Intervista al regista de Le Ninfee di Monet. Un incantesimo di acqua e luce, nelle sale il 26, 27 e 28 novembre
Con Giovanni Troilo nell'universo incantato di Claude Monet
Una scena dal set Le Ninfee di Monet. Un incantesimo di acqua e luce. Courtesy Nexo Digital
Samantha De Martin
16/11/2018
Roma - «Il nostro viaggio esperienziale alla scoperta di Monet inizia a Étretat, davanti a Elisa Lasowski avvolta dalla nebbia di un’alba quasi surreale. A lei spetta il compito di dissolverla accompagnando lo spettatore alla scoperta di luoghi, opere e vicende del maestro. Tutto il film è un costante processo di scoperta del personaggio, frutto di tre anni di ricerche, e che, per quanto mi riguarda, ha trovato il suo più emozionante compimento durante le riprese in una sera di giugno. Mentre giravamo a Giverny, un lunghissimo tramonto accompagnava il nostro viaggio a bordo della barca sulla quale Claire Hélène Marron, giardiniera della Fondation Monet, remava».
Mentre Giovanni Troilo racconta, dall’altra parte del telefono, la sua esperienza da regista del film Le Ninfee di Monet. Un incantesimo di acqua e luce - il nuovo film prodotto da Ballandi Arts e Nexo Digital, nelle sale in collaborazione con TIMVISION Production solo il 26, 27 e 28 novembre - sembra quasi di vederla la troupe fluttuare avvolta da quell’universo incantato cucito dal maestro che più di ogni altro ha saputo anticipare i moderni espedienti cinematografici con i suoi affascinanti time-laps, in quel geniale, simultaneo intreccio di spazio e di tempo.
Una bella sfida la scelta di voler riprodurre sul grande schermo la magia dei colori del maestro della luce. Ma Troilo della fotografia è sapiente artigiano. Fotografo ancor prima che regista, si muove tra i mondi del cinema, della televisione, dell’editoria e della pubblicità iniziando a girare e a fotografare da molto giovane e collezionando importanti collaborazioni.
A cosa è dovuta la scelta di Monet, artista del quale si sa già tanto?
«C’era una storia emblematica della sua potentissima vita, che più degli altri aneddoti ed episodi legati alla sua esistenza mi ha particolarmente affascinato e che si prestava ad essere raccontata. Questo geniale maestro che nell’ultima fase della sua vita, all’apice del successo, ha perso quasi tutto, la moglie, il primogenito e persino il suo regno vegetale, mi affascinava. La storia cinematografica sembrava già scritta».
Entriamo nella trama. Quando l’ex Primo Ministro Francese, George Clemenceau, amico del pittore, arriva a Giverny, trova parecchie tele accatastate nella cantina della ricca abitazione in cui è ospite. Molte rappresentano fiori esotici, presentati per la prima volta all’Esposizione Universale di Parigi del 1889. Il giardino, lo stagno, le tele che rendono unica quella casa sono opere di Claude Monet, il padre dell’Impressionismo. Sarà sempre Clemenceau, nel 1927, a inaugurare finalmente, cinque mesi dopo la morte di Monet, il museo dedicato alla Grand Décoration.
Per raccontare la vita del padre dell’Impressionismo si è scelto di seguire materialmente il corso della Senna.
«Seguendo il percorso del fiume abbiamo voluto raccontare, come in una metafora, la tortuosa vita del maestro. Si è trattato di un vero e proprio viaggio fisico, iniziato tra i magnifici panorami di Étretat e conclusosi a Parigi passando per Argenteuil. Un itinerario sviluppatosi quasi interamente a bordo di un battello. È nata un’empatia assolutamente naturale con la storia e con il personaggio e spero che il film riesca a trasmetterla».
A Giverny, nel tempio sacro dell’Impressionismo, si compie il secondo atto che approfondisce l’ossessione dell’artista per l’acqua e per gli elementi vegetali. «Abbiamo voluto vivere, per quanto possibile, tutte le sensazioni provate da Monet. Ed è per questo che durante le tre settimane di riprese in giro per la Francia abbiamo girato con ogni condizione meteorologica, soprattutto sotto la pioggia. Una sensazione magica».
Invitiamo Troilo a svelarci qualche piccolo trucchetto sul set.
«Ne abbiamo utilizzato qualcuno per una serie di scene del terzo atto: come l’allagamento fisico del pond, la neve che cade sul campo di battaglia e la simulazione del sangue che non risparmia nemmeno lo stagno di Monet, effetto ottenuto grazie al prezioso lavoro del fotografo fiammingo Sanne De Wilde, piazzando una camera infrarossi nello stagno».
Ma in questo viaggio sulle tracce del maestro della luce non ci sono solo paesaggi marini e ninfee, a trasmettere al pubblico una sensazione di infinita pace.
«Sono gli anni della battaglia di Verdun ed è come se quelle ninfee, concepite e dipinte proprio in quel periodo, fossero un atto di resistenza dell’artista a tutto il sangue sparso in guerra».
Sul finale la trasfigurazione visiva dell’artista è totale.
Dopo Monet cosa ci sarà nell’agenda di Troilo?
«Da un anno sto lavorando a un film di finzione, una commedia nera, girato in Belgio, a Charleroi. Si tratta di un documentario nato da un progetto fotografico. Anche questo sarà concepito in tre atti (la prima drammatica, l’altra più simile a un documentario e la terza una sorta di commedia tarantiniana). Protagonista sarà l’umanità, tutta quanta, nella sua diversità, posta fianco a fianco».
Leggia anche:
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• Genesi di un capolavoro: la Grand Décoration, omaggio alla pace
• Lungo la Senna sulle orme di Monet
• Da Monet a Dalì, tutti gli appuntamenti con la Grande Arte al cinema
Mentre Giovanni Troilo racconta, dall’altra parte del telefono, la sua esperienza da regista del film Le Ninfee di Monet. Un incantesimo di acqua e luce - il nuovo film prodotto da Ballandi Arts e Nexo Digital, nelle sale in collaborazione con TIMVISION Production solo il 26, 27 e 28 novembre - sembra quasi di vederla la troupe fluttuare avvolta da quell’universo incantato cucito dal maestro che più di ogni altro ha saputo anticipare i moderni espedienti cinematografici con i suoi affascinanti time-laps, in quel geniale, simultaneo intreccio di spazio e di tempo.
Una bella sfida la scelta di voler riprodurre sul grande schermo la magia dei colori del maestro della luce. Ma Troilo della fotografia è sapiente artigiano. Fotografo ancor prima che regista, si muove tra i mondi del cinema, della televisione, dell’editoria e della pubblicità iniziando a girare e a fotografare da molto giovane e collezionando importanti collaborazioni.
A cosa è dovuta la scelta di Monet, artista del quale si sa già tanto?
«C’era una storia emblematica della sua potentissima vita, che più degli altri aneddoti ed episodi legati alla sua esistenza mi ha particolarmente affascinato e che si prestava ad essere raccontata. Questo geniale maestro che nell’ultima fase della sua vita, all’apice del successo, ha perso quasi tutto, la moglie, il primogenito e persino il suo regno vegetale, mi affascinava. La storia cinematografica sembrava già scritta».
Entriamo nella trama. Quando l’ex Primo Ministro Francese, George Clemenceau, amico del pittore, arriva a Giverny, trova parecchie tele accatastate nella cantina della ricca abitazione in cui è ospite. Molte rappresentano fiori esotici, presentati per la prima volta all’Esposizione Universale di Parigi del 1889. Il giardino, lo stagno, le tele che rendono unica quella casa sono opere di Claude Monet, il padre dell’Impressionismo. Sarà sempre Clemenceau, nel 1927, a inaugurare finalmente, cinque mesi dopo la morte di Monet, il museo dedicato alla Grand Décoration.
Per raccontare la vita del padre dell’Impressionismo si è scelto di seguire materialmente il corso della Senna.
«Seguendo il percorso del fiume abbiamo voluto raccontare, come in una metafora, la tortuosa vita del maestro. Si è trattato di un vero e proprio viaggio fisico, iniziato tra i magnifici panorami di Étretat e conclusosi a Parigi passando per Argenteuil. Un itinerario sviluppatosi quasi interamente a bordo di un battello. È nata un’empatia assolutamente naturale con la storia e con il personaggio e spero che il film riesca a trasmetterla».
A Giverny, nel tempio sacro dell’Impressionismo, si compie il secondo atto che approfondisce l’ossessione dell’artista per l’acqua e per gli elementi vegetali. «Abbiamo voluto vivere, per quanto possibile, tutte le sensazioni provate da Monet. Ed è per questo che durante le tre settimane di riprese in giro per la Francia abbiamo girato con ogni condizione meteorologica, soprattutto sotto la pioggia. Una sensazione magica».
Invitiamo Troilo a svelarci qualche piccolo trucchetto sul set.
«Ne abbiamo utilizzato qualcuno per una serie di scene del terzo atto: come l’allagamento fisico del pond, la neve che cade sul campo di battaglia e la simulazione del sangue che non risparmia nemmeno lo stagno di Monet, effetto ottenuto grazie al prezioso lavoro del fotografo fiammingo Sanne De Wilde, piazzando una camera infrarossi nello stagno».
Ma in questo viaggio sulle tracce del maestro della luce non ci sono solo paesaggi marini e ninfee, a trasmettere al pubblico una sensazione di infinita pace.
«Sono gli anni della battaglia di Verdun ed è come se quelle ninfee, concepite e dipinte proprio in quel periodo, fossero un atto di resistenza dell’artista a tutto il sangue sparso in guerra».
Sul finale la trasfigurazione visiva dell’artista è totale.
Dopo Monet cosa ci sarà nell’agenda di Troilo?
«Da un anno sto lavorando a un film di finzione, una commedia nera, girato in Belgio, a Charleroi. Si tratta di un documentario nato da un progetto fotografico. Anche questo sarà concepito in tre atti (la prima drammatica, l’altra più simile a un documentario e la terza una sorta di commedia tarantiniana). Protagonista sarà l’umanità, tutta quanta, nella sua diversità, posta fianco a fianco».
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