Gianfranco Baruchello. Primo alfabeto
Dal 12 Gennaio 2024 al 17 Febbraio 2024
Milano
Luogo: MASSIMODECARLO Milano
Indirizzo: Viale Lombardia 17
Curatori: Carla Subrizi e Maria Alicata
Telefono per informazioni: +39 02 70003987
E-Mail info: milano@massimodecarlo.com
Sito ufficiale: http://www.massimodecarlo.com
MASSIMODECARLO è lieta di annunciare Primo alfabeto, una mostra che riunisce eccezionalmente le opere iconiche e pioneristiche che Gianfranco Baruchello realizza tra il 1959 e il 1962. A cura di Carla Subrizi e Maria Alicata, Primo alfabeto presenta una selezione di opere incentrata sull’idea di alfabeto e comprende pittura, oggetti e disegni, dai quali emergono gli aspetti formali e concettuali di una ricerca già peculiare.
«Baruchello in questi anni, cerca l’impianto inedito di un alfabeto personale, che definisce “provvisorio”. Concepire un alfabeto tra la fine degli anni Cinquanta e i primi anni Sessanta trova particolari forme di relazione con artisti del suo tempo: da Jasper Johns a Piero Manzoni a Jannis Kounellis. Quello che costituisce tuttavia l’aspetto peculiare dell’alfabeto di Baruchello è il fatto che tale alfabeto si riferisca al corpo e alla sfera affettiva.
L’alfabeto parte dal corpo e anche il mentale risiede per Baruchello nella parte del cervello, l’ipotalamo, che sovraintende al desiderio, all’irrazionale, agli stati meno controllati dalla ragione. Un’anatomia che individua zone tra il fisico e lo psichico, tra l’organico e l’inorganico, sia individuali che collettive, «funzione di uno nell’altro» scrive Baruchello, è attraversata da figure che diverranno i termini chiave del suo alfabeto: paura, energia errore, bisogno inappagato, entità ostile, rumore entropia, memoria di ciò che precede, figli che verranno, zone di confine tra il certo e l’incerto. Una serie di entità-base si configura in un alfabeto che parte da situazioni affettive, dove per affetto si intende il rovesciamento che dal razionale, dall’astrazione del linguaggio arriva al sentire del corpo, che registra, rimanda, trattiene, respinge».
L’alfabeto di Baruchello, continua Carla Subrizi, Presidente della Fondazione Baruchello e Direttrice della Scuola di Specializzazione in Beni Storico Artistici alla Sapienza Università di Roma, «vuole muoversi sul terreno dell’ipotesi, dell’ambiguità dei significati, dell’esplorazione dell’insolito, al di fuori dalle categorie già stabilite, non per rifiutarle ma perché tutto deve essere sottoposto a verifica. Dire personale, per Baruchello, non indica dunque un sistema individualizzato in cui credere e a cui affidarsi, ma la sfera del tutto arbitraria di una ricerca basata su ipotesi, mai assoluta o da intendersi raggiunta in una fine. Fine e principio si scambiano continuamente di posizione, così come le cause e gli effetti, il significato e l’assenza di significato. Indagare il nulla del significato, ovvero i territori di confine o ancora sconosciuti, è quello che lo interessa. E per andare in questa direzione prova a capire e a provare la funzione dell’inutile (lo fa già nel 1946, appena uscito dagli anni universitari), dell’incerto, dell’inappagato. Tutto quello che è già stabilito e che viene usato, nasconde il «potere» di significare e di essere per sempre, diventa punto di riferimento o fondamento per la comunicazione, la relazione, la comprensione di sé e del mondo.
La genesi e soprattutto la formazione dell’alfabeto è lenta e molto elaborata e soltanto con il 1962 il processo arriva ad una fase significativa.» Il 1962 si rivela un anno cruciale per Baruchello, anche per gli incontri significativi con artisti del calibro di Brancusi e Marcel Duchamp, che influenzeranno ulteriormente il suo percorso artistico.
L'artista per il suo alfabeto utilizza oggetti da lui stesso fabbricati e immagini inedite per tracciare, come descrive Carla Subrizi, «stati di angoscia, necessità e desiderio, disturbi del vago, mettendo a punto un vocabolario che non si riferisce a niente se non ad una «grammatica» di sentimenti provati, percepiti, emersi. Ricorre al latino, inventa parole composte per dare un nome a queste immagini. Per altro verso non usa i colori ad olio ma smalti e materiali industriali, vernici antiruggine (il minio), resine di scambio e solventi, con i quali definisce la sua tecnica e il modo di lavorare alla ricerca di «un mondo di informazioni e di percezioni che è rifiutato dai compartimenti stagni della cultura di oggi».
La concezione di un alfabeto, la necessità stessa della sua costruzione, è quello che gli sembra indispensabile per ridefinire i termini di un proprio linguaggio, non del linguaggio come sistema preesistente di termini e costruzioni già fatti».
La mostra Primo alfabeto rappresenta una narrazione avvincente attraverso la genesi e la formazione di un alfabeto “provvisorio”, costituendo una pietra miliare nella pittura di Baruchello. Le opere esposte invitano i visitatori a esplorare le zone di confine di un linguaggio autonomo e indipendente, aprendo una finestra sul suo approccio unico all'arte. L'alfabeto di Baruchello non è solo una scelta formale, ma una grammatica dinamica in continua evoluzione, una sintesi di sentimenti e percezioni che si sottrae alle logiche del comunicare.
Primo alfabeto è un'occasione unica per immergersi nelle profondità del pensiero innovativo e visionario di Gianfranco Baruchello.
Gianfranco Baruchello (Livorno, 1924 - Roma, 2023) ha vissuto e lavorato a Roma e a Parigi.
Nella sua lunga attività di ricerca artistica ha conosciuto e attraversato le principali tendenze del secondo dopoguerra, dalla Pop Art all’Arte Concettuale. Ha utilizzato, dalla fine degli anni Cinquanta, diversi media: pittura, cinema, installazione, oggetti, scultura e pratiche performative. La prima mostra personale risale al 1963, presso la galleria La Tartaruga a Roma: grandi tele e piccoli oggetti si concentravano sull’idea della formulazione di un alfabeto di immagini che lui chiama Bisogno (tradotto da Il Need), Paura, Energia Errore, Entità Ostile. Nel 1962 è presente alla storica mostra The New Realists presso la Galleria Sidney Janis di New York, con l’opera Awareness II, e nello stesso anno è invitato alla mostra Collages et Objets presso la Galerie du Cercle a Parigi.
Nel 1964, in occasione della prima mostra personale presso la galleria Cordier & Ekstrom a New York espone opere che presentano un significativo punto d’arrivo della sua ricerca: frammentazione, disseminazione sulla tela di immagini ridotte a minimi elementi e decentramento concettuale dello spazio.
Dai primi anni Sessanta inizia a produrre brevi film, tra i quali Il grado zero del paesaggio (1963), Verifica incerta (1964- 1965). Baruchello ha portato l’idea stessa di frammentazione e montaggio nella sua sperimentazione con la pittura, la scultura e le immagini in movimento. Negli stessi anni realizza libri d’artista tra cui La quindicesima riga (righe di testo prelevate da centinaia di libri) e il libro Avventure nell’armadio di plexiglass. Nel 1962 conosce Marcel Duchamp, al quale dedica nel 1985 il volume Why Duchamp, pubblicato da McPherson, New York. Nel 1973 avvia il progetto Agricola Cornelia S.p.A., un esperimento tra arte e agricoltura, che lo impegna per otto anni. Nel 1998 ha istituito, con Carla Subrizi, la Fondazione Baruchello. Ha più volte partecipato alla Biennale di Venezia (1976-80, 1988 90, 1993, 2013) e a documenta di Kassel (1977, 2012).
Dal 2011 una serie di retrospettive si sono tenute in Italia e all’estero: Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea, Roma, 2011; Deichtorhallen Sammlung Falckenberg, Amburgo, 2014; ZKM, Karlsruhe, 2014; Triennale, Milano, 2015; Raven Row, Londra, 2017; Villa Arson, Nizza 2018; Mart, Rovereto, 2018. Nel 2020 ha pubblicato il volume Psicoenciclopedia possibile, promosso dall’Istituto dell’Enciclopedia Italiana Treccani, un’opera monumentale che sfida il concetto stesso di enciclopedia.
Le opere di Baruchello fanno parte di collezioni museali di tutto il mondo, tra le quali: Galleria Nazionale d’Arte Moderna e MAXXI (Roma), Mart (Rovereto), Madre (Napoli), MoMA e Guggenheim Museum (New York), Hirshhorn Museum (Washington), Philadelphia Museum of Art (Filadelfia), MACBA (Barcellona), Lenbachhaus (Monaco), Deichtorhallen Hamburg (Amburgo), ZKM (Karlsruhe), Centre Pompidou (Parigi).
«Baruchello in questi anni, cerca l’impianto inedito di un alfabeto personale, che definisce “provvisorio”. Concepire un alfabeto tra la fine degli anni Cinquanta e i primi anni Sessanta trova particolari forme di relazione con artisti del suo tempo: da Jasper Johns a Piero Manzoni a Jannis Kounellis. Quello che costituisce tuttavia l’aspetto peculiare dell’alfabeto di Baruchello è il fatto che tale alfabeto si riferisca al corpo e alla sfera affettiva.
L’alfabeto parte dal corpo e anche il mentale risiede per Baruchello nella parte del cervello, l’ipotalamo, che sovraintende al desiderio, all’irrazionale, agli stati meno controllati dalla ragione. Un’anatomia che individua zone tra il fisico e lo psichico, tra l’organico e l’inorganico, sia individuali che collettive, «funzione di uno nell’altro» scrive Baruchello, è attraversata da figure che diverranno i termini chiave del suo alfabeto: paura, energia errore, bisogno inappagato, entità ostile, rumore entropia, memoria di ciò che precede, figli che verranno, zone di confine tra il certo e l’incerto. Una serie di entità-base si configura in un alfabeto che parte da situazioni affettive, dove per affetto si intende il rovesciamento che dal razionale, dall’astrazione del linguaggio arriva al sentire del corpo, che registra, rimanda, trattiene, respinge».
L’alfabeto di Baruchello, continua Carla Subrizi, Presidente della Fondazione Baruchello e Direttrice della Scuola di Specializzazione in Beni Storico Artistici alla Sapienza Università di Roma, «vuole muoversi sul terreno dell’ipotesi, dell’ambiguità dei significati, dell’esplorazione dell’insolito, al di fuori dalle categorie già stabilite, non per rifiutarle ma perché tutto deve essere sottoposto a verifica. Dire personale, per Baruchello, non indica dunque un sistema individualizzato in cui credere e a cui affidarsi, ma la sfera del tutto arbitraria di una ricerca basata su ipotesi, mai assoluta o da intendersi raggiunta in una fine. Fine e principio si scambiano continuamente di posizione, così come le cause e gli effetti, il significato e l’assenza di significato. Indagare il nulla del significato, ovvero i territori di confine o ancora sconosciuti, è quello che lo interessa. E per andare in questa direzione prova a capire e a provare la funzione dell’inutile (lo fa già nel 1946, appena uscito dagli anni universitari), dell’incerto, dell’inappagato. Tutto quello che è già stabilito e che viene usato, nasconde il «potere» di significare e di essere per sempre, diventa punto di riferimento o fondamento per la comunicazione, la relazione, la comprensione di sé e del mondo.
La genesi e soprattutto la formazione dell’alfabeto è lenta e molto elaborata e soltanto con il 1962 il processo arriva ad una fase significativa.» Il 1962 si rivela un anno cruciale per Baruchello, anche per gli incontri significativi con artisti del calibro di Brancusi e Marcel Duchamp, che influenzeranno ulteriormente il suo percorso artistico.
L'artista per il suo alfabeto utilizza oggetti da lui stesso fabbricati e immagini inedite per tracciare, come descrive Carla Subrizi, «stati di angoscia, necessità e desiderio, disturbi del vago, mettendo a punto un vocabolario che non si riferisce a niente se non ad una «grammatica» di sentimenti provati, percepiti, emersi. Ricorre al latino, inventa parole composte per dare un nome a queste immagini. Per altro verso non usa i colori ad olio ma smalti e materiali industriali, vernici antiruggine (il minio), resine di scambio e solventi, con i quali definisce la sua tecnica e il modo di lavorare alla ricerca di «un mondo di informazioni e di percezioni che è rifiutato dai compartimenti stagni della cultura di oggi».
La concezione di un alfabeto, la necessità stessa della sua costruzione, è quello che gli sembra indispensabile per ridefinire i termini di un proprio linguaggio, non del linguaggio come sistema preesistente di termini e costruzioni già fatti».
La mostra Primo alfabeto rappresenta una narrazione avvincente attraverso la genesi e la formazione di un alfabeto “provvisorio”, costituendo una pietra miliare nella pittura di Baruchello. Le opere esposte invitano i visitatori a esplorare le zone di confine di un linguaggio autonomo e indipendente, aprendo una finestra sul suo approccio unico all'arte. L'alfabeto di Baruchello non è solo una scelta formale, ma una grammatica dinamica in continua evoluzione, una sintesi di sentimenti e percezioni che si sottrae alle logiche del comunicare.
Primo alfabeto è un'occasione unica per immergersi nelle profondità del pensiero innovativo e visionario di Gianfranco Baruchello.
Gianfranco Baruchello (Livorno, 1924 - Roma, 2023) ha vissuto e lavorato a Roma e a Parigi.
Nella sua lunga attività di ricerca artistica ha conosciuto e attraversato le principali tendenze del secondo dopoguerra, dalla Pop Art all’Arte Concettuale. Ha utilizzato, dalla fine degli anni Cinquanta, diversi media: pittura, cinema, installazione, oggetti, scultura e pratiche performative. La prima mostra personale risale al 1963, presso la galleria La Tartaruga a Roma: grandi tele e piccoli oggetti si concentravano sull’idea della formulazione di un alfabeto di immagini che lui chiama Bisogno (tradotto da Il Need), Paura, Energia Errore, Entità Ostile. Nel 1962 è presente alla storica mostra The New Realists presso la Galleria Sidney Janis di New York, con l’opera Awareness II, e nello stesso anno è invitato alla mostra Collages et Objets presso la Galerie du Cercle a Parigi.
Nel 1964, in occasione della prima mostra personale presso la galleria Cordier & Ekstrom a New York espone opere che presentano un significativo punto d’arrivo della sua ricerca: frammentazione, disseminazione sulla tela di immagini ridotte a minimi elementi e decentramento concettuale dello spazio.
Dai primi anni Sessanta inizia a produrre brevi film, tra i quali Il grado zero del paesaggio (1963), Verifica incerta (1964- 1965). Baruchello ha portato l’idea stessa di frammentazione e montaggio nella sua sperimentazione con la pittura, la scultura e le immagini in movimento. Negli stessi anni realizza libri d’artista tra cui La quindicesima riga (righe di testo prelevate da centinaia di libri) e il libro Avventure nell’armadio di plexiglass. Nel 1962 conosce Marcel Duchamp, al quale dedica nel 1985 il volume Why Duchamp, pubblicato da McPherson, New York. Nel 1973 avvia il progetto Agricola Cornelia S.p.A., un esperimento tra arte e agricoltura, che lo impegna per otto anni. Nel 1998 ha istituito, con Carla Subrizi, la Fondazione Baruchello. Ha più volte partecipato alla Biennale di Venezia (1976-80, 1988 90, 1993, 2013) e a documenta di Kassel (1977, 2012).
Dal 2011 una serie di retrospettive si sono tenute in Italia e all’estero: Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea, Roma, 2011; Deichtorhallen Sammlung Falckenberg, Amburgo, 2014; ZKM, Karlsruhe, 2014; Triennale, Milano, 2015; Raven Row, Londra, 2017; Villa Arson, Nizza 2018; Mart, Rovereto, 2018. Nel 2020 ha pubblicato il volume Psicoenciclopedia possibile, promosso dall’Istituto dell’Enciclopedia Italiana Treccani, un’opera monumentale che sfida il concetto stesso di enciclopedia.
Le opere di Baruchello fanno parte di collezioni museali di tutto il mondo, tra le quali: Galleria Nazionale d’Arte Moderna e MAXXI (Roma), Mart (Rovereto), Madre (Napoli), MoMA e Guggenheim Museum (New York), Hirshhorn Museum (Washington), Philadelphia Museum of Art (Filadelfia), MACBA (Barcellona), Lenbachhaus (Monaco), Deichtorhallen Hamburg (Amburgo), ZKM (Karlsruhe), Centre Pompidou (Parigi).
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