderato di rosso, è un bambolotto sullo sfondo. Questo è forse il lavoro più pittorico – con una costruzione teatrale degli spazi – e al tempo stesso più narrativo. Uno spunto ancora diverso sta alla base del ritratto dei Beatles. Guccione parte dalla copertina dell’album Beatlemania, del 1963, e mantenendo intatta l’impostazione ad angolo e il fondo nero trasforma in teschi i volti di John Lennon e George Harrison, lasciando identici i visi degli altri due componenti del gruppo. E poi ci sono i mistici. Jesus come un’apparizione virata in seppia con la corona di spine appoggiata direttamente sul cranio, Gandhi – l’unico a figura intera – avvolto nella sua tunica candida e Martin Luther King: teschio nero abbandonato su un giaciglio a stelle e strisce. Luca della Robbia è uno dei ritratti più intensi e struggenti. Il più potente e il più denso per simbolismi e significati. Il teschio è opera dello stesso Luca della Robbia: una straordinaria scultura in ceramica che risale al 1482. Accanto, come in una natura morta, quattro limoni che però si rivelano fatti di cera. Il fondo è di un nero vellutato e profondo, impenetrabile. La sensazione è quella di un silenzio sospeso.
Il percorso si chiude con un ritratto a Yves Saint-Laurent in cui l’artista si concede un meritato omaggio a se stesso. Frontale e decisamente sorridente, il teschio dello stilista francese di origine algerina indossa i tipici occhiali (quelli veri!) che hanno reso il suo volto un simbolo e si appoggia fiero su un volume – un pezzo di storia – a lui dedicato e firmato da Marguerite Duras. Intorno, come in una visione di Bergman, danzano nere silhouette femminili ritagliate sulle più belle foto di moda di Antonio Guccione. Tout se tient, insomma. Mentre il falò delle Vanitas continua a bruciare, tra malinconia e note glamour.
Alessandra Redaelli
Durante la sua carriera Antonio Guccione ha lavorato con le più prestigiose riviste di moda, creando importanti campagne pubblicitarie per Gucci, Prada, Versace, Officine Panerai e molti altri.
Negli ultimi anni sono state molte anche le pubblicazioni di libri dedicate alle sue opere. Tra le più importanti sono da ricordare ABSOLUTE STATEHOOD, FACES OF NEW YORK, FASHION AND FACES.
Antonio Guccione ha ritratto alcuni dei personaggi più celebri dell’ultimo secolo, tra i quali Richard Gere, Dustin Hoffman, Kate Moss, Tyra Banks, Giorgio Armani, Federico Fellini, Roberto Bolle.
Ha inoltre curato la regia di Alma by Karl Lagerfeld, Giovanni Paolo II e Faces of New York. Le sue opere sono esposte nei più grandi musei e gallerie d’arte del mondo.
La sua ultima fatica fotografica è la serie SKULLS, un viaggio e una profonda riflessione sulla caducità della vita attraverso la vanitas; mette on stage teschi ispirati ai grandi del passato (recente e non) e personalizzati con ciò che li ha resi celebri e immortali attraverso gli anni o i secoli.
Il primo, un imponente Benito Mussolini, nasce quasi per caso. Guccione fotografa questo oggetto da un’angolazione ribassata, ne fa un monumento su un fondo dai colori caldi, vagamente aciduli. La somiglianza si coglie dopo. E lui, l’artista, con la sua consueta prontezza ad afferrare lo spunto e la sua voglia di giocare, ci prende gusto. La serie nasce così. E la somiglianza di ogni soggetto al suo teschio – perché la somiglianza c’è, sul serio, al netto di tutto ciò che viene aggiunto – ora la ottiene affidando la realizzazione della materia prima (il teschio, appunto) a un’azienda tedesca che si basa sul volto reale per intuire le fattezze del cranio. Il gioco è al tempo stesso pop e profondamente concettuale, ma ogni ritratto è unico, anche per procedimento, significati, simbolismi e associazioni. Ecco Andy Warhol. Con l’immancabile parrucchino, certo, ma anche virato in un rosso sanguigno. Ci guarda dritto negli occhi e lo sguardo, potremmo giurarlo, è proprio il suo: scanzonato e sornione al tempo stesso. Ecco Jackson Pollock, il cui teschio pare liquefarsi in un dripping di fluidi colori puri. Ecco un Leonardo da Vinci citazionista. La lunga barba fluente attaccata pelo per pelo. Già, perché Guccione è un purista, postproduzione e Photoshop sono usati in maniera minima, omeopatica, verrebbe da dire. Quello che l’occhio vede nelle sue fotografie è stato messo lì dalle sue mani. Sculture vere e proprie, insomma, che poi l’artista distrugge perché quello che conta è la foto, la testimonianza. E poi del resto è proprio questo che le Vanitas ci insegnano, no? Che nulla resta.
Ritratto dopo ritratto il gioco lo prende. Lui cambia stile, amplia la sfida. Marilyn Monroe inclina la testa, e basta quell’angolazione minima a illuminare tutto di una luce tragica (ancorché sia uno dei pochi scatti dominati dal bianco) e a trasformare il solco dell’osso in una lacrima. Frida Kahlo si sdoppia per raccontare il dramma della sua prigionia in un letto e l’ossessione degli autoritratti allo specchio, e i due teschi, issati su terribili colonne vertebrali di metallo, inalberano un roseo bouquet in cima alla testa. I fiori di Frida, sì, ma anche una stridente nota di colore nel buio. Antoine de Saint-Exupéry è immerso nell’acqua, circondato dai pesci. Il Piccolo Principe, con il suo inconfondibile mantello foderato di rosso, è un bambolotto sullo sfondo. Questo è forse il lavoro più pittorico – con una costruzione teatrale degli spazi – e al tempo stesso più narrativo. Uno spunto ancora diverso sta alla base del ritratto dei Beatles. Guccione parte dalla copertina dell’album Beatlemania, del 1963, e mantenendo intatta l’impostazione ad angolo e il fondo nero trasforma in teschi i volti di John Lennon e George Harrison, lasciando identici i visi degli altri due componenti del gruppo. E poi ci sono i mistici. Jesus come un’apparizione virata in seppia con la corona di spine appoggiata direttamente sul cranio, Gandhi – l’unico a figura intera – avvolto nella sua tunica candida e Martin Luther King: teschio nero abbandonato su un giaciglio a stelle e strisce. Luca della Robbia è uno dei ritratti più intensi e struggenti. Il più potente e il più denso per simbolismi e significati. Il teschio è opera dello stesso Luca della Robbia: una straordinaria scultura in ceramica che risale al 1482. Accanto, come in una natura morta, quattro limoni che però si rivelano fatti di cera. Il fondo è di un nero vellutato e profondo, impenetrabile. La sensazione è quella di un silenzio sospeso.
Il percorso si chiude con un ritratto a Yves Saint-Laurent in cui l’artista si concede un meritato omaggio a se stesso. Frontale e decisamente sorridente, il teschio dello stilista francese di origine algerina indossa i tipici occhiali (quelli veri!) che hanno reso il suo volto un simbolo e si appoggia fiero su un volume – un pezzo di storia – a lui dedicato e firmato da Marguerite Duras. Intorno, come in una visione di Bergman, danzano nere silhouette femminili ritagliate sulle più belle foto di moda di Antonio Guccione. Tout se tient, insomma. Mentre il falò delle Vanitas continua a bruciare, tra malinconia e note glamour.
Alessandra Redaelli
Durante la sua carriera Antonio Guccione ha lavorato con le più prestigiose riviste di moda, creando importanti campagne pubblicitarie per Gucci, Prada, Versace, Officine Panerai e molti altri.
Negli ultimi anni sono state molte anche le pubblicazioni di libri dedicate alle sue opere. Tra le più importanti sono da ricordare ABSOLUTE STATEHOOD, FACES OF NEW YORK, FASHION AND FACES.
Antonio Guccione ha ritratto alcuni dei personaggi più celebri dell’ultimo secolo, tra i quali Richard Gere, Dustin Hoffman, Kate Moss, Tyra Banks, Giorgio Armani, Federico Fellini, Roberto Bolle.
Ha inoltre curato la regia di Alma by Karl Lagerfeld, Giovanni Paolo II e Faces of New York. Le sue opere sono esposte nei più grandi musei e gallerie d’arte del mondo.
La sua ultima fatica fotografica è la serie SKULLS, un viaggio e una profonda riflessione sulla caducità della vita attraverso la vanitas; mette on stage teschi ispirati ai grandi del passato (recente e non) e personalizzati con ciò che li ha resi celebri e immortali attraverso gli anni o i secoli.
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