Davide Peiretti. Il pittore della musica
Dal 07 Maggio 2016 al 22 Maggio 2016
Gavirate | Varese
Luogo: Chiostro di Voltorre
Indirizzo: piazza Chiostro 23
Curatori: Philippe, Pierre e Christophe Daverio
Enti promotori:
- Provincia di Varese – Settore Cultura
Telefono per informazioni: (+39) 338 83 78 991
E-Mail info: ritapeiretti@alice.it
Verrà inaugurata sabato 7 maggio alle ore 17,30 al Chiostro di Voltorre di Gavirate (Varese) a cura della Provincia di Varese – Settore Cultura,la mostra dedicata al pittore torinese Davide Peiretti (Torino 1933-2008), uno dei più raffinati interpreti della stagione della pittura astratta italiana. Peiretti sceglie la tecnica astratta come la più congeniale alla sua poetica fantastica e diviene parte attiva della vivacissima stagione che vede – tra il 1960 e l’90 – Torino centro delle arti figurative, con nomi che acquisteranno fama internazionale.
La definizione di “pittore della musica” deriva dal profondo legame tra Davide Peiretti e il mondo musicale.
Il tributo al pittore durerà fino al 22 maggio e la mostra sarà aperta dalle ore 14 alle 18 dei giorni venerdì e domenica, mentre al sabato l'orario proseguirà fino alle ore 22. Nel giorno dell'inaugurazione è previsto un concerto dell'Accademia dei Solinghi, con “Medea”: cantata di Nicolas Clérambault e Monologo di Patrizia Filia. I musicisti: Angelo Manzotti, sopranista, Cristiana Voglino, voce recitante, Liana Mosca, violino, Alessandro Peiretti, violoncello e Rita Peiretti, maestro al cembalo (rispettivamente figlio e moglie di Davide Peiretti).
Questo non sarà l'unico concerto previsto durante la mostra: sabato 14 maggio alle ore 19 ci sarà infatti un altro tributo con “Variazione a Vienna”, temi e variazioni di Mozart e Schubert con Aline Jaussi al fortepiano.
Fortepiano Bizzi Clavicembali S.A.S.
Sabato 21 maggio alle ore 19, “Violoncello e clarinetto”, prima suite per violoncello solo; Johann Sebastian Bach e improvvisazioni da immagini Davide Peiretti. Christophe Daverio violoncello, Luc Fuchs clarinetto.
La mostra resterà aperta dal 7 al 22 maggio con orario: ven.-dom. dalle ore 14 alle 18
(Orario prolungato – tutti i sabati della mostra – fino alle ore 22, per concerti).
Dice di lui Philippe Daverio
“La peinture est comme la musique” è il titolo d’un acquarello di Francis Picabia che apriva, nei primi decenni del secolo scorso, alle immaginazioni surrealiste parigine, in una Parigi dove in realtà questo rapporto intimo fra armonie pittoriche e armonie sonore era già stato esaltato da Dominque Ingres (il quale peraltro suonava il violino con tale dedizione e attenzione alle composizioni del sommo Cherubini che tuttora in Francia, per parlare d’ un hobby che diventa seconda professione, si usa la dicitura “violon d’Ingres). Vassily Kandinskij, cresciuto come universitario antropologo e quindi come teorico ben prima di dedicarsi esclusivamente alla pittura, aveva intitolato le sue iniziali sperimentazioni astratte, dopo avere sentito un concerto di Arnold Schönberg, a composizioni musicali, sicché i suoi capolavori sono tuttora noti come “composizioni”, “variazioni” o “improvvisazioni”. D’altronde il suo delicato collega del Bauhaus, Paul Klee, era figlio d’una accorta pianista e suonava lui stesso, con buona abilità, il violino proprio come Ingres. All’opposto Arnold Schönberg si dedicava alla pittura con eccellenti risultati tracciando le basi del linguaggio espressionista tedesco. Tra l’altro, per tornare ai misteri della nostra penisola, basterebbe ricordare la passione pianistica di Felice Casorati che lo portò ad un tale impegno da culminare, quando aveva egli diciotto anni, in un esaurimento nervoso che curò dandosi alla pittura e diventando un protagonista del Novecento. La pittura cura la musica, la musica stimola la pittura.
Davide Peiretti rientra a pieno titolo in questa augusta schiera di fortunati creativi. Nasce infatti in una famiglia di liutai, intesi questi nel senso più tecnico della parola, cioè di fabbricatori di strumenti ad arco e in parallelo di strumenti a tastiera per i quali la tavola armonica presenta problematiche analoghe a quelle della tavola del violino. Poi se ne va a Parigi e torna convertito alla pittura, e dipinge nel periodo nel quale le sperimentazioni astratte diventano in Italia un banco di prova reale per la creatività. Ma mentre il dibattito in generale dell’astrazione si articolerà fra sperimentazioni geometriche e ricerche di materia, sarà proprio la mente musicale ad offrigli una strada di ricerca autonoma e particolare.
La musica, per definizione, non può essere statica; richiede, per esistere, il senso profondo del tempo e perciò del dinamismo e del movimento. Ed è in questa direzione, che non è solo di equilibri ma invero di pulsioni, che andrà a ricercare una sua personale cifra. La sua pittura fugge e corre, si articola, si torciglia; non riesce ad evitare il fascino del movimento che del percorso sonoro è la base necessaria. Dell’ onda sonora prende addirittura l’ immagine sinusoidale che viene usata per raffigurala nei trattati di fisica. E intanto continua a restaurare e a produrre strumenti, i quali ulteriormente lo stimolano alla linea curva, alla sovrapposizione delle campiture, ai ritmi che sfuggono e corrono.
Ciò che nel suo percorso è di particolare e curioso interesse è proprio questa commistione fra musica e strumenti, fra forme mentali e forma fisica, che gli servono da introduzione ad un cosmo estetico dove delicatezza e vigore entrano in perfetto contrappunto. Ciò che lo rende unico è, oltre la sensibilità, l’esperienza di vita vissuta, di lavoro realizzato, di poesia percepita. La leggerezza è infatti eleganza. E l’eleganza garbata è motto dell’anima.
DAVIDE PEIRETTI (1933 – 2008)
Nasce a Torino il 19 febbraio 1933. La passione per la pittura lo porta, poco più che ventenne, a Parigi dove risiede per due anni, entrando in contatto con gli esponenti delle nuove correnti dell'arte contemporanea. Tornato a Torino si iscrive all'Accademia del Nudo, diventando allievo di Filippo Scroppo.
Sceglie la tecnica astratta come la più congeniale alla sua poetica fantastica e diviene parte attiva della vivacissima stagione che vede – tra il 1960 e l’90 – Torino centro delle arti figurative, con nomi che acquisteranno fama internazionale.
Uomo di profonda cultura filosofica, umanistica e musicale, legato, oltre ai colleghi pittori e scultori, anche a personalità di spicco del panorama torinese, come il filosofo Sergio Ruffino, il compositore Gilberto Bosco, lo scrittore Alessandro Buffa, etc. Intensa del pari la sua collaborazione con il mondo musicale, mediato dalla moglie Rita e dal figlio Alessandro, entrambi musicisti, che lo porta a realizzare numerose opere ispirate a brani di compositori sia antichi che contemporanei.
Partecipa a numerose mostre collettive e, nel 1965, tiene la sua prima personale alla Galleria d’Arte “Botero” di Torino.
Nel ’67 è vincitore del 1° premio nazionale “Il Punto d’Oro” di Sciacca.
Seguono personali alla Scotland House di Milano, all’Università degli Studî – Collegio Cairoli – di Pavia, alla Galleria “La Cittadella” e alla Libreria “Campus” di Torino, al Forte dell’Annunziata di Ventimiglia, etc.
Nell’82 la Promotrice delle Belle Arti di Torino gli dedica una personale dove espone anche il grande “Telero” (m.5 x 7), una delle sue opere maggiori.
Esposizioni all’estero:
Istituto Italiano di Cultura di Amsterdam, Banco di Roma di Bruxelles, Music Sources a Berkeley e Istituto Italiano di Cultura di San Francisco.
Nel 2014 l’Archivio di Stato di Torino gli dedica una retrospettiva.
Muore a Torino il 15 gennaio 2008.
Davide Peiretti e la musica
Davide Peiretti discende da una famiglia che dal 1870 si occupa di costruzione e restauro di strumenti musicali. Il nonno Medardo era un abile costruttore di armonium ed il padre, Michele, proseguì tale attività dedicandosi anche al restauro di strumenti ad arco. Davide entrò nella bottega dal padre giovanissimo e rimase a lavorare con lui fino a vent’anni, età in cui lasciò questa attività per dedicarsi all’amata pittura.
Quando la moglie Rita, pianista, all’inizio degli anni ’70 decide di specializzarsi in clavicembalo ebbe il problema del reperimento dello strumento sul quale esercitarsi. La riscoperta dello studio filologico della musica antica era agli albori e gli strumenti che si trovavano in commercio erano brutte (bruttissime) copie degli originali. Davide decise quindi di costruirne uno che fosse la copia fedele di uno strumento storico. Fece quindi ricorso all’esperienza che gli veniva dalla bottega del padre, ma il vero dramma (disse in un’intervista fattagli all’epoca) fu reperire il materiale adatto, in quanto non esistevano più i fabbricanti di corde e molti altri elementi indispensabili per la costruzione di un clavicembalo.
Con la sua inventiva e genialità riuscì a superare ogni difficoltà e nel corso degli anni costruì tre strumenti. L’ultimo, del 1986, bellissimo, sul quale la moglie svolge tuttora la sua attività concertistica, è copia del Taskin 1769 della Russel Collection di Edimburgo.
Quando il figlio Alessandro iniziò a studiare violoncello Davide fece per lui tre violoncelli e, anche in questo caso, il terzo è quello sul quale Alessandro suona da 14 anni nell’orchestra Sinfonica “La Verdi” di Milano.
Dagli amici musicisti fu, però coinvolto sempre più frequentemente nel restauro di strumenti antichi, arte nella quale dimostrò di possedere un’abilità straordinaria. I Conservatori di Torino, Alessandria, Cuneo e la Rai gli affidarono il restauro dei loro strumenti ad arco storici. Passarono per le sue mani strumenti dei maggiori liutai dell’antichità, Testore, Grancino, Arienti, Ruggeri, Marchetti, ecc. Da ricordare tra tutti un suo intervento sul violoncello “Du Port” di Stradivari che rese possibile un concerto che Rostropovitch aveva deciso di annullare, perché lo strumento (di sua proprietà) non suonava come lui desiderava. E il grande restauro sul contrabbasso Maggini, del 1600, di proprietà del Conservatorio di Torino, che sembrava irrecuperabile ed ora invece suona magnificamente. “Il restauro per me rappresenta un’avventura intellettuale, se non addirittura una sfida”.
Il rapporto di Davide con la musica non fu però solo limitato alla liuteria.
Egli aveva un profonda ed eclettica cultura, ovviamente per le arti figurative che erano la sua disciplina, poi umanistica e filosofica, ma fra tutte spiccava quella per la musica che conosceva da grande intenditore.
Numerose furono quindi le sue opere pittoriche che egli dedicò alla musica.
Nel 1983 fece una cartella di stampe che furono presentate alla Libreria Campus di Torino.
Si intitolavano “La Suite”, erano sei: Menuets croisés, Les Ombres errantes, L’Enharmonique, Le Point du jour, Le Tourbillon, La Visionaire. Ispirate a composizioni omonime di François Couperin.
Il musicologo Enzo Restagno nella sua presentazione suggerisce che, come alla corte del Re Sole era vietato essere espliciti, così i quadri di Davide non vogliono porre ipoteche sul significato ma lasciano ad ognuno il diritto di ricercare.
L’anno successivo fu nuovamente Couperin fonte di ispirazione, questa volta con “Les Folies françoises, ou les Dominos”, dodici variazioni su un tema nelle quali altrettanti “stati d’animo - situazioni” erano coperte da un domino di differente colore. Da “la Verginité” sous le Domino couleur d’invisible, a “la Frénesie, ou le Désespoir” sous le Domino noir.
Nelle dodici tavole è evidente il rapporto tra le indicazioni di colore poste nei titoli delle composizioni e la purezza dei fogli di grafica che ne suggeriscono una chiave di lettura.
I “Dominos” furono presentati ad Amsterdam, Ventimiglia, Berkley (Ca) e San Francisco.
Sempre per Berkley e San Francisco nell’89 compose “Le Variazioni Goldberg” su musica di Bach.
Nel 1987, su invito del compositore Enrico Correggia, presidente di “Antidogma”, per i festeggiamenti del decennale dell’associazione culminanti con una grande rassegna di concerti di musica contemporanea all’Auditorium della Rai di Torino, Davide fece una serie di stampe dedicate a composizioni che sarebbero state eseguite nel corso dei concerti:
“Jonisation” di Edgar Varèse, “Aroura” di Iannis Xenakis, “Omens” di Emmanuel Nunes e “Urlich” di Enrico Correggia.
Ogni stampa era presentata quattro volte, la prima in bianco e nero e le successive con colorazioni sempre più intense.
Disse Davide “una delle difficoltà insite nella godibilità della musica contemporanea da parte dell’ascoltatore è dovuta al “primo ascolto” che, nella maggior parte dei casi, diventa anche l’unico. Il mio lavoro vuole far soffermare l’attenzione su questo problema facendo constatare visivamente le insospettabili mutazioni che il colore può dare ad una stessa forma, voglio cioè creare un’analogia tra apporto di colore e reiterati ascolti, presupponendo che il bianco e nero sia paragonabile al primo ascolto”.
Altre opere vennero dedicate a composizioni dei molti amici musicisti, spazi che si animano di forme colorate che si rincorrono e susseguono, quasi appuntate su una partitura.
Destino inverso ebbe invece il grande trittico “Les Regions inconnues”. Il compositore Daniele Bertotto quando lo vide ne restò talmente impressionato che scrisse su di esso una sinfonia, che ne porta il titolo, e che venne eseguita dall’orchestra Sinfonica della Rai nell’Auditorium di Torino.
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