Dietro i muri, dentro i mondi. Deni Alfieri I Stefano Ferrari
Dal 05 Febbraio 2022 al 24 Febbraio 2022
Parma
Luogo: Chaos Art Gallery
Indirizzo: Vicolo Al Leon d’oro 8
Orari: Da martedì a sabato 10.00 – 12.30 / 16.00 - 19.00. Domenica 16.00 - 19.00. Lunedì chiuso
Enti promotori:
- Con il Patrocinio del Comune di Parma
Costo del biglietto: ingresso gratuito
Telefono per informazioni: +39 0521.1473924
E-Mail info: info.chaosartgallery@gmail.com
Sia Ferrari che Alfieri ci conducono dietro le apparenze, dietro al limite imposto dalla visione sensibile, concreta e c’introducono alla paradossale verità del sogno, dove tutto è possibile, non c’è luogo o tempo perché sono solo forme di convenzione superate da mente e spirito. È in quell’invisibile che si vuole giungere, è quello che si vuole esprimere con astrazioni architettoniche, geometriche o circonvoluzioni di circuiti elettronici, con colori naturali, terrosi o con cromatismi accesi, da arte digitale. Sembrano molto diversi questi due artisti, molto lontani nel loro approccio alla realtà nelle loro distanti modalità espressive. Invece entrambi cercano la risposta al grande mistero della vita e trovano una domanda ancora più grande. Perché dietro i muri, dentro i mondi, non resta che abbandonarsi con “Un colpo di vento” nella “Nuvola di probabilità”.
Se si pulissero le porte della percezione, ogni cosa apparirebbe all’uomo qual è, infinita.
(W. Blake)
Stefano Ferrari
È ineludibile l’influenza del suo mestiere d’architetto nella pittura di Stefano Ferrari; per- sino le pennellate sono stese come materiale da costruzione, travi, mattoni, pietre ad edi- ficare la realtà. E poi i muri, le città antiche e fortificate, radicate nella terra, custodi della memoria, presidi inespugnabili dei sogni. Perché dietro queste mura o rocce che sono con- crezioni di ricordi c’è la luce, il colore che si agita, la fuga in tutto il possibile. Anche nelle opere d’astrazione, le stratificazioni geometriche, la calce del tempo si sovrappongono e s’accumulano su macerie di emozioni sparse che riescono ad affiorare in brecce colorate, spezzando l’opacità e schiudendo cangianti mutevoli universi. Basta una pennellata blu su quello che pare il legno di una barca, per ritornare al mare, basta l’apparizione confusa di forme rocciose per rievocare una passeggiata tra monti, un viluppo di verde, di giallo vora- ce e rosa carnoso per far percepire la forza della natura in una pianta carnivora. Del resto l’astratto è sintesi e suggestione, rimandando non alla ragione, ma spezzandone la chiara determinazione, per andare oltre, nel territorio ambiguo dell’anima. La nostra autentica memoria - del resto ormai lo sappiamo - è costruita su emozioni e noi ricordiamo o capiamo qualcosa se l’abbiamo sentito, se almeno per poco c’è risuonato dentro. Sulla tela l’artista riporta quest’eco. Dinnanzi a noi è il famoso velo di Maya teorizzato da Schopenhauer, co- stituito da strutture materiali, concrete finzioni, tangibili illusioni. Allora dietro questi muri, dietro le “porte della percezione”, come ha scritto William Blake, il mondo ci appare infinito. Ferrari ce lo svela in particolare nell’opera “Colpo di vento”, dove tutte le impalcature crol- lano, i sipari dell’apparenza si sollevano per mostrare il caleidoscopio del possibile, il caos della libertà e della bellezza dove ci si perde e dove ci si trova infine, per sempre.
Stefano Ferrari è nato a Sant’Ilario d’Enza (RE) nel 1956. Ha conseguito la Maturità clas- sica e la Laurea in Architettura a Firenze. Ha sempre svolto la professione di architetto e contemporaneamente di pittore, iniziando a dipingere fin da bambino. Grazie alle assidue frequentazioni di artisti amici di famiglia, ha ricevuto una preparazione “da bottega” ed un orientamento in cui lo studio dal vero è stato fondamentale. La sua formazione è stata poi integrata dall’insegnamento della Storia dell’Arte nelle scuole, la lunga permanenza a Firenze e lo studio approfondito della cultura rinascimentale in uno dei luoghi dove essa si è sviluppata. Oggi le sue opere con architetture viste o sognate, partite da un approccio rea- listico e figurativo, s’indirizzano spesso verso l’astrazione, privilegiando sempre più questa modalità espressiva. Tra le mostre più significative, vanno segnalate: la prima personale nel 1979 alla Biblioteca Comunale di Sant’Ilario d’Enza (RE) e una seconda vent’anni più tardi (1999). Nel nuovo millennio, dopo la partecipazione ad alcune collettive a Reggio Emilia (2004), a Rimini e a Locarno in Svizzera, ha tenuto prevalentemente esposizioni personali, a Bologna (Galleria d’arte 18 nel 2008), alla Villa Ducale di Frosinone nel 2009, quindi 3 mostre a S. Ilario d’Enza, a Parma e alla Rocca di Noceto (tra il 2014 e il 2016). Esclusa la collettiva del 2017 a Palazzo dei Capitani ad Ascoli Piceno, le ultime due mostre personali risalgono al 2018, con l’originale rassegna di opere astratte trasferite su tessuto all’atelier MIA di S. Ilario e al 2019 alla Galleria Ottagono di Bibbiano (RE).
L’uomo è un atomo pensante in seno dell’infinito e dell’eternità, vivente sulla Terra tra l’infinitamente grande e l’infinitamente piccolo.
(C. Flammarion
Deni Alfieri
È questa la verità? Gli ingranaggi, le viscere del mondo, gli intrecci di tempo, spazio, universi che s’intersecano senza mai fine. È questa la trama che sta dietro l’apparenza, dietro l’illu- soria linearità della nostra esistenza? Deni Alfieri propone le molteplici varianti della realtà, applicando in pittura le scoperte della fisica quantistica, il probabilismo filosofico. Quelli che sembrano circuiti elettronici, elaborazioni informatiche, astrazioni futuristiche, sono esiti di una profonda riflessione e un modo nuovo di tradurre pensieri ed emozioni. Kandiskij aveva teorizzato la trasformazione in forme e colori della musica, qui le geometrie sono più complesse, sono piani molteplici senza soluzione di continuità. Alle evoluzioni cromatiche e sonore del pittore russo, si sovrappongono le visioni labirintiche di Escher e le suggestioni derivate dalle nuove scienze; il nuovo universo è un circuito interno di computer, è spazio d’infiniti spazi, le categorie temporali si mescolano e sovrappongono. Lo sguardo non riesce a fissarsi, sale e scende e finisce per ipnotizzarsi in questa altalena di forme, colori, percorsi senza meta. Anche “Zona d’equilibrio” è un minuscolo brano in un dinamismo continuo che non può essere altrimenti. La stasi d’altronde è come la pausa musicale, evoluzione in po- tenza, energia trattenuta, sospensione in ulteriori passaggi, è chiarore di luce che sostiene gli intrecci. E il varco - quando si trova - è mistero. Come per Stefano Ferrari, c’è un’opera che apre, spezza e schiude alla libertà, invitando quasi ad abbandonarsi al flusso degli eventi a perdersi nel vortice della vita, alla sua sempre ineffabile bellezza: si tratta di “Nuvola di probabilità”. Allora comprendiamo come tutto sia possibile, tutto sia sempre nell’istante e ovunque. Dentro il mondo, dentro di noi è l’infinito, è tutto. Siamo una particella di questo flusso e siamo lo stesso flusso, siamo nella corrente e siamo la corrente. Nel piccolo è la verità del grande e nel grande la verità del piccolo. La fine? No, non c’è.
Inaugurazione sabato 5 febbraio ore 17
(W. Blake)
Stefano Ferrari
È ineludibile l’influenza del suo mestiere d’architetto nella pittura di Stefano Ferrari; per- sino le pennellate sono stese come materiale da costruzione, travi, mattoni, pietre ad edi- ficare la realtà. E poi i muri, le città antiche e fortificate, radicate nella terra, custodi della memoria, presidi inespugnabili dei sogni. Perché dietro queste mura o rocce che sono con- crezioni di ricordi c’è la luce, il colore che si agita, la fuga in tutto il possibile. Anche nelle opere d’astrazione, le stratificazioni geometriche, la calce del tempo si sovrappongono e s’accumulano su macerie di emozioni sparse che riescono ad affiorare in brecce colorate, spezzando l’opacità e schiudendo cangianti mutevoli universi. Basta una pennellata blu su quello che pare il legno di una barca, per ritornare al mare, basta l’apparizione confusa di forme rocciose per rievocare una passeggiata tra monti, un viluppo di verde, di giallo vora- ce e rosa carnoso per far percepire la forza della natura in una pianta carnivora. Del resto l’astratto è sintesi e suggestione, rimandando non alla ragione, ma spezzandone la chiara determinazione, per andare oltre, nel territorio ambiguo dell’anima. La nostra autentica memoria - del resto ormai lo sappiamo - è costruita su emozioni e noi ricordiamo o capiamo qualcosa se l’abbiamo sentito, se almeno per poco c’è risuonato dentro. Sulla tela l’artista riporta quest’eco. Dinnanzi a noi è il famoso velo di Maya teorizzato da Schopenhauer, co- stituito da strutture materiali, concrete finzioni, tangibili illusioni. Allora dietro questi muri, dietro le “porte della percezione”, come ha scritto William Blake, il mondo ci appare infinito. Ferrari ce lo svela in particolare nell’opera “Colpo di vento”, dove tutte le impalcature crol- lano, i sipari dell’apparenza si sollevano per mostrare il caleidoscopio del possibile, il caos della libertà e della bellezza dove ci si perde e dove ci si trova infine, per sempre.
Stefano Ferrari è nato a Sant’Ilario d’Enza (RE) nel 1956. Ha conseguito la Maturità clas- sica e la Laurea in Architettura a Firenze. Ha sempre svolto la professione di architetto e contemporaneamente di pittore, iniziando a dipingere fin da bambino. Grazie alle assidue frequentazioni di artisti amici di famiglia, ha ricevuto una preparazione “da bottega” ed un orientamento in cui lo studio dal vero è stato fondamentale. La sua formazione è stata poi integrata dall’insegnamento della Storia dell’Arte nelle scuole, la lunga permanenza a Firenze e lo studio approfondito della cultura rinascimentale in uno dei luoghi dove essa si è sviluppata. Oggi le sue opere con architetture viste o sognate, partite da un approccio rea- listico e figurativo, s’indirizzano spesso verso l’astrazione, privilegiando sempre più questa modalità espressiva. Tra le mostre più significative, vanno segnalate: la prima personale nel 1979 alla Biblioteca Comunale di Sant’Ilario d’Enza (RE) e una seconda vent’anni più tardi (1999). Nel nuovo millennio, dopo la partecipazione ad alcune collettive a Reggio Emilia (2004), a Rimini e a Locarno in Svizzera, ha tenuto prevalentemente esposizioni personali, a Bologna (Galleria d’arte 18 nel 2008), alla Villa Ducale di Frosinone nel 2009, quindi 3 mostre a S. Ilario d’Enza, a Parma e alla Rocca di Noceto (tra il 2014 e il 2016). Esclusa la collettiva del 2017 a Palazzo dei Capitani ad Ascoli Piceno, le ultime due mostre personali risalgono al 2018, con l’originale rassegna di opere astratte trasferite su tessuto all’atelier MIA di S. Ilario e al 2019 alla Galleria Ottagono di Bibbiano (RE).
L’uomo è un atomo pensante in seno dell’infinito e dell’eternità, vivente sulla Terra tra l’infinitamente grande e l’infinitamente piccolo.
(C. Flammarion
Deni Alfieri
È questa la verità? Gli ingranaggi, le viscere del mondo, gli intrecci di tempo, spazio, universi che s’intersecano senza mai fine. È questa la trama che sta dietro l’apparenza, dietro l’illu- soria linearità della nostra esistenza? Deni Alfieri propone le molteplici varianti della realtà, applicando in pittura le scoperte della fisica quantistica, il probabilismo filosofico. Quelli che sembrano circuiti elettronici, elaborazioni informatiche, astrazioni futuristiche, sono esiti di una profonda riflessione e un modo nuovo di tradurre pensieri ed emozioni. Kandiskij aveva teorizzato la trasformazione in forme e colori della musica, qui le geometrie sono più complesse, sono piani molteplici senza soluzione di continuità. Alle evoluzioni cromatiche e sonore del pittore russo, si sovrappongono le visioni labirintiche di Escher e le suggestioni derivate dalle nuove scienze; il nuovo universo è un circuito interno di computer, è spazio d’infiniti spazi, le categorie temporali si mescolano e sovrappongono. Lo sguardo non riesce a fissarsi, sale e scende e finisce per ipnotizzarsi in questa altalena di forme, colori, percorsi senza meta. Anche “Zona d’equilibrio” è un minuscolo brano in un dinamismo continuo che non può essere altrimenti. La stasi d’altronde è come la pausa musicale, evoluzione in po- tenza, energia trattenuta, sospensione in ulteriori passaggi, è chiarore di luce che sostiene gli intrecci. E il varco - quando si trova - è mistero. Come per Stefano Ferrari, c’è un’opera che apre, spezza e schiude alla libertà, invitando quasi ad abbandonarsi al flusso degli eventi a perdersi nel vortice della vita, alla sua sempre ineffabile bellezza: si tratta di “Nuvola di probabilità”. Allora comprendiamo come tutto sia possibile, tutto sia sempre nell’istante e ovunque. Dentro il mondo, dentro di noi è l’infinito, è tutto. Siamo una particella di questo flusso e siamo lo stesso flusso, siamo nella corrente e siamo la corrente. Nel piccolo è la verità del grande e nel grande la verità del piccolo. La fine? No, non c’è.
Inaugurazione sabato 5 febbraio ore 17
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