Al via il conto alla rovescia per l’edizione 2019
May you live in interesting times: la Biennale di Ralph Rugoff
Il curatore Ralph Rugoff e il presidente Paolo Baratta. Courtesy Biennale di Venezia
Francesca Grego
17/07/2018
Venezia - “May you live in interesting times”, recita con un pizzico d’ironia il proverbio scelto come titolo per la prossima edizione della Biennale: un detto divenuto famoso nell’Inghilterra dei turbolenti anni Trenta, attribuito alla tradizione del Celeste Impero da Sir Austen Chamberlain e in seguito da Bob Kennedy, ma che in verità non è né antico né cinese.
Strizza l’occhio a un presente in bilico tra invenzione e realtà la Biennale di Ralph Rugoff, e punta l’attenzione sugli anni di trasformazioni, crisi e incertezze che stiamo vivendo: “tempi interessanti”, appunto, da guardare oltre i luoghi comuni e con il coraggio di “abbracciare le contraddizioni”. È questa la ricetta della 58° Esposizione Internazionale d’Arte di Venezia appena presentata.
Sarà una rassegna all’insegna della sorpresa, dell’apertura e del pensiero critico quella che visiteremo presso i Giardini e l’Arsenale dall’11 maggio al 24 novembre 2019, che vedrà confermata la consueta formula dei padiglioni nazionali affiancati da una selezione di eventi collaterali proposti da istituzioni internazionali. Un invito a interrogarci su “come definiamo i nostri confini culturali”, a dispetto dei muri materiali e immateriali che sembrano innalzarsi in ogni angolo del globo.
“In un’epoca in cui la diffusione digitale di fake news e di ‘fatti alternativi’ mina il dibattito politico e la fiducia su cui questo si fonda, vale la pena fermarsi, se possibile, per rimettere in discussione i nostri punti di riferimento”, ha spiegato Rugoff, che affida all’arte il compito di recuperare la complessità smarrita sfidando “il conformismo della semplicità”.
Oggi “le cose cambiano in modo imprevedibile”, ha proseguito il curatore statunitense, che dal 2006 dirige la Hayward Gallery di Londra: “la Brexit è stata un evento inatteso, gli USA hanno eletto Trump, un presidente che nessuno pronosticava, in Europa sono nati governi proto fascisti, non succedeva dagli anni Trenta. Il dialogo tra opposti sembra impossibile, e Internet ha agevolato questo scenario: oggi posso scegliere di avere sul mio smartphone solo le notizie che mi piacciono”.
Tocca dunque all’arte aiutarci a riconfigurare il nostro pensiero sviluppando la capacità di guardare la realtà da prospettive multiple. La Biennale 2019 metterà in discussione categorie oggi tanto ovvie da risultare invisibili, grazie all’attitudine degli artisti a dare ai fatti nuovi significati. Saranno gli stessi artisti a diventare a loro volta curatori, proponendo l’opera dei propri colleghi con “un passaparola più efficace di un comitato di esperti”.
“Sono convinto che l’arte sia una conversazione, prima tra l’artista e la sua opera, poi tra l’opera e il pubblico, e infine tra pubblici diversi”, sostiene Rugoff, “In una mostra l’importante non è l’oggetto esposto, ma è come uscendo si possa vedere il mondo in maniera diversa”.
È proprio questo approccio all’esperienza artistica il fulcro del progetto curatoriale, che pertanto non avrà un tema specifico. L’obiettivo sarà invece offrire ai visitatori un saggio “del profondo coinvolgimento, trasporto e apprendimento creativo che l’arte rende possibili attraverso incontri essenzialmente ludici, perché è quando giochiamo che siamo più compiutamente umani. Questo significherà curare anche gli aspetti del formato della Mostra, ove possibile, per far sì che sia in linea con il carattere dell’arte che verrà presentata”. Una particolare attenzione sarà dedicata anche al rapporto con le architetture dell’Arsenale e dei Giardini, due luoghi unici che hanno conquistato l’interesse di Rugoff.
L’apertura che richiama alla mente il progetto di Harald Szemaann per la Biennale del 1999, come ha ricordato il presidente Paolo Baratta, aggiungendo: “Noi siamo fedeli al principio che l’istituzione deve essere una macchina del desiderio volta a tenere sempre alto e fermo il bisogno di vedere di più, di quel vedere di più nel quale ci aiuta l’arte. Ma allo stesso tempo la Biennale deve essere il luogo nel quale il singolo visitatore sia fortemente stimolato a confrontarsi con l’opera d’arte. L’istituzione, i luoghi, le opere convocate dal Curatore, la loro dislocazione nello spazio, il clima che l’istituzione sa creare, tutto deve concorrere a costruire condizioni favorevoli perché il visitatore si senta ingaggiato di fronte alla singola opera che incontra, quasi fosse su una pedana per un incontro di scherma”.
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• Venezia: è Ralph Rugoff il direttore della Biennale 2019
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Sarà una rassegna all’insegna della sorpresa, dell’apertura e del pensiero critico quella che visiteremo presso i Giardini e l’Arsenale dall’11 maggio al 24 novembre 2019, che vedrà confermata la consueta formula dei padiglioni nazionali affiancati da una selezione di eventi collaterali proposti da istituzioni internazionali. Un invito a interrogarci su “come definiamo i nostri confini culturali”, a dispetto dei muri materiali e immateriali che sembrano innalzarsi in ogni angolo del globo.
“In un’epoca in cui la diffusione digitale di fake news e di ‘fatti alternativi’ mina il dibattito politico e la fiducia su cui questo si fonda, vale la pena fermarsi, se possibile, per rimettere in discussione i nostri punti di riferimento”, ha spiegato Rugoff, che affida all’arte il compito di recuperare la complessità smarrita sfidando “il conformismo della semplicità”.
Oggi “le cose cambiano in modo imprevedibile”, ha proseguito il curatore statunitense, che dal 2006 dirige la Hayward Gallery di Londra: “la Brexit è stata un evento inatteso, gli USA hanno eletto Trump, un presidente che nessuno pronosticava, in Europa sono nati governi proto fascisti, non succedeva dagli anni Trenta. Il dialogo tra opposti sembra impossibile, e Internet ha agevolato questo scenario: oggi posso scegliere di avere sul mio smartphone solo le notizie che mi piacciono”.
Tocca dunque all’arte aiutarci a riconfigurare il nostro pensiero sviluppando la capacità di guardare la realtà da prospettive multiple. La Biennale 2019 metterà in discussione categorie oggi tanto ovvie da risultare invisibili, grazie all’attitudine degli artisti a dare ai fatti nuovi significati. Saranno gli stessi artisti a diventare a loro volta curatori, proponendo l’opera dei propri colleghi con “un passaparola più efficace di un comitato di esperti”.
“Sono convinto che l’arte sia una conversazione, prima tra l’artista e la sua opera, poi tra l’opera e il pubblico, e infine tra pubblici diversi”, sostiene Rugoff, “In una mostra l’importante non è l’oggetto esposto, ma è come uscendo si possa vedere il mondo in maniera diversa”.
È proprio questo approccio all’esperienza artistica il fulcro del progetto curatoriale, che pertanto non avrà un tema specifico. L’obiettivo sarà invece offrire ai visitatori un saggio “del profondo coinvolgimento, trasporto e apprendimento creativo che l’arte rende possibili attraverso incontri essenzialmente ludici, perché è quando giochiamo che siamo più compiutamente umani. Questo significherà curare anche gli aspetti del formato della Mostra, ove possibile, per far sì che sia in linea con il carattere dell’arte che verrà presentata”. Una particolare attenzione sarà dedicata anche al rapporto con le architetture dell’Arsenale e dei Giardini, due luoghi unici che hanno conquistato l’interesse di Rugoff.
L’apertura che richiama alla mente il progetto di Harald Szemaann per la Biennale del 1999, come ha ricordato il presidente Paolo Baratta, aggiungendo: “Noi siamo fedeli al principio che l’istituzione deve essere una macchina del desiderio volta a tenere sempre alto e fermo il bisogno di vedere di più, di quel vedere di più nel quale ci aiuta l’arte. Ma allo stesso tempo la Biennale deve essere il luogo nel quale il singolo visitatore sia fortemente stimolato a confrontarsi con l’opera d’arte. L’istituzione, i luoghi, le opere convocate dal Curatore, la loro dislocazione nello spazio, il clima che l’istituzione sa creare, tutto deve concorrere a costruire condizioni favorevoli perché il visitatore si senta ingaggiato di fronte alla singola opera che incontra, quasi fosse su una pedana per un incontro di scherma”.
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