Aqua Aura. Ephémera: colei che vive un solo giorno
Dal 26 Settembre 2014 al 29 Novembre 2014
Genova
Luogo: Studio Clelia Belgrado - VisionQuesT contemporary photography
Indirizzo: piazza Invrea 4/r
Curatori: Alessandro Trabucco
Telefono per informazioni: +39 010 2468771
E-Mail info: info@visionquest.it
Sito ufficiale: http://www.visionquest.it
L’Ephemera è un insetto che vive un solo giorno, la sua esistenza si svolge in sole 24 ore attraversando tutte le fasi e completando questo cammino in un brevissimo lasso di tempo.
Il nome stesso, in italiano Effimera, è diventato nel linguaggio comune sinonimo di qualcosa di temporaneo ed evanescente, la cui inconsistenza ne dimostra la totale precarietà del suo stato fisico.
Aqua Aura ci illustra, con alcune delle opere in mostra, la sua personale interpretazione della contemporaneità, sia da un punto di vista che potremmo definire sociologico, sia più specificatamente poetico.
Nella sua visione oggettiva ed anche disincantata della nostra epoca, esse sono la metafora perfetta di una condizione che potrebbe avere due distinti, ma in qualche modo equivalenti, significati, a seconda dei presupposti sui quali basano le proprie effettive ragioni essenziali.
L’artista pone innanzitutto l’accento sulle qualità positive (ed esteticamente poetiche) di ciò che può apparire labile e rarefatto, come fossero caratteristiche indicative di una situazione di totale delicatezza e temporaneità, una sorta di omaggio alla fragilità delle cose, alla loro impossibilità di permanenza nel mondo e alla conseguente ed inesorabile decadenza.
L’altra accezione, se vogliamo dai risvolti negativi, prende spunto dalle teorie della “Modernità liquida” di Zygmunt Bauman per poi esprimere una più approfondita e personale riflessione sulla produzione e sulla fruizione delle immagini nella nostra era cosiddetta “social”, dove la velocità di ricambio e la necessità di mantenere costante, se non sempre maggiore, la tensione visiva, può comprometterne la qualità intrinseca stessa, tanto da non permettere più la creazione di potenziali “icone”, dalla forza espressiva inalterabile e resistente al passare del tempo, ma una brodaglia indifferenziata di raffigurazioni mediocri che rivelano piuttosto tutta la loro inconsistenza di contenuti e di significati, non tanto nelle forme che propongono quanto nella mancanza di reali necessità espressive dalle quali prendono origine.
Aqua Aura sembra quindi manifestare, attraverso le proprie opere, questa tendenza alla dissoluzione ed alla fugacità, le sue opere rappresentano forme allo stesso tempo ben definite e morbide (sfere ed ovali) ed irregolari, come le bolle di sapone generate da un soffio leggero e che nella sua immaginazione racchiudono, come preziosi e fragilissimi scrigni trasparenti, delle nuvole spumose e soffici, la cui compattezza e resistenza dipendono solo da un alito di vento o da un lieve cambiamento energetico, da un’alterazione della pressione o anche solo da una semplice volontà di dissolvimento nell’atmosfera circostante, come a volersi annullare nell’aria per far parte di una realtà più grande ed invisibile, l’universo intero, quello reale e fisico ma soprattutto quello mentale della volontà creatrice dell’artista.
Questa esposizione personale, realizzata presso lo Studio Clelia Belgrado (VisionQuesT contemporary photography) di Genova, è l’esempio concreto dell’impermanenza della forma e della labilità delle cose immaginata dall’artista. Le figure ricercate da Aqua Aura diventano la metafora stessa della mutazione continua, sono oggetti impalpabili e molli, fluttuanti nel vuoto, paradossalmente leggeri, in quanto racchiudono mondi e realtà distinguibili ben definite, ma allo stesso tempo evanescenti, oceani solidi in perenne trasformazione. Lo stesso allestimento diventa prova pratica di questa precarietà fisica. La contrapposizione tra la staticità delle immagini fotografiche presentate dell’artista e la selva di palloncini galleggianti all’interno dello spazio espositivo rende visivamente esperibile la trasformazione, solo simbolica, rappresentata dalle opere. Il fattore temporale diventa determinante a questo proposito: con il passare dei giorni l’aria contenuta da queste forme volanti, più o meno sferiche, perderà la propria forza centrifuga modificando in continuazione la percezione complessiva della loro disposizione, divenendo traccia e memoria di una esperienza estetica che non esiste più. I palloncini si sgonfieranno completamente e perderanno la loro forma, giaceranno al suolo conservando solo il ricordo di un evento vissuto solo dai primi spettatori, lasciando all’immaginazione di ciascuno dei successivi la ricostruzione mentale di ciò che è stato e che ormai non è più.
Questo forte contrasto diventa, nell’economia dell’esposizione, l’elemento cardine sul quale ruota la peculiare poetica dell’artista espressa in questo progetto Ephémera, forse l’allegoria della vita, la fragilità dell’esistenza terrena, destinata a durare solo l’istante stesso in cui se ne prenda veramente una piena e consapevole coscienza.
Il nome stesso, in italiano Effimera, è diventato nel linguaggio comune sinonimo di qualcosa di temporaneo ed evanescente, la cui inconsistenza ne dimostra la totale precarietà del suo stato fisico.
Aqua Aura ci illustra, con alcune delle opere in mostra, la sua personale interpretazione della contemporaneità, sia da un punto di vista che potremmo definire sociologico, sia più specificatamente poetico.
Nella sua visione oggettiva ed anche disincantata della nostra epoca, esse sono la metafora perfetta di una condizione che potrebbe avere due distinti, ma in qualche modo equivalenti, significati, a seconda dei presupposti sui quali basano le proprie effettive ragioni essenziali.
L’artista pone innanzitutto l’accento sulle qualità positive (ed esteticamente poetiche) di ciò che può apparire labile e rarefatto, come fossero caratteristiche indicative di una situazione di totale delicatezza e temporaneità, una sorta di omaggio alla fragilità delle cose, alla loro impossibilità di permanenza nel mondo e alla conseguente ed inesorabile decadenza.
L’altra accezione, se vogliamo dai risvolti negativi, prende spunto dalle teorie della “Modernità liquida” di Zygmunt Bauman per poi esprimere una più approfondita e personale riflessione sulla produzione e sulla fruizione delle immagini nella nostra era cosiddetta “social”, dove la velocità di ricambio e la necessità di mantenere costante, se non sempre maggiore, la tensione visiva, può comprometterne la qualità intrinseca stessa, tanto da non permettere più la creazione di potenziali “icone”, dalla forza espressiva inalterabile e resistente al passare del tempo, ma una brodaglia indifferenziata di raffigurazioni mediocri che rivelano piuttosto tutta la loro inconsistenza di contenuti e di significati, non tanto nelle forme che propongono quanto nella mancanza di reali necessità espressive dalle quali prendono origine.
Aqua Aura sembra quindi manifestare, attraverso le proprie opere, questa tendenza alla dissoluzione ed alla fugacità, le sue opere rappresentano forme allo stesso tempo ben definite e morbide (sfere ed ovali) ed irregolari, come le bolle di sapone generate da un soffio leggero e che nella sua immaginazione racchiudono, come preziosi e fragilissimi scrigni trasparenti, delle nuvole spumose e soffici, la cui compattezza e resistenza dipendono solo da un alito di vento o da un lieve cambiamento energetico, da un’alterazione della pressione o anche solo da una semplice volontà di dissolvimento nell’atmosfera circostante, come a volersi annullare nell’aria per far parte di una realtà più grande ed invisibile, l’universo intero, quello reale e fisico ma soprattutto quello mentale della volontà creatrice dell’artista.
Questa esposizione personale, realizzata presso lo Studio Clelia Belgrado (VisionQuesT contemporary photography) di Genova, è l’esempio concreto dell’impermanenza della forma e della labilità delle cose immaginata dall’artista. Le figure ricercate da Aqua Aura diventano la metafora stessa della mutazione continua, sono oggetti impalpabili e molli, fluttuanti nel vuoto, paradossalmente leggeri, in quanto racchiudono mondi e realtà distinguibili ben definite, ma allo stesso tempo evanescenti, oceani solidi in perenne trasformazione. Lo stesso allestimento diventa prova pratica di questa precarietà fisica. La contrapposizione tra la staticità delle immagini fotografiche presentate dell’artista e la selva di palloncini galleggianti all’interno dello spazio espositivo rende visivamente esperibile la trasformazione, solo simbolica, rappresentata dalle opere. Il fattore temporale diventa determinante a questo proposito: con il passare dei giorni l’aria contenuta da queste forme volanti, più o meno sferiche, perderà la propria forza centrifuga modificando in continuazione la percezione complessiva della loro disposizione, divenendo traccia e memoria di una esperienza estetica che non esiste più. I palloncini si sgonfieranno completamente e perderanno la loro forma, giaceranno al suolo conservando solo il ricordo di un evento vissuto solo dai primi spettatori, lasciando all’immaginazione di ciascuno dei successivi la ricostruzione mentale di ciò che è stato e che ormai non è più.
Questo forte contrasto diventa, nell’economia dell’esposizione, l’elemento cardine sul quale ruota la peculiare poetica dell’artista espressa in questo progetto Ephémera, forse l’allegoria della vita, la fragilità dell’esistenza terrena, destinata a durare solo l’istante stesso in cui se ne prenda veramente una piena e consapevole coscienza.
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