Serenella Bacchiocchi. Tra miti e simboli
Dal 24 Marzo 2013 al 29 Marzo 2013
Pescara
Luogo: Fondazione Edoardo Tiboni - Mediamuseum
Indirizzo: piazza Emilio Alessandrini 34
Orari: da lunedì a sabato 10.30-12.30/ 17-19
Costo del biglietto: ingresso gratuito
Telefono per informazioni: +39 085 4517898
E-Mail info: premiflaiano@libero.it
Sito ufficiale: http://www.fondazionetiboni.it
È arte colta, questa di Serenella Bacchiocchi, arte che è abitata dal mito, dal simbolo, dalla poesia classica, dalle meditazioni della filosofia orientale e che si avvale dei contributi di Esiodo, Omero, pseudo o vero, di tragedie greche e testi del poeta Tagore.
Dagli olii pregnanti semanticamente di Pandora, Dioniso e lo scrigno della libertà, Omphalos si evincono continui richiami alle verità condivise degli antichi simboli che l’artista riesce a rendere in modo plastico attraverso l’inserzione dei riti moderni, delle consuetudini, delle abitudini che circondano e avvincono la modernità, che si comprende, sembra dire la nostra, solo alla luce di una rivisitazione del passato, alla luce di un importante principio affermato da Manuel Castells, secondo cui “in un mondo di specchi rotti, fatto di testi non-comunicabili, l’arte potrebbe essere, senza una precisa agenda, di per sé, un protocollo di comunicazione e uno strumento di ricostruzione sociale”.
Vi è una concezione del tempo circolare in queste opere, una compresenza di passato-presente-futuro, con simboli che evidenziano la ricerca di una dimensione univoca della vita che sembra essere onirica, il sogno che Hans Georg Gadamer così sintetizza, a proposito del compito che ci propone l’arte: “imparare ad ascoltare ciò che vuole parlare, e noi dovremmo confessare che l’imparare ad ascoltare vuol dire anzitutto elevarsi al di sopra della livellante sordità e miopia che una civiltà sempre più ricca di stimoli è intenta a diffondere ovunque”, come dimostrano ad esempio gli elementi carichi di significato della bilancia, degli aquiloni, dei fiori, delle conchiglie e del mare, vero itinerarium mentis verso la libertà dell’artista, mai pago dei suoi limiti, mai chiuso entro gli angusti confini della realtà e della verità, sempre convinto che la realtà non è quella che si vede.
Serenella Bacchiocchi va oltre il velo della verità, nel suo percorso, con sguardi decisamente al femminile, che più di quello maschile, è costruito sulla ricerca della verità, a costo di trovare il buio e l'orrore.
E' questo l'estremo coraggio dello sguardo che insegue, come le farfalle delle sue opere, la libertà, quella sensucht romantica che la conduce verso l’infinito, dove essere liberi non è nulla, ma diventare liberi è cosa divina, direbbe Fichte.
D’altronde Il cerchio della vita è questo: è mito che ha come scopo quello di spiegare i misteri del mondo, le sue origini, i suoi valori, il suo senso, di definire le relazioni tra gli dei e gli uomini. In altre parole, è un tentativo di dare risposte ai quesiti fondamentali che l’uomo si è posto e continua a porsi, in questa muraglia che ha sempre in cima cocci aguzzi di bottiglia.
Tagore, tanto amato dall’artista, era solito sostenere che Il fiore si nasconde nell'erba, ma il vento sparge il suo profumo, profumo che ritroviamo nei paesaggi che gli acquerelli interpretano in modo così efficace da far pensare ad un naturale connubio stilistico, paesaggi di mare, montalianamente come la vita, apparentemente immobile ma sempre in movimento.
Ed è qui la bellezza di questo cammino, perchè, per dirla con il grande Jannis Kounellis, e non si può non essere d’accordo, “la bellezza è una cosa che capita ed indica brevi momenti”, con la profonda eco dureriana del “che cosa sia la bellezza non so”. Di una cosa però siamo certi: la bellezza, seppure estranea ad ogni definizione, è, per dirla con Giulio Paolini, parente stretta dell’infinito, della vertigine.
Come dialettica tra forma e contenuto, l’opera d’arte ospita la bellezza, perché è il risultato di una mediazione tra intento creativo e determinazione ideologica: la bellezza è dunque l’indicibile della creazione artistica. Quell’indicibile che trovi negli acquerelli, dove domina una armonia di stampo neoclassico, dove vige il silenzio della meditazione, dove nei boschi, sulle spiagge, sulle dune, tra le conchiglie e persino nelle nature morte nessuna osa frangere la rassegnata contemplazione del tutto, che diventa “un rifugio al sistema e alle strutture del mondo, una forma di preghiera in questo massacro tecnologico privo di sentimento e di passione”- come sottolinea in modo decisamente plastico Radu Dragomirescu.
Anche questo è sguardo al femminile, in un tempo in cui non si parla più di arte ma si preferisce utilizzare termini come performance, gesto, azione, e questo ritorno al paesaggio è quanto mai opportuno, un paesaggio che però oserei definire innanzitutto dell’anima, dove l’artista cerca quel silenzio interiore che solo il mare o il vento può dare a chi vive una particolare sensibilità, a chi si immerge nella natura per trovare il proprio io.
In linea con Jean Clair, che sostiene che nell’arte contemporanea non contano più né il vedere né il pensare ma il sentire, Serenella Bacchiocchi sente attraverso il paesaggio l’incedere della vita, sente nel vento la voce del tempo, mai presente o passato ma sempre proiettato verso il futuro-speranza che solo l’artista vero sa così bene intuire.
Dagli olii pregnanti semanticamente di Pandora, Dioniso e lo scrigno della libertà, Omphalos si evincono continui richiami alle verità condivise degli antichi simboli che l’artista riesce a rendere in modo plastico attraverso l’inserzione dei riti moderni, delle consuetudini, delle abitudini che circondano e avvincono la modernità, che si comprende, sembra dire la nostra, solo alla luce di una rivisitazione del passato, alla luce di un importante principio affermato da Manuel Castells, secondo cui “in un mondo di specchi rotti, fatto di testi non-comunicabili, l’arte potrebbe essere, senza una precisa agenda, di per sé, un protocollo di comunicazione e uno strumento di ricostruzione sociale”.
Vi è una concezione del tempo circolare in queste opere, una compresenza di passato-presente-futuro, con simboli che evidenziano la ricerca di una dimensione univoca della vita che sembra essere onirica, il sogno che Hans Georg Gadamer così sintetizza, a proposito del compito che ci propone l’arte: “imparare ad ascoltare ciò che vuole parlare, e noi dovremmo confessare che l’imparare ad ascoltare vuol dire anzitutto elevarsi al di sopra della livellante sordità e miopia che una civiltà sempre più ricca di stimoli è intenta a diffondere ovunque”, come dimostrano ad esempio gli elementi carichi di significato della bilancia, degli aquiloni, dei fiori, delle conchiglie e del mare, vero itinerarium mentis verso la libertà dell’artista, mai pago dei suoi limiti, mai chiuso entro gli angusti confini della realtà e della verità, sempre convinto che la realtà non è quella che si vede.
Serenella Bacchiocchi va oltre il velo della verità, nel suo percorso, con sguardi decisamente al femminile, che più di quello maschile, è costruito sulla ricerca della verità, a costo di trovare il buio e l'orrore.
E' questo l'estremo coraggio dello sguardo che insegue, come le farfalle delle sue opere, la libertà, quella sensucht romantica che la conduce verso l’infinito, dove essere liberi non è nulla, ma diventare liberi è cosa divina, direbbe Fichte.
D’altronde Il cerchio della vita è questo: è mito che ha come scopo quello di spiegare i misteri del mondo, le sue origini, i suoi valori, il suo senso, di definire le relazioni tra gli dei e gli uomini. In altre parole, è un tentativo di dare risposte ai quesiti fondamentali che l’uomo si è posto e continua a porsi, in questa muraglia che ha sempre in cima cocci aguzzi di bottiglia.
Tagore, tanto amato dall’artista, era solito sostenere che Il fiore si nasconde nell'erba, ma il vento sparge il suo profumo, profumo che ritroviamo nei paesaggi che gli acquerelli interpretano in modo così efficace da far pensare ad un naturale connubio stilistico, paesaggi di mare, montalianamente come la vita, apparentemente immobile ma sempre in movimento.
Ed è qui la bellezza di questo cammino, perchè, per dirla con il grande Jannis Kounellis, e non si può non essere d’accordo, “la bellezza è una cosa che capita ed indica brevi momenti”, con la profonda eco dureriana del “che cosa sia la bellezza non so”. Di una cosa però siamo certi: la bellezza, seppure estranea ad ogni definizione, è, per dirla con Giulio Paolini, parente stretta dell’infinito, della vertigine.
Come dialettica tra forma e contenuto, l’opera d’arte ospita la bellezza, perché è il risultato di una mediazione tra intento creativo e determinazione ideologica: la bellezza è dunque l’indicibile della creazione artistica. Quell’indicibile che trovi negli acquerelli, dove domina una armonia di stampo neoclassico, dove vige il silenzio della meditazione, dove nei boschi, sulle spiagge, sulle dune, tra le conchiglie e persino nelle nature morte nessuna osa frangere la rassegnata contemplazione del tutto, che diventa “un rifugio al sistema e alle strutture del mondo, una forma di preghiera in questo massacro tecnologico privo di sentimento e di passione”- come sottolinea in modo decisamente plastico Radu Dragomirescu.
Anche questo è sguardo al femminile, in un tempo in cui non si parla più di arte ma si preferisce utilizzare termini come performance, gesto, azione, e questo ritorno al paesaggio è quanto mai opportuno, un paesaggio che però oserei definire innanzitutto dell’anima, dove l’artista cerca quel silenzio interiore che solo il mare o il vento può dare a chi vive una particolare sensibilità, a chi si immerge nella natura per trovare il proprio io.
In linea con Jean Clair, che sostiene che nell’arte contemporanea non contano più né il vedere né il pensare ma il sentire, Serenella Bacchiocchi sente attraverso il paesaggio l’incedere della vita, sente nel vento la voce del tempo, mai presente o passato ma sempre proiettato verso il futuro-speranza che solo l’artista vero sa così bene intuire.
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