Al Museo Carlo Bilotti di Roma dal 23 marzo al 9 giugno
La ferita della bellezza nella poetica di Burri, dagli anni '50 al Cretto di Gibellina
Alberto Burri, Cretto G2, 1975, acrovinilico su cellotex, 172x151,5 cm. Fondazione Palazzo Albizzini Collezione Burri, Città di Castello
Samantha De Martin
22/03/2019
Roma - Una tragedia trasformata in poesia, che, lungi dall’essere cosiderata un episodio slegato dal resto dell’attività di Alberto Burri, rappresenta un prospetto che permette di leggere retroattivamente l’intera opera dell’artista e medico umbro.
È questo il Cretto di Gibellina secondo Massimo Recalcati ed è da questo interessante punto di vista che si sviluppa il ben costruito percorso espositivo che, partendo dalla drammatica ferita inferta alla bellezza della Valle del Belice, colpita dal terremoto del 1968, compie un viaggio a ritroso alla scoperta del percorso artistico del pittore.
Dal 23 marzo al 9 giugno il Museo Carlo Bilotti - Aranciera di Villa Borghese accoglie una selezione di lavori di Burri, letti in relazione alla poetica della ferita, tema che, nell’interpretazione dello psicanalista e saggista Recalcati, permea l’intera opera dell’artista incidendo la materia, effettuando lacerazioni, creando bruciature, disegnando strappi.
Un percorso prodotto e realizzato da Magonza Editore, che, avvalendosi del coordinamento scientifico di Alessandro Sarteanesi, giunge a declinazioni inedite che alludono a una genesi e ad un processo di carattere spirituale.
A circa 20 anni di distanza dal sisma del 1968, Alberto Burri venne chiamato dal sindaco Ludovico Corrao per realizzare un’opera per il piccolo comune in provincia di Trapani. Burri, anziché realizzare la ricostruzione a circa 20 chilometri dal vecchio paese in macerie, decise, unico tra gli altri artisti, di concepire il suo lavoro nella Vecchia Gibellina, proprio nel luogo della tragedia. Il suo progetto - come si può vedere attraverso il modello del Grande Cretto di Gibellina del 1984, esposto in mostra - prevedeva un grande sudario bianco che, sotto forma di un’enorme gittata di cemento, avrebbe dovuto rivestire, in parte ricalcandola, la planimetria della vecchia città, nei suoi circa 90 mila metri quadri, diventando testimone ed eterno custode della storia e degli uomini che in quei luoghi hanno vissuto.
Adagiato sulla vecchia Gibellina, oggi il lavoro di Alberto Burri protegge e preserva, con il perpetuo invito al silenzio, la memoria dell’immane tragedia scatenata dal sisma.
“Il Cretto - ribadisce il curatore - accoglie i suoi visitatori nel silenzio della natura interrotto solo dai suoni della vita di campagna: le campane degli animali al pascolo, il cinguettio degli uccelli, il suono del vento. Ma in questo silenzio rimbomba ancora il frastuono del sisma, il tremore convulso della terra. Non c’è, infatti, opera d’arte degna di questo nome che non sia in rapporto al Terrificante. Anche se in realtà la poetica del Cretto ha le sue origini nella prima metà degli anni Cinquanta”.
Ed infatti, nel caso delle Plastiche, è ad esempio l’uso del fuoco a infliggere su di una materia debole come la plastica l’ustione della vita e della morte.
Il racconto poetico del grande intervento realizzato da Alberto Burri per la ricostruzione del paese, divenuto l’opera di Land Art più grande al mondo, diventa il pretesto per mostrare al pubblico opere uniche dell’artista, quasi tutte in prestito da collezioni private e dalla Fondazione Palazzo Albizzini Collezione Burri. Cretti, Plastiche, Combustioni, Sacchi, ma anche Legni e Catrami realizzati tra il 1951 e il 1984 si accompagnano alle belle fotografie in bianco e nero di Aurelio Amendola sul Grande Cretto. Raccogliendo le immagini dell’artista, dei suoi lavori e dei vari processi creativi, il fotografo ha realizzato gli scatti in due riprese, nel 2011 e nel 2018, quando ormai l’opera era stata completata da tre anni.
Al termine dell’itinerario espositivo, il video di Petra Noordkamp - prodotto e presentato nel 2015 dal Guggenheim Museum di New York, in occasione della retrospettiva The Trauma of Painting - traduce in un racconto per immagini l’opera di Burri e il suo paesaggio circostante.
In occasione della mostra è stato realizzato dalla casa editrice Magonza un volume ricco di testimonianze e ricerche inedite su Alberto Burri, la sua opera e Il Grande Cretto di Gibellina. Accanto agli interventi di storici dell’arte quali Gianfranco Maraniello e Aldo Iori, anche un nuovo testo di Recalcati che raccoglie gli ulteriori sviluppi della sua ricerca.
Leggi anche:
• La ferita della bellezza. Alberto Burri e il Grande Cretto di Gibellina
È questo il Cretto di Gibellina secondo Massimo Recalcati ed è da questo interessante punto di vista che si sviluppa il ben costruito percorso espositivo che, partendo dalla drammatica ferita inferta alla bellezza della Valle del Belice, colpita dal terremoto del 1968, compie un viaggio a ritroso alla scoperta del percorso artistico del pittore.
Dal 23 marzo al 9 giugno il Museo Carlo Bilotti - Aranciera di Villa Borghese accoglie una selezione di lavori di Burri, letti in relazione alla poetica della ferita, tema che, nell’interpretazione dello psicanalista e saggista Recalcati, permea l’intera opera dell’artista incidendo la materia, effettuando lacerazioni, creando bruciature, disegnando strappi.
Un percorso prodotto e realizzato da Magonza Editore, che, avvalendosi del coordinamento scientifico di Alessandro Sarteanesi, giunge a declinazioni inedite che alludono a una genesi e ad un processo di carattere spirituale.
A circa 20 anni di distanza dal sisma del 1968, Alberto Burri venne chiamato dal sindaco Ludovico Corrao per realizzare un’opera per il piccolo comune in provincia di Trapani. Burri, anziché realizzare la ricostruzione a circa 20 chilometri dal vecchio paese in macerie, decise, unico tra gli altri artisti, di concepire il suo lavoro nella Vecchia Gibellina, proprio nel luogo della tragedia. Il suo progetto - come si può vedere attraverso il modello del Grande Cretto di Gibellina del 1984, esposto in mostra - prevedeva un grande sudario bianco che, sotto forma di un’enorme gittata di cemento, avrebbe dovuto rivestire, in parte ricalcandola, la planimetria della vecchia città, nei suoi circa 90 mila metri quadri, diventando testimone ed eterno custode della storia e degli uomini che in quei luoghi hanno vissuto.
Adagiato sulla vecchia Gibellina, oggi il lavoro di Alberto Burri protegge e preserva, con il perpetuo invito al silenzio, la memoria dell’immane tragedia scatenata dal sisma.
“Il Cretto - ribadisce il curatore - accoglie i suoi visitatori nel silenzio della natura interrotto solo dai suoni della vita di campagna: le campane degli animali al pascolo, il cinguettio degli uccelli, il suono del vento. Ma in questo silenzio rimbomba ancora il frastuono del sisma, il tremore convulso della terra. Non c’è, infatti, opera d’arte degna di questo nome che non sia in rapporto al Terrificante. Anche se in realtà la poetica del Cretto ha le sue origini nella prima metà degli anni Cinquanta”.
Ed infatti, nel caso delle Plastiche, è ad esempio l’uso del fuoco a infliggere su di una materia debole come la plastica l’ustione della vita e della morte.
Il racconto poetico del grande intervento realizzato da Alberto Burri per la ricostruzione del paese, divenuto l’opera di Land Art più grande al mondo, diventa il pretesto per mostrare al pubblico opere uniche dell’artista, quasi tutte in prestito da collezioni private e dalla Fondazione Palazzo Albizzini Collezione Burri. Cretti, Plastiche, Combustioni, Sacchi, ma anche Legni e Catrami realizzati tra il 1951 e il 1984 si accompagnano alle belle fotografie in bianco e nero di Aurelio Amendola sul Grande Cretto. Raccogliendo le immagini dell’artista, dei suoi lavori e dei vari processi creativi, il fotografo ha realizzato gli scatti in due riprese, nel 2011 e nel 2018, quando ormai l’opera era stata completata da tre anni.
Al termine dell’itinerario espositivo, il video di Petra Noordkamp - prodotto e presentato nel 2015 dal Guggenheim Museum di New York, in occasione della retrospettiva The Trauma of Painting - traduce in un racconto per immagini l’opera di Burri e il suo paesaggio circostante.
In occasione della mostra è stato realizzato dalla casa editrice Magonza un volume ricco di testimonianze e ricerche inedite su Alberto Burri, la sua opera e Il Grande Cretto di Gibellina. Accanto agli interventi di storici dell’arte quali Gianfranco Maraniello e Aldo Iori, anche un nuovo testo di Recalcati che raccoglie gli ulteriori sviluppi della sua ricerca.
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