Pietro di Cristoforo Vannucci, il Perugino. L'arte di dipingere l'aria

Pietro di Cristoforo Vannucci, il Perugino, Lotta tra Amore e Castità, 1503, dipinto tempera su tela, 160x191 cm. Museo del Louvre, Parigi
Dal 30 Aprile 2016 al 30 Novembre 2016
Città della Pieve | Perugia
Luogo: Duomo di Città della Pieve
Indirizzo: piazza Antonio Gramsci
Telefono per informazioni: +39 075 58668415
E-Mail info: sbap-umb@beniculturali.it
A torto o a ragione, prima o poi tocca a tutti. E anche l’opera del “divin pittore”, nell’ultima fase della sua vita, fu oggetto di giudizi poco lusinghieri. Ma lui non per questo smise di dipingere.
Oggi gliene siamo grati, e lo è in particolar modo la sua città, che fino al 30 novembre 2015 rende omaggio, con la mostra “L’arte di dipingere l’aria”, alla tarda produzione di Pietro di Cristoforo Vannucci.
In arte, il Perugino.
Allestita nei locali sottostanti la cattedrale di Città della Pieve, l’esposizione, che prosegue con un itinerario di visita alle opere presenti in città (Oratorio di S. Maria dei Bianchi, Chiesa di S. Maria dei Servi, Chiesa di San Pietro), si sofferma su originali soluzioni espressive di pacata e serena religiosità, care al sentimento popolare e da cui traspare un artista completamente libero dai vincoli imposti dalle capricciose committenze del passato.
L’arte del Perugino raggiunse il suo apice a cavallo fra il Quattrocento e il Cinquecento. Nel gennaio del 1503 le cronache riportano un episodio ritenuto emblematico per le sorti successive dell’artista.
Isabella d’Este lo chiamò a realizzare uno dei dipinti allegorici del suo studiolo nel Castello di San Giorgio a Mantova, la Lotta tra Amore e Castità, che si inseriva in un complesso di opere di Andrea Mantegna e altri pittori. Dopo una gestazione piuttosto travagliata, sotto sorveglianza costante e continue richieste di modifiche, alla consegna la marchesa non fu pienamente soddisfatta. Scrisse che avrebbe preferito l’olio piuttosto che la tempera e sembrò non apprezzare la rappresentazione del movimento che richiedeva la scena. Da allora, l’operato del Perugino iniziò ad essere criticato.
In seguito ad analoghi risultati per committenze accettate a Firenze (Pala per l’altare maggiore della basilica della Santissima Annunziata) e a Roma per Giulio II (volta della Stanza dell’Incendio di Borgo in Vaticano), il Perugino si ritenne quasi esiliato dai grandi centri artistici e tornò a casa. In Umbria lavorò soprattutto nei piccoli centri di provincia, dove produsse esempi di grandezza e genialità che testimoniano una stupefacente capacità di rinnovare il proprio linguaggio stilistico.
È qui che il pennello di Pietro Vannucci, nel luminoso respiro degli ampi e colorati paesaggi, crea le forme con tocchi leggeri e sapienti trasparenze. L’esposizione rivela l’altissimo livello della sua tecnica pittorica. Le opere selezionate, a corredo della grande pala restaurata, propongono una lettura poco convenzionale dell’opera tarda del maestro e dimostrano la levatura dell’artista, dotato di una personalità complessa e vivace e di una umanità sofferta, che esula dagli schemi della critica ordinaria.
Un uomo illuminato, un prodigio che lo stesso Vasari riconobbe a livello internazionale: “tanto piacque al suo tempo che vennero molti di Francia, di Spagna d’Alemagna e d’altre province” per imparare i segreti della sua preziosa arte.
La sua opera ha raggiunto tali intensità da essere definito “divino” da Giovanni Santi, padre del celebre Raffaello che il Perugino tenne a bottega, il quale, in un poema scritto intorno al 1485 in onore di Federico da Montefeltro, attribuì a Leonardo da Vinci e al Perugino doti celestiali: …due giovin par d’etade e par d’amori, / Leonardo da Vinci e l’Perusino, / Pier della Pieve, che son divin pictori.
Giulia Cardini
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