Archeologia come diplomazia culturale nel progetto dell’Università di Udine

Scoperta nel Kurdistan iracheno la Gaugamela di Alessandro Magno

Veduta del “Grande Rilievo” di Khinis raffigurante il re assiro Sennacherib in preghiera di fronte alle immagini del dio Assur e della dea Mulissu (VII sec. a.C.). Le aperture nella roccia corrispondono a celle o tombe di monaci cristiani
 

Francesca Grego

15/04/2019

Roma - Un “paesaggio culturale” di 3000 chilometri quadrati, che porta impressi i segni di una storia lunga un milione di anni: un monte costellato di architetture e rilievi rupestri, una pianura che fu il teatro di una delle più celebri battaglie del mondo antico, i resti di un monumentale sistema di irrigazione, con il primo acquedotto in pietra che sia mai stato costruito nel mondo. Sono le scoperte emerse dal progetto “Land of Niniveh”, portato avanti dal 2012 dagli archeologi dell'Università di Udine nel Kurdistan iracheno. Un territorio rimasto ai margini delle spedizioni della seconda metà del XX secolo a causa della sua complessa situazione politica e che oggi si rivela una delle aree dell'antica Mesopotamia con la più alta densità di siti archeologici (0.7 per chilometro quadrato).
 
Sono stati presentati oggi a Palazzo Ferrajoli, sede romana della Regione Friuli Venezia Giulia, i risultati degli articolati studi interdisciplinari portati avanti negli ultimi sette anni dal team del professor Daniele Morandi Bonacossi, con il sostegno del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, dell'Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo, del Ministero per l'Istruzione, Università e Ricerca, della Regione e della Fondazione Friuli.
 
“Le missioni del professor Morandi Bonacossi e della sua equipe aprono prospettive inedite e straordinarie per la storia della Mesopotamia e possono finalmente sciogliere uno degli enigmi su cui ci si arrovella da più di due millenni”, ha commentato il direttore del Dipartimento di Studi Umanistici e del Patrimonio Culturale dell'Università di Udine Andrea Zannini.
 
Dai Sumeri a Saddam Hussein, il Kurdistan iracheno ne ha vissute di storie. Ma l'enigma citato da Zannini riguarda il luogo della famigerata battaglia di Gaugamela, che nel 313 a.C. vide gli eserciti di Alessandro Magno trionfare sui Persiani del re Dario III, dando inizio all'epopea di uno dei più vasti imperi del mondo antico e alla stagione dell'Ellenismo, fecondo momento di incontro tra le culture di Oriente e Occidente. Dell'episodio resta traccia anche in un bellissimo mosaico di Pompei, oggi conservato al Museo Archeologico Nazionale di Napoli.
Le contraddizioni esistenti tra le fonti storiografiche impedivano finora di identificare con precisione il teatro dello scontro: empasse superata dal team di Bonacossi grazie all'incrocio di scienze antiche e nuove tecnologie, fino all'individuazione definitiva del leggendario sito di Gaugamela, la Gammagara degli Assiri.
Ma facciamo un passo indietro, per ricostruire la genesi e il contesto della scoperta.
 
• Il progetto
Ogni anno il lavoro coordinato da Morandi Bonacossi coinvolge circa 25 specialisti e numerosi studenti, impegnati negli scavi e in laboratorio per ricostruire le trasformazioni degli insediamenti del Kurdistan iracheno lungo i secoli: dalla Preistoria, grazie alla collaborazione avviata con l'Università La Sapienza di Roma, alla nascita dell'Impero Ottomano.
 
Il progetto si inserisce in un delicato ingranaggio di diplomazia culturale, volto a promuovere identità, integrazione e collaborazione a partire dalla storia comune del Mediterraneo, nonché a creare i presupposti per una piena valorizzazione del patrimonio locale.
A tal fine l'Università di Udine porta avanti un programma di formazione e aggiornamento professionale rivolto alle popolazioni del posto, un progetto di capacity building ad ampio raggio che spazia dalle tecniche di scavo al restauro, dalla geoarcheologia al disegno dei materiali e all'antropologia. E fa un certo effetto scoprire nella documentazione fotografica anche un guerrigliero peshmerga con tanto di divisa, che tra un combattimento e l'altro trova il tempo di partecipare alle lezioni per costruire il proprio futuro.
A questo si aggiunge il laboratorio di restauro archeologico donato al Museo Nazionale di Duhok, attualmente l'unico del Kurdistan, dove lavorano giovani restauratrici locali e che è già intervenuto sui reperti in mostra nelle sale del museo.
 
“Negli ultimi tempi il Kurdistan iracheno è diventato un laboratorio all'avanguardia, dove si sperimentano le metodologie e le tecnologie più aggiornate in campo archeologico”, spiega Morandi Bonacossi: “Sette anni di campagne sono servite a identificare 1100 siti archeologici, un passo indispensabile alla loro salvaguardia. Attualmente nell'area sono al lavoro equipe provenienti dalle università di diversi paesi del mondo: manca poco alla mappatura completa del territorio”.
 
In realtà l'obiettivo di “Land of Niniveh” è molto più ampio: l'idea è quella di coprire l'intera “filiera” dell'archeologia: dagli scavi alla documentazione, dal restauro alla formazione, fino alla valorizzazione e alla tutela del patrimonio. Un'archeologia “globale” che ogni giorno “rinegozia il proprio ruolo con le istituzioni e con la società, mostrando l'importanza del lavoro di ricerca al di là della cerchia ristretta degli addetti ai lavori”, continua il professore, convinto sostenitore dell'archeologia come “scienza del futuro”, capace di mettere insieme i contributi di discipline diversissime, antiche e moderne.
 
E all'orizzonte si profila una meta ancora più ambiziosa: la creazione di un Parco Archeologico e la preparazione di un dossier per il suo inserimento nella Tentative List dell'UNESCO World Heritage, a cui sta lavorando l'Istituto per le Tecnologie Applicate ai Beni Culturali del CNR.
 
• Le scoperte
Oggi si chiama Gomel la località in cui gli archeologi hanno riconosciuto l'antica Gaugamela. Si trova in una vasta pianura alluvionale dominata da un monte, “Nikatorion” - il Monte della Vittoria – come lo chiamavano gli storici antichi. Tra storiografia e GIS, remote sensing e ricerca sul campo, a fornire la “prova regina” al team di Udine è stato lo studio filologico del toponimo del sito condotto in collaborazione con l'Università di Cracovia.
 
Dai rilievi effettuati è emerso che all'arrivo di Alessandro Magno Gomel era solo un minuscolo villaggio e che subito dopo la battaglia conobbe uno sviluppo prorompente.
Sulle alture e nelle vallate circostanti sono stati rinvenuti monumenti e rilievi rupestri riconducibili alla presenza del grande condottiero. In un anfratto della roccia affumicato dai fuochi dei pastori, una vittoria alata porge la corona a un cavaliere: “la storia ha cambiato cavallo”, scherza il professore, e l'Impero Macedone è pronto a vivere la sua grande avventura.
Un altro rilievo è stato modificato nel tempo e oggi può testimoniare la storia stratificata della zona: ai lati due re assiri che si guardano, al centro un cavaliere aggiunto successivamente, molto probabilmente Alessandro, che sembra trafiggere uno dei sovrani con la sua lunga lancia. Per far posto alla nuova figura, lo scultore ha cancellato le iscrizioni cuneiformi preesistenti, che dovevano apparire molto simili alla scrittura del nemico persiano.
 
Esplorando il territorio circostante, il team di Morandi Bonacossi si è imbattuto in un'ulteriore sorpresa: il monumentale sistema idrico costruito dal re assiro Sennacherib per rifornire d'acqua Ninive, capitale del regno, e irrigare le campagne, granaio di una città in piena espansione. Quattrocento anni prima della costruzione dell'Acquedotto Appio di Roma, mezzo milione di blocchi di pietra e 250 chilometri di canali, dighe, argini e sbarramenti, danno vita al primo acquedotto in pietra della storia. Sculture rupestri segnalano i punti in cui il naturale corso delle acque venne deviato per ordine del sovrano.
 
Ampie pianure alluvionali, fiumi e montagne disegnano il paesaggio di questa parte del Kurdistan. Gli archeologi di Udine l’hanno battuto palmo a palmo con l’aiuto di droni di ultima generazione. Ma un contributo fondamentale è arrivato dalle immagini riprese dai programmi di spionaggio americani negli anni Sessanta e Settanta, declassificate di recente. Fotografie satellitari o aeree straordinariamente leggibili ritraggono l'area prima che l’espansione urbana di Mosul e Duhok ne mutasse i connotati insieme all’azione dei moderni mezzi agricoli.

Ma il lavoro degli archeologi di Udine è tutt'altro che concluso: in autunno gli scavi torneranno a interrogare il sottosuolo, in una terra che ha ancora molte storie da raccontare.


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