Elisabetta Falqui. Ho fame
Dal 21 Febbraio 2014 al 16 Marzo 2014
Cagliari
Luogo: Centro Comunale d’Arte e Cultura Exmà
Indirizzo: via San Lucifero 71
Orari: da martedì a sabato 9-13 / 16-20
Curatori: Roberta Vanali
Costo del biglietto: € 3
Telefono per informazioni: +39 070 666399
E-Mail info: exma@tiscali.it
Sito ufficiale: http://www.camuweb.it
Venerdì 21 febbraio alle 18.30 nella Sala della Torretta del Centro Comunale d’Arte e Cultura Exmà di Cagliari inaugura Ho fame, la personale di Elisabetta Falqui, realizzata a cura di Roberta Vanali.
Visitabile sino al 16 marzo, Ho fame propone una serie di opere tra fotografie in b/n di medie e grandi dimensioni, un video, un’installazione e due neon, che esplorano le problematiche relative al rapporto col cibo. La mostra è stata esposta nell’ottobre 2013 a Firenze, presso la Galleria la Corte Arte Contemporanea di Rosanna Tempestini Frizzi.
Dagli affreschi di Pompei alle innumerevoli versioni dell’Ultima cena, dalle nature morte tra ‘500 e ‘700 alle osterie di Carracci, ma anche i banchetti di Bruegel, i ritratti surreali di Arcimboldo e le scene di vita contadina di Van Gogh, fino ad arrivare agli accumuli di caramelle di Felix Gonzales-Torres passando per i cibi griffati di Warhol e l’artificazione del cibo nelle performance Fluxus – è quanto afferma la curatrice della mostra Roberta Vanali - Arte-Cibo è un binomio inscindibile ed è interminabile l’elenco delle opere in cui lo si contempla come mezzo espressivo che diviene metafora della realtà.
Potente veicolo di comunicazione, il cibo come fonte creativa, come rituale ma soprattutto come metafora dell’esistenza è anche oggetto cinematografico: magnificamente opulento per Buñuel, grottesco strumento di morte per Ferreri, sotto forma di cultura da mangiare per Pasolini. In un’epoca in cui non si può prescindere dalle diete e dall’ossessione per i cibi sani, in tempi in cui gli chef s’impongono come star e il culto del corpo arriva a esasperata e morbosa ricerca della perfezione, per Elisabetta Falqui il cibo è una necessità per decodificare e interpretare significati simbolici partendo da esso come fonte di nutrimento e strumento di aggregazione sociale e confluire nel concetto che ruota intorno all’impossibilità di soddisfare il desiderio.
Ecco che il cibo diventa ossessione poiché unico appagamento delle frustrazioni più recondite e la magrezza, sinonimo di bellezza nella società occidentale, è associata all’illusione della felicità. Identificabile in un preciso stile di vita alimentare e quindi sociale, per l’artista l’ossessione del cibo rappresenta la crisi e il fallimento dell’uomo contemporaneo immerso in un’esistenza alienante. Il corpo come luogo di riflessione diventa quindi racconto di una patologia e il cibo da nutrimento si trasforma in disturbo compulsivo. Il tramite espressivo per Elisabetta Falqui è la fotografia e in questa il corpo riveste un ruolo centrale.
Dalle immagini patinate attinte dall’universo mediatico passa in questo frangente a un rigoroso bianco e nero che rivela una realtà più tormentata. Le intime sofferenze di una percezione distorta della fisicità, di un rapporto perverso con il proprio corpo. La fame d’amore e il senso di inadeguatezza sono il risultato delle installazioni al neon associate alla costante che contraddistingue la sua dimensione concettuale, ovvero il susseguirsi forsennato di pensieri contraddittori, a tratti deliranti che profilano la complessa e inquietante relazione tra donne e cibo, un mantra che diventa assillo, tormento, incubo: “ho fame, mangio non mangio, mangio questo e basta, poi inizio la dieta, da lunedì sarò a dieta, sono grassa non posso guardarmi allo specchio, mangio, ho fame non ho fame, non mi piaccio, ma se lo mangio non sarà questo a farmi ingrassare, poi vado a correre, devo dimagrire ma ho fame, ho sempre fame, non voglio ingrassare, mangio meno, mangio questo e basta...”.
Elisabetta Falqui nasce a Cagliari, dove vive e lavora. Dal 2002 contribuisce alla diffusione dell’arte contemporanea esponendo le sue opere in mostre personali e collettive. Compiuti gli studi superiori, si laurea nella Facoltà di Economia e Commercio di Cagliari. Figlia di artista (sua madre è Maria Grazia Oppo), persegue sin da piccola la sua passione per il disegno e l'arte. Dopo le prime sperimentazioni con le tecniche della xilografia e linoleumgrafia, si dedica alla pittura informale utilizzando acrilici e smalti su tele di grandi dimensioni. Successivamente sperimenta diverse tecniche e percorsi differenti, utilizzando la fotografia, la grafica e materiali diversi quali plexiglas, latta e legno smaltati. Attratta dal mondo della moda, attualmente la sua ricerca si concentra su una analisi del fashion, del consumismo sfrenato, del possedere e dell'apparire, che ha condizionato la sua ultima produzione. Ha lavorato con diverse gallerie quali La Corte Arte Contemporanea, la galleria Tornabuoni di Firenze e la galleria Spazio 20 di Cagliari. Ha esposto in diversi spazi tra cui La Vetreria e il Lazzaretto a Cagliari. Ha partecipato, attraverso la Fondazione per l'Arte Contemporanea Bartoli-Felter, a diverse mostre collettive.
Visitabile sino al 16 marzo, Ho fame propone una serie di opere tra fotografie in b/n di medie e grandi dimensioni, un video, un’installazione e due neon, che esplorano le problematiche relative al rapporto col cibo. La mostra è stata esposta nell’ottobre 2013 a Firenze, presso la Galleria la Corte Arte Contemporanea di Rosanna Tempestini Frizzi.
Dagli affreschi di Pompei alle innumerevoli versioni dell’Ultima cena, dalle nature morte tra ‘500 e ‘700 alle osterie di Carracci, ma anche i banchetti di Bruegel, i ritratti surreali di Arcimboldo e le scene di vita contadina di Van Gogh, fino ad arrivare agli accumuli di caramelle di Felix Gonzales-Torres passando per i cibi griffati di Warhol e l’artificazione del cibo nelle performance Fluxus – è quanto afferma la curatrice della mostra Roberta Vanali - Arte-Cibo è un binomio inscindibile ed è interminabile l’elenco delle opere in cui lo si contempla come mezzo espressivo che diviene metafora della realtà.
Potente veicolo di comunicazione, il cibo come fonte creativa, come rituale ma soprattutto come metafora dell’esistenza è anche oggetto cinematografico: magnificamente opulento per Buñuel, grottesco strumento di morte per Ferreri, sotto forma di cultura da mangiare per Pasolini. In un’epoca in cui non si può prescindere dalle diete e dall’ossessione per i cibi sani, in tempi in cui gli chef s’impongono come star e il culto del corpo arriva a esasperata e morbosa ricerca della perfezione, per Elisabetta Falqui il cibo è una necessità per decodificare e interpretare significati simbolici partendo da esso come fonte di nutrimento e strumento di aggregazione sociale e confluire nel concetto che ruota intorno all’impossibilità di soddisfare il desiderio.
Ecco che il cibo diventa ossessione poiché unico appagamento delle frustrazioni più recondite e la magrezza, sinonimo di bellezza nella società occidentale, è associata all’illusione della felicità. Identificabile in un preciso stile di vita alimentare e quindi sociale, per l’artista l’ossessione del cibo rappresenta la crisi e il fallimento dell’uomo contemporaneo immerso in un’esistenza alienante. Il corpo come luogo di riflessione diventa quindi racconto di una patologia e il cibo da nutrimento si trasforma in disturbo compulsivo. Il tramite espressivo per Elisabetta Falqui è la fotografia e in questa il corpo riveste un ruolo centrale.
Dalle immagini patinate attinte dall’universo mediatico passa in questo frangente a un rigoroso bianco e nero che rivela una realtà più tormentata. Le intime sofferenze di una percezione distorta della fisicità, di un rapporto perverso con il proprio corpo. La fame d’amore e il senso di inadeguatezza sono il risultato delle installazioni al neon associate alla costante che contraddistingue la sua dimensione concettuale, ovvero il susseguirsi forsennato di pensieri contraddittori, a tratti deliranti che profilano la complessa e inquietante relazione tra donne e cibo, un mantra che diventa assillo, tormento, incubo: “ho fame, mangio non mangio, mangio questo e basta, poi inizio la dieta, da lunedì sarò a dieta, sono grassa non posso guardarmi allo specchio, mangio, ho fame non ho fame, non mi piaccio, ma se lo mangio non sarà questo a farmi ingrassare, poi vado a correre, devo dimagrire ma ho fame, ho sempre fame, non voglio ingrassare, mangio meno, mangio questo e basta...”.
Elisabetta Falqui nasce a Cagliari, dove vive e lavora. Dal 2002 contribuisce alla diffusione dell’arte contemporanea esponendo le sue opere in mostre personali e collettive. Compiuti gli studi superiori, si laurea nella Facoltà di Economia e Commercio di Cagliari. Figlia di artista (sua madre è Maria Grazia Oppo), persegue sin da piccola la sua passione per il disegno e l'arte. Dopo le prime sperimentazioni con le tecniche della xilografia e linoleumgrafia, si dedica alla pittura informale utilizzando acrilici e smalti su tele di grandi dimensioni. Successivamente sperimenta diverse tecniche e percorsi differenti, utilizzando la fotografia, la grafica e materiali diversi quali plexiglas, latta e legno smaltati. Attratta dal mondo della moda, attualmente la sua ricerca si concentra su una analisi del fashion, del consumismo sfrenato, del possedere e dell'apparire, che ha condizionato la sua ultima produzione. Ha lavorato con diverse gallerie quali La Corte Arte Contemporanea, la galleria Tornabuoni di Firenze e la galleria Spazio 20 di Cagliari. Ha esposto in diversi spazi tra cui La Vetreria e il Lazzaretto a Cagliari. Ha partecipato, attraverso la Fondazione per l'Arte Contemporanea Bartoli-Felter, a diverse mostre collettive.
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