L’arte in tempo di guerra
AAA Cercasi artista per manifesto di propaganda #iorestoacasa
Alfred Leete, Britons (Kitchener) wants you, 1914, 74 x 50 cm
Eleonora Zamparutti
19/03/2020
Nel 2020 si combatterà una guerra mondiale in ogni angolo delle strade, all’interno di ogni portone. Le nuove reclute saranno arruolate indistintamente in tutte le categorie della popolazione, nessuna eccezione fatta per le fasce più deboli, inclusi anziani, donne e bambini. Per sconfiggere il nemico ci sarà bisogno dell’aiuto di tutti.
A leggere queste parole appena due anni fa, sarebbe potuto sembrare l’inizio di un racconto di fantascienza, ma è quello che stiamo vivendo oggi. Per arginare la diffusione del virus e contenere gli effetti devastanti di un’epidemia a livello globale, a voler usare un linguaggio in uso in tempi di guerra, la patria ci chiede di stare a casa. Un imperativo difficile da rispettare, anche perché il nemico è invisibile.
La campagna di informazione su media e social network incentrata sulla parola chiave #iorestoacasa funziona per l’ampia portata di diffusione dei mezzi di comunicazione e sul passaparola, ma niente è più potente - e necessario oggi per una comunicazione globale -, quanto un’immagine. Un’immagine in grado di parlare dritto al cuore di milioni, miliardi di persone, che possa essere viralizzata attraverso le piattaforme dei social e che possa arrivare fino all’Africa e a quei paesi più fragili dove, se scoppiasse l’epidemia, sarebbe difficile mettere in atto forme di contenimento della diffusione del virus. E per questo che oggi la chiamata tocca in prima persona gli artisti, gli unici che detengono il linguaggio sacro, capace di sfondare gli argini della titubanza, spezzare le armi dell’indifferenza e, attraverso un cortocircuito, renderci responsabili nei confronti delle nostre famiglie e dell’umanità.
L’arte, imprestata alla propaganda politica, è sempre stata uno strumento molto efficace nella storia. Appena un secolo fa, ad esempio, all’alba della Prima Guerra mondiale la macchina della propaganda bellica in Gran Bretagana aveva assoldato il nome e la faccia di Lord Kitchener per il proprio messaggio. “Un generale mediocre, ma un magnifico manifesto” come ebbe a dire all’indomani Lady Asquith a proposito del Segretario di Stato alla Guerra.
Alfred Leete, Britons (Kitchener) wants you, 1914.74 x 50 cm
L’effetto di quell’appello personale, che fu ripetuto ossessivamente sui muri lungo le strade del Regno Unito, fu enorme. I volontari raggiunsero punte di 35.000 uomini al giorno, anche se non sapremo mai quanti furono esattamente coloro che decisero di arruolarsi come volontari sotto l’effetto dell’immagine di Lord Kitchener. Con il passare del tempo l’immagine di Lord Kitchener del manifesto e la figura del generale si sovrapposero diventando un tutt’uno. I suoi occhi che guardavano fissi dai manifesti fecero un’impressione profonda sui contemporanei. Come ebbe a dire un giornalista dell’epoca, sono occhi che “hanno un bel colore chiaro e profondo come il mare quando è più azzurro, e guardano il mondo con lo sguardo diretto di chi mira dritto alla meta”.
L’efficacia del manifesto fece sì che se ne ebbero varie declinazioni, durante la guerra o subito dopo, in Italia, in Germania, negli Stati Uniti, nelle vesti dello Zio Sam, e nell’Unione Sovietica.
A sinistra, Achille Luciano Mauzan, Fate tutti il vostro dovere! | A destra, James Montgomery Flagg, I want you for U.S. Army
L’immensa portata dell’immagine impressa su un manifesto, è frutto di una sintesi. Per decifrarla occorre andare indietro nel tempo, per rintracciare nell’arte dei colori e della pietra quell’alfabeto dei gesti capace di scuotere gli animi profondamente.
Ci sono opere perdute per sempre, che però giungono a noi attraverso la descrizione fatta da scrittori e poeti.
Plinio ad esempio ci tramanda il racconto di una Minerva realizzata da Famulus, un pittore vissuto al tempo di Augusto, che guardava sempre lo spettatore da qualsiasi direzione costui osservasse. Peccato che sia andata persa, ma per fortuna ci sono altri esempi nella storia dell’arte dei secoli successivi. Sempre Plinio narra di un certo Apelle, pittore greco, che aveva dipinto, con la tecnica dello scorcio, Alessandro Magno col fulmine in pugno e "le dita che sembrano uscire dalla tavola".
Ecco, a voler andare a ritroso nella storia dell’arte, questi due riferimenti suggeriti nel bellissimo libro di Carlo Ginzburg Paura, reverenza, terrore (Adelphi, 2015), sono forse gli esempi più antichi - a noi giunti - da cui trae linfa vitale l’immagine del manifesto di Lord Kitchener.
A voler cercare nella storia dell’arte "soggetti che tutto vedono", sarebbe arduo lavoro. Tanto per citarne alcuni: il Cristo benedicente di Antonello da Messina o il Cristo benedicente di Hans Memling, entrambi debitori all’iconografia del Salvador Mundi. Nell’opera di Antonello c’è un particolare in più rispetto alla tradizione, ed è la mano dipinta audacemente di scorcio.
Antonello da Messina, Cristo benedicente, 1465-75 circa, Londra, National Gallery
Ci sarebbe da guardare per ore e ore, dipinti di mani disegnate di scorcio per afferrare la potenza di un gesto e l’eternità simbolica di un’illusione pittorica. Tanto per cominciare si ricordi l’affresco di Michelangelo nella Creazione del Sole e della Luna, presso la Cappella Sistina. Oppure la rielaborazione del gesto, a un secolo di distanza, per mano di Caravaggio nella Chiamata di San Matteo da parte del figlio di Dio. O ancora lo Studio di nudo di Iacopo Pontorno.
Michelangelo, Creazione del Sole e della Luna, Cappella Sistina (Centro della volta)
Dipositivi pittorici, sedimentati nella nostra cultura collettiva, capaci di esprimere la loro potenza anche a distanza di secoli. Il manifesto di Lord Kitchener è senz’altro debitore anche di altri linguaggi, più moderni, come ad esempio la pubblicità, ma la forza evocativa di quel gesto e dello sguardo affondano le radici nell’arte antica.
Caravaggio, La Vocazione di San Matteo, 1599-1600, 340 x 322 cm, Roma, Chiesa di San Luigi dei Francesi
Ecco perché duole sapere che i nostri musei ora sono chiusi, inaccessibili a causa dell’emergenza sanitaria. E non solo per un discorso di mancati introiti (secondo un recente articolo pubblicato sul New York Times, il MET stima di registrare perdite per oltre 100 milioni di dollari a causa della chiusura forzata) che graveranno sulle disponibilità finanziarie di importanti istituzioni che hanno come compito quello di preservare e custodire un importante patrimonio di cultura, ma perché nei musei è conservata tutta la ricchezza del genere umano.
Dipinti e sculture capaci di commuoverci e di farci riflettere. Immagini scolpite nella cultura che ci portiamo dentro, e che ci aiutano a decifrare il mondo. Questo è l’immenso potere di comunicazione dell’arte. Ed è per questo che nei secoli l’arte è stata anche strumento di propaganda politica.
Ma mai come oggi l’arte e gli artisti devono scendere in campo per aiutarci a sconfiggere il nemico.
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A leggere queste parole appena due anni fa, sarebbe potuto sembrare l’inizio di un racconto di fantascienza, ma è quello che stiamo vivendo oggi. Per arginare la diffusione del virus e contenere gli effetti devastanti di un’epidemia a livello globale, a voler usare un linguaggio in uso in tempi di guerra, la patria ci chiede di stare a casa. Un imperativo difficile da rispettare, anche perché il nemico è invisibile.
La campagna di informazione su media e social network incentrata sulla parola chiave #iorestoacasa funziona per l’ampia portata di diffusione dei mezzi di comunicazione e sul passaparola, ma niente è più potente - e necessario oggi per una comunicazione globale -, quanto un’immagine. Un’immagine in grado di parlare dritto al cuore di milioni, miliardi di persone, che possa essere viralizzata attraverso le piattaforme dei social e che possa arrivare fino all’Africa e a quei paesi più fragili dove, se scoppiasse l’epidemia, sarebbe difficile mettere in atto forme di contenimento della diffusione del virus. E per questo che oggi la chiamata tocca in prima persona gli artisti, gli unici che detengono il linguaggio sacro, capace di sfondare gli argini della titubanza, spezzare le armi dell’indifferenza e, attraverso un cortocircuito, renderci responsabili nei confronti delle nostre famiglie e dell’umanità.
L’arte, imprestata alla propaganda politica, è sempre stata uno strumento molto efficace nella storia. Appena un secolo fa, ad esempio, all’alba della Prima Guerra mondiale la macchina della propaganda bellica in Gran Bretagana aveva assoldato il nome e la faccia di Lord Kitchener per il proprio messaggio. “Un generale mediocre, ma un magnifico manifesto” come ebbe a dire all’indomani Lady Asquith a proposito del Segretario di Stato alla Guerra.
Alfred Leete, Britons (Kitchener) wants you, 1914.74 x 50 cm
L’effetto di quell’appello personale, che fu ripetuto ossessivamente sui muri lungo le strade del Regno Unito, fu enorme. I volontari raggiunsero punte di 35.000 uomini al giorno, anche se non sapremo mai quanti furono esattamente coloro che decisero di arruolarsi come volontari sotto l’effetto dell’immagine di Lord Kitchener. Con il passare del tempo l’immagine di Lord Kitchener del manifesto e la figura del generale si sovrapposero diventando un tutt’uno. I suoi occhi che guardavano fissi dai manifesti fecero un’impressione profonda sui contemporanei. Come ebbe a dire un giornalista dell’epoca, sono occhi che “hanno un bel colore chiaro e profondo come il mare quando è più azzurro, e guardano il mondo con lo sguardo diretto di chi mira dritto alla meta”.
L’efficacia del manifesto fece sì che se ne ebbero varie declinazioni, durante la guerra o subito dopo, in Italia, in Germania, negli Stati Uniti, nelle vesti dello Zio Sam, e nell’Unione Sovietica.
A sinistra, Achille Luciano Mauzan, Fate tutti il vostro dovere! | A destra, James Montgomery Flagg, I want you for U.S. Army
L’immensa portata dell’immagine impressa su un manifesto, è frutto di una sintesi. Per decifrarla occorre andare indietro nel tempo, per rintracciare nell’arte dei colori e della pietra quell’alfabeto dei gesti capace di scuotere gli animi profondamente.
Ci sono opere perdute per sempre, che però giungono a noi attraverso la descrizione fatta da scrittori e poeti.
Plinio ad esempio ci tramanda il racconto di una Minerva realizzata da Famulus, un pittore vissuto al tempo di Augusto, che guardava sempre lo spettatore da qualsiasi direzione costui osservasse. Peccato che sia andata persa, ma per fortuna ci sono altri esempi nella storia dell’arte dei secoli successivi. Sempre Plinio narra di un certo Apelle, pittore greco, che aveva dipinto, con la tecnica dello scorcio, Alessandro Magno col fulmine in pugno e "le dita che sembrano uscire dalla tavola".
Ecco, a voler andare a ritroso nella storia dell’arte, questi due riferimenti suggeriti nel bellissimo libro di Carlo Ginzburg Paura, reverenza, terrore (Adelphi, 2015), sono forse gli esempi più antichi - a noi giunti - da cui trae linfa vitale l’immagine del manifesto di Lord Kitchener.
A voler cercare nella storia dell’arte "soggetti che tutto vedono", sarebbe arduo lavoro. Tanto per citarne alcuni: il Cristo benedicente di Antonello da Messina o il Cristo benedicente di Hans Memling, entrambi debitori all’iconografia del Salvador Mundi. Nell’opera di Antonello c’è un particolare in più rispetto alla tradizione, ed è la mano dipinta audacemente di scorcio.
Antonello da Messina, Cristo benedicente, 1465-75 circa, Londra, National Gallery
Ci sarebbe da guardare per ore e ore, dipinti di mani disegnate di scorcio per afferrare la potenza di un gesto e l’eternità simbolica di un’illusione pittorica. Tanto per cominciare si ricordi l’affresco di Michelangelo nella Creazione del Sole e della Luna, presso la Cappella Sistina. Oppure la rielaborazione del gesto, a un secolo di distanza, per mano di Caravaggio nella Chiamata di San Matteo da parte del figlio di Dio. O ancora lo Studio di nudo di Iacopo Pontorno.
Michelangelo, Creazione del Sole e della Luna, Cappella Sistina (Centro della volta)
Dipositivi pittorici, sedimentati nella nostra cultura collettiva, capaci di esprimere la loro potenza anche a distanza di secoli. Il manifesto di Lord Kitchener è senz’altro debitore anche di altri linguaggi, più moderni, come ad esempio la pubblicità, ma la forza evocativa di quel gesto e dello sguardo affondano le radici nell’arte antica.
Caravaggio, La Vocazione di San Matteo, 1599-1600, 340 x 322 cm, Roma, Chiesa di San Luigi dei Francesi
Ecco perché duole sapere che i nostri musei ora sono chiusi, inaccessibili a causa dell’emergenza sanitaria. E non solo per un discorso di mancati introiti (secondo un recente articolo pubblicato sul New York Times, il MET stima di registrare perdite per oltre 100 milioni di dollari a causa della chiusura forzata) che graveranno sulle disponibilità finanziarie di importanti istituzioni che hanno come compito quello di preservare e custodire un importante patrimonio di cultura, ma perché nei musei è conservata tutta la ricchezza del genere umano.
Dipinti e sculture capaci di commuoverci e di farci riflettere. Immagini scolpite nella cultura che ci portiamo dentro, e che ci aiutano a decifrare il mondo. Questo è l’immenso potere di comunicazione dell’arte. Ed è per questo che nei secoli l’arte è stata anche strumento di propaganda politica.
Ma mai come oggi l’arte e gli artisti devono scendere in campo per aiutarci a sconfiggere il nemico.
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