Enrico Doria e Maria Cardamone. Penultimo paesaggio in fondo
Dal 18 Aprile 2014 al 04 Maggio 2014
Pavia
Luogo: Spazio per le arti contemporanee del Broletto
Indirizzo: piazza della Vittoria 14
Orari: mar-ven 16-19; sab-dom 10.3012.30 e 16-19
Curatori: Francesca Porreca
Costo del biglietto: ingresso gratuito
Telefono per informazioni: +39 0382 399611 / 0382 399424
E-Mail info: chiara.argenteri@comune.pv.it
Sito ufficiale: http://www.comune.pv.it/
Angoli di strada, sentieri di campagna, insenature e terre costiere. Immagini mosse, doppie esposizioni, effetti onirici – rigorosamente in analogico – dove l’uomo, quando esiste, rimane nel fondo. Venerdì 18 aprile 2014, alle ore 18, nello Spazio per le arti contemporanee del Broletto di Pavia inaugura Penultimo paesaggio in fondo, la bipersonale di Enrico Doria e Maria Cardamone, curata da Francesca Porreca e organizzata dall’Assessorato alla Cultura, Turismo e Marketing territoriale del Comune di Pavia. La mostra prosegue fino al 4 maggio 2014.
Penultimo paesaggio in fondo è un progetto fotografico a due voci, iniziato nel 2012 e realizzato tra Italia, Gran Bretagna e Nord Europa.
Enrico Doria e Maria Cardamone si sono confrontati su una tematica classica per la fotografia: cosa è il paesaggio? E ancora: cosa rende il paesaggio, un paesaggio?
La Convenzione europea sul paesaggio (siglata a Firenze il 20 ottobre 2000) lo definisce come "una determinata parte di territorio, così come è percepita dalle popolazioni, il cui carattere deriva dall'azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni". Dunque per fare un paesaggio non basta un luogo, ma occorre un "sentire" e un "vedere", in grado di cogliere le mutevoli interconnessioni tra l'elemento umano e il dato naturale.
Proprio a partire da questa considerazione prende le mosse il lavoro dei due fotografi: Il paesaggio – scrive Francesca Porreca nel testo di presentazione alla mostra – si pone laddove vi è un'interpretazione parziale della realtà, frutto dell’intervento di un osservatore all’interno di un contesto. Non ha dunque caratteri immutabili e sempre uguali a se stessi, ma una componente di imprevedibilità e di espressività mutevole in relazione al tempo e all'occhio di chi guarda (e fotografa).
Per evidenziare questo aspetto, Doria e Cardamone rinunciano all'oggettività della visione nitida e descrittiva tendenzialmente associata al mezzo fotografico ed esaltano invece il loro ruolo interpretativo attraverso doppie esposizioni, fotografie mosse, effetti fantasmagorici, in grado di restituire l'inesorabile e scostante scorrere del tempo, l'inafferrabilità di un paesaggio che è innanzitutto interiore.
Il progetto diventa così un intimistico viaggio nelle emozioni: ai prolungamenti dell’esposizione fotografica, che offrono alla memoria la possibilità di estendersi verso il passato o il futuro in un continuo fluire (Enrico Doria), si affiancano immagini in cui spiccano piccoli particolari, richiami alla vita vera e attimi fuori dal tempo (Maria Cardamone). Il paesaggio, svuotato dalla pretesa di essere un dato fermo e stabile, si trasforma in movimento e rapporto col tempo, ovvero con la coscienza.
Penultimo paesaggio in fondo vuole dunque mostrare l'oscillazione tra un'indicazione precisa di realtà - il presente che è sempre punto di partenza e prospettiva - e un paesaggio che rimane indefinito, in fondo alla memoria o alla proiezione futura, mai traguardo, ma sempre "penultimo sguardo", destinato ad essere continuamente riscritto in relazione all'essere umano e alla sua personale visione.
Il progetto è stato interamente realizzato in pellicola formato 6x6 e nel 2013 è stato presentato al Festival della fotografia di Arles.
Penultimo paesaggio in fondo è un progetto fotografico a due voci, iniziato nel 2012 e realizzato tra Italia, Gran Bretagna e Nord Europa.
Enrico Doria e Maria Cardamone si sono confrontati su una tematica classica per la fotografia: cosa è il paesaggio? E ancora: cosa rende il paesaggio, un paesaggio?
La Convenzione europea sul paesaggio (siglata a Firenze il 20 ottobre 2000) lo definisce come "una determinata parte di territorio, così come è percepita dalle popolazioni, il cui carattere deriva dall'azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni". Dunque per fare un paesaggio non basta un luogo, ma occorre un "sentire" e un "vedere", in grado di cogliere le mutevoli interconnessioni tra l'elemento umano e il dato naturale.
Proprio a partire da questa considerazione prende le mosse il lavoro dei due fotografi: Il paesaggio – scrive Francesca Porreca nel testo di presentazione alla mostra – si pone laddove vi è un'interpretazione parziale della realtà, frutto dell’intervento di un osservatore all’interno di un contesto. Non ha dunque caratteri immutabili e sempre uguali a se stessi, ma una componente di imprevedibilità e di espressività mutevole in relazione al tempo e all'occhio di chi guarda (e fotografa).
Per evidenziare questo aspetto, Doria e Cardamone rinunciano all'oggettività della visione nitida e descrittiva tendenzialmente associata al mezzo fotografico ed esaltano invece il loro ruolo interpretativo attraverso doppie esposizioni, fotografie mosse, effetti fantasmagorici, in grado di restituire l'inesorabile e scostante scorrere del tempo, l'inafferrabilità di un paesaggio che è innanzitutto interiore.
Il progetto diventa così un intimistico viaggio nelle emozioni: ai prolungamenti dell’esposizione fotografica, che offrono alla memoria la possibilità di estendersi verso il passato o il futuro in un continuo fluire (Enrico Doria), si affiancano immagini in cui spiccano piccoli particolari, richiami alla vita vera e attimi fuori dal tempo (Maria Cardamone). Il paesaggio, svuotato dalla pretesa di essere un dato fermo e stabile, si trasforma in movimento e rapporto col tempo, ovvero con la coscienza.
Penultimo paesaggio in fondo vuole dunque mostrare l'oscillazione tra un'indicazione precisa di realtà - il presente che è sempre punto di partenza e prospettiva - e un paesaggio che rimane indefinito, in fondo alla memoria o alla proiezione futura, mai traguardo, ma sempre "penultimo sguardo", destinato ad essere continuamente riscritto in relazione all'essere umano e alla sua personale visione.
Il progetto è stato interamente realizzato in pellicola formato 6x6 e nel 2013 è stato presentato al Festival della fotografia di Arles.
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