Monsignor Gianantonio Borgonovo presenta la mostra “Arte Novissima”
Oltre i tagli: Lucio Fontana e il Duomo di Milano
Duomo di Milano | Foto: Boris Stroujko
Francesca Grego
04/10/2018
Milano - “Come spesso accade nei musei e nelle grandi cattedrali, anche i depositi del Duomo di Milano contengono materiali poco utilizzati o lasciati a dormire per lungo tempo. Recentemente, all’interno di una cassa chiusa, abbiamo avuto la fortuna di ritrovare il terzo dei bozzetti in gesso presentati da Lucio Fontana per la Quinta Porta del Duomo”. Così Monsignor Gianantonio Borgonovo, Arciprete della Cattedrale ambrosiana e direttore dell’Area Cultura e Conservazione della Veneranda Fabbrica, introduce le scoperte alla base di L’arte novissima. Lucio Fontana per il Duomo di Milano (1936-1956), che dal 27 ottobre schiuderà ai visitatori il profilo in ombra di un’icona dell’ultimo secolo.
“La storia della Quinta Porta risale agli anni Cinquanta”, continua Borgonovo, “quando il fondatore dello Spazialismo vinse ex-aequo con il collega Luciano Minguzzi il concorso indetto per la realizzazione dell’opera. La Veneranda Fabbrica definì il progetto di Fontana ‘arte novissima’, forse troppo avanti rispetto alle idee di allora, e infine scelse di portare a compimento la proposta di Minguzzi.
Nel cinquantesimo anniversario della morte di Lucio Fontana, siamo felici di presentare i suoi bozzetti restaurati in una mostra in progress, durante la quale il restauro prosegue offrendo al pubblico uno sguardo sull’opera via via più ampio”.
È un omaggio a un genio incompreso?
È un atto di empatia e di giustizia nei confronti di un grande artista con cui la Fabbrica intrattenne rapporti sempre molto elevati, ma a tratti difficili.
Si muove in questo senso anche la scelta di collocare in Duomo dal 3 novembre una versione dell’Assunzione, un'opera rimasta incompiuta proprio per via delle tensioni nate con Fontana negli anni Cinquanta. Certo, il suo autore l’aveva immaginata nei toni chiari del marmo di Candoglia e invece oggi possiamo vedere solo il modello in bronzo fatto fondere dalla Veneranda Fabbrica nel ’72. Ma può darci un’idea di come sarebbe apparso l’altare di Sant’Agata con una pala di Lucio Fontana.
Che cosa è cambiato nella visione della Veneranda Fabbrica? Come mai ciò che negli anni Cinquanta non era accettabile oggi è al centro di una mostra?
Nei nostri 632 anni di storia ne abbiamo vissute tante. Perfino Leonardo da Vinci si scontrò con una certa resistenza al cambiamento. Leonardo propose per il Duomo una soluzione architettonica senza precedenti: un tiburio in geometria longitudinale con la navata centrale, anziché nella tradizionale geometria quadrangolare che lo vedeva all’incrocio con il transetto. Recenti calcoli informatici hanno confermato che si trattava di un’idea geniale e anche tra i contemporanei il progetto aveva suscitato stupore e ammirazione. Ma gli fu preferita una soluzione più rassicurante, che si muoveva lungo sentieri già battuti.
Spesso il problema è la difficoltà a immaginare concretamente le novità, il timore che non siano comprese perché non corrispondono ad alcun modello riconoscibile.
Qual oggi è il valore dei bozzetti di Fontana per la Quinta Porta?
È nello scarto tra la figuratività e l’arte tout court. Nel dialogo da riannodare tra l’arte sacra e un’arte che non sia figurativa. La tradizione iconografica che parte dal Concilio di Nicea e tutta l’arte antica che la precede sono imperniate su una rappresentazione più o meno realistica della realtà. Al contrario l’arte moderna nasce dall’intuizione dell’intelletto, dal cuore, dalla psiche.
C’è un bellissimo intervento di papa Paolo VI, che tra l’altro sarà canonizzato proprio il prossimo 14 ottobre, pronunciato all’inaugurazione della sezione di arte contemporanea dei Musei Vaticani. Dice: “Molti artisti hanno sostituito la psicologia all’estetica. Questa è certamente un’evoluzione spesso pericolosa, sconcertante, ma più spesso si fa idonea a penetrare nel santuario dello spirito. In ogni caso, codesta arte che nasce più dal di dentro che dal di fuori è documento che non solo ci interessa, ma ci obbliga a conoscerla, a leggervi dentro l’anima dell’artista, l’anima contemporanea di cui egli si fa interprete e specchio sensibile”.
E più avanti: “in codesta anima, quella dell’uomo spontaneamente religioso si dispiega talora quale voce estremamente originale, qualche volta con virgineo candore, altre volte con straordinario vigore. Cioè, diciamolo apertamente: esiste anche in questo nostro arido mondo secolarizzato e talvolta perfino guasto una capacità prodigiosa di esprimere, oltre l’umano, il religioso, il divino”.
L’arte moderna può essere essa stessa, a suo modo, un dialogo con l’Infinito. Nelle parole di Paolo VI c’è un invito a riconciliare l’arte sacra con l’arte non figurativa, tanto più che oggi per raccontare la realtà così com’è abbiamo anche linguaggi come il cinema e la fotografia.
Quello tra Lucio Fontana e l’arte sacra è un connubio apparentemente insolito… Il grande pubblico associa questo artista ai famosi “tagli”, esempio di un’arte di rottura, “dissacrante” nonostante indaghi nel mistero e nell’invisibile…
In tempi moderni è proprio la non figuratività il terreno di ricerca per quella sete di infinito cui siamo portati, come esseri umani capaci di andare oltre la realtà visibile.
Lo Spazialismo creato da Fontana è la trascrizione in arte della teoria della Relatività Generale. Abituati come siamo alla fisica di Newton e a un universo a tre dimensioni, può sconvolgerci pensare che le dimensioni siano quattro: non abbiamo modelli per figurarcele nella nostra mente. Ma sta proprio qui la possibilità di aprirsi alla conoscenza di ciò che sta al di là della percezione, se è vero come dicono gli esperti che conosciamo solo il 3-4% della materia di questo universo.
L’arte di Fontana è una porta aperta sul mistero, segnata simbolicamente da tagli che rompono spazialità, vale a dire l’impossibilità di comprendere con le sole tre dimensioni la realtà che ci sta intorno.
Il progetto per la Quinta Porta nasce alcuni anni dopo la Seconda Guerra Mondiale, un momento cruciale nella storia di Milano. Come si inserisce il lavoro di Fontana nel dopoguerra milanese e nel percorso di costruzione continua che attraversa tutta la vita del Duomo?
La Milano di cui parliamo è quella in cui, superata la crisi del dopoguerra, si iniziano a ricostruire con nuovo impeto le realtà dell’industria, della città, un modello rinnovato di convivenza democratica e civile.
Quello tra Lucio Fontana e Milano è un rapporto di simbiosi. Non è un caso che proprio in questo periodo Fontana viva il suo momento più creativo. Se lo Spazialismo ha origine negli anni Trenta, il suo primo manifesto viene pubblicato solo nel ’47, mentre negli anni Cinquanta arrivano i contributi sul tema della tecnica e il Manifesto del Movimento Spazialista per la Televisione.
È in questo periodo che si configura anche la volontà di terminare la Quinta Porta, e simbolicamente si dice che la costruzione del Duomo si concluda con la sua inaugurazione nel ‘65. In realtà il Duomo si rigenera di continuo, grazie a un cantiere sempre aperto che si occupa di sostituire i pezzi deteriorati o non più conformi alle norme di sicurezza.
“Abbiamo voluto che L’arte novissima coinvolgesse tutta Milano e i turisti che passano per il Museo del Duomo – conclude Monsignor Borgonovo - per aprire lo sguardo su un artista conosciuto da molti in maniera parziale, per sprazzi che non ne esprimono la ricchezza poetica e di pensiero”.
L’offerta della mostra si completa quindi con attività per bambini e adulti, nonché una speciale visita guidata nella giornata di sabato 27 ottobre. L’iniziativa fa parte del ricco programma di visite tematiche che animano questo autunno in Duomo: dalla passeggiata tra le guglie (6 ottobre) ai suoni dei celebri organi (20 ottobre), fino a un viaggio alla scoperta delle origini più remote della Cattedrale (13 ottobre).
E se il Mese del Musica è stato appena inaugurato per andare avanti con altri cinque concerti, per chi dopo aver letto l’intervista sia stato incuriosito dai rapporti tra Leonardo e il Duomo, l’appuntamento è per il 2019: in occasione dei 500 anni dalla morte del genio, l’argomento sarà approfondito in una giornata di studio e di confronto.
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Nel cinquantesimo anniversario della morte di Lucio Fontana, siamo felici di presentare i suoi bozzetti restaurati in una mostra in progress, durante la quale il restauro prosegue offrendo al pubblico uno sguardo sull’opera via via più ampio”.
È un omaggio a un genio incompreso?
È un atto di empatia e di giustizia nei confronti di un grande artista con cui la Fabbrica intrattenne rapporti sempre molto elevati, ma a tratti difficili.
Si muove in questo senso anche la scelta di collocare in Duomo dal 3 novembre una versione dell’Assunzione, un'opera rimasta incompiuta proprio per via delle tensioni nate con Fontana negli anni Cinquanta. Certo, il suo autore l’aveva immaginata nei toni chiari del marmo di Candoglia e invece oggi possiamo vedere solo il modello in bronzo fatto fondere dalla Veneranda Fabbrica nel ’72. Ma può darci un’idea di come sarebbe apparso l’altare di Sant’Agata con una pala di Lucio Fontana.
Che cosa è cambiato nella visione della Veneranda Fabbrica? Come mai ciò che negli anni Cinquanta non era accettabile oggi è al centro di una mostra?
Nei nostri 632 anni di storia ne abbiamo vissute tante. Perfino Leonardo da Vinci si scontrò con una certa resistenza al cambiamento. Leonardo propose per il Duomo una soluzione architettonica senza precedenti: un tiburio in geometria longitudinale con la navata centrale, anziché nella tradizionale geometria quadrangolare che lo vedeva all’incrocio con il transetto. Recenti calcoli informatici hanno confermato che si trattava di un’idea geniale e anche tra i contemporanei il progetto aveva suscitato stupore e ammirazione. Ma gli fu preferita una soluzione più rassicurante, che si muoveva lungo sentieri già battuti.
Spesso il problema è la difficoltà a immaginare concretamente le novità, il timore che non siano comprese perché non corrispondono ad alcun modello riconoscibile.
Qual oggi è il valore dei bozzetti di Fontana per la Quinta Porta?
È nello scarto tra la figuratività e l’arte tout court. Nel dialogo da riannodare tra l’arte sacra e un’arte che non sia figurativa. La tradizione iconografica che parte dal Concilio di Nicea e tutta l’arte antica che la precede sono imperniate su una rappresentazione più o meno realistica della realtà. Al contrario l’arte moderna nasce dall’intuizione dell’intelletto, dal cuore, dalla psiche.
C’è un bellissimo intervento di papa Paolo VI, che tra l’altro sarà canonizzato proprio il prossimo 14 ottobre, pronunciato all’inaugurazione della sezione di arte contemporanea dei Musei Vaticani. Dice: “Molti artisti hanno sostituito la psicologia all’estetica. Questa è certamente un’evoluzione spesso pericolosa, sconcertante, ma più spesso si fa idonea a penetrare nel santuario dello spirito. In ogni caso, codesta arte che nasce più dal di dentro che dal di fuori è documento che non solo ci interessa, ma ci obbliga a conoscerla, a leggervi dentro l’anima dell’artista, l’anima contemporanea di cui egli si fa interprete e specchio sensibile”.
E più avanti: “in codesta anima, quella dell’uomo spontaneamente religioso si dispiega talora quale voce estremamente originale, qualche volta con virgineo candore, altre volte con straordinario vigore. Cioè, diciamolo apertamente: esiste anche in questo nostro arido mondo secolarizzato e talvolta perfino guasto una capacità prodigiosa di esprimere, oltre l’umano, il religioso, il divino”.
L’arte moderna può essere essa stessa, a suo modo, un dialogo con l’Infinito. Nelle parole di Paolo VI c’è un invito a riconciliare l’arte sacra con l’arte non figurativa, tanto più che oggi per raccontare la realtà così com’è abbiamo anche linguaggi come il cinema e la fotografia.
Quello tra Lucio Fontana e l’arte sacra è un connubio apparentemente insolito… Il grande pubblico associa questo artista ai famosi “tagli”, esempio di un’arte di rottura, “dissacrante” nonostante indaghi nel mistero e nell’invisibile…
In tempi moderni è proprio la non figuratività il terreno di ricerca per quella sete di infinito cui siamo portati, come esseri umani capaci di andare oltre la realtà visibile.
Lo Spazialismo creato da Fontana è la trascrizione in arte della teoria della Relatività Generale. Abituati come siamo alla fisica di Newton e a un universo a tre dimensioni, può sconvolgerci pensare che le dimensioni siano quattro: non abbiamo modelli per figurarcele nella nostra mente. Ma sta proprio qui la possibilità di aprirsi alla conoscenza di ciò che sta al di là della percezione, se è vero come dicono gli esperti che conosciamo solo il 3-4% della materia di questo universo.
L’arte di Fontana è una porta aperta sul mistero, segnata simbolicamente da tagli che rompono spazialità, vale a dire l’impossibilità di comprendere con le sole tre dimensioni la realtà che ci sta intorno.
Il progetto per la Quinta Porta nasce alcuni anni dopo la Seconda Guerra Mondiale, un momento cruciale nella storia di Milano. Come si inserisce il lavoro di Fontana nel dopoguerra milanese e nel percorso di costruzione continua che attraversa tutta la vita del Duomo?
La Milano di cui parliamo è quella in cui, superata la crisi del dopoguerra, si iniziano a ricostruire con nuovo impeto le realtà dell’industria, della città, un modello rinnovato di convivenza democratica e civile.
Quello tra Lucio Fontana e Milano è un rapporto di simbiosi. Non è un caso che proprio in questo periodo Fontana viva il suo momento più creativo. Se lo Spazialismo ha origine negli anni Trenta, il suo primo manifesto viene pubblicato solo nel ’47, mentre negli anni Cinquanta arrivano i contributi sul tema della tecnica e il Manifesto del Movimento Spazialista per la Televisione.
È in questo periodo che si configura anche la volontà di terminare la Quinta Porta, e simbolicamente si dice che la costruzione del Duomo si concluda con la sua inaugurazione nel ‘65. In realtà il Duomo si rigenera di continuo, grazie a un cantiere sempre aperto che si occupa di sostituire i pezzi deteriorati o non più conformi alle norme di sicurezza.
“Abbiamo voluto che L’arte novissima coinvolgesse tutta Milano e i turisti che passano per il Museo del Duomo – conclude Monsignor Borgonovo - per aprire lo sguardo su un artista conosciuto da molti in maniera parziale, per sprazzi che non ne esprimono la ricchezza poetica e di pensiero”.
L’offerta della mostra si completa quindi con attività per bambini e adulti, nonché una speciale visita guidata nella giornata di sabato 27 ottobre. L’iniziativa fa parte del ricco programma di visite tematiche che animano questo autunno in Duomo: dalla passeggiata tra le guglie (6 ottobre) ai suoni dei celebri organi (20 ottobre), fino a un viaggio alla scoperta delle origini più remote della Cattedrale (13 ottobre).
E se il Mese del Musica è stato appena inaugurato per andare avanti con altri cinque concerti, per chi dopo aver letto l’intervista sia stato incuriosito dai rapporti tra Leonardo e il Duomo, l’appuntamento è per il 2019: in occasione dei 500 anni dalla morte del genio, l’argomento sarà approfondito in una giornata di studio e di confronto.
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