L’ultimo lavoro di Fabio Mollo e Alessandra Cataleta
Semidei - Un documentario racconta i Bronzi di Riace, eroi "di pace" venuti dal mare
Semidei - Courtesy MedFilm Festival | REGGI&SPIZZICHINO Communication
Samantha De Martin
22/11/2023
Il mito li ha consegnati al mare, come monito di pace contro tutti i conflitti, reliquie immortali di una lotta tra fratelli, quella tra Eteocle e Polinice, talmente innaturale da generare solo morte.
Una comunità in estasi li ha accolti, migranti ancor prima dei naufraghi di Cutro, contendendosene la scoperta e traslandoli dal fondale della costa di Riace a Roma, e poi al Museo Archeologico Nazionale di Reggio Calabria, tempio definitivo del pellegrinaggio dove almeno una volta nella vita, nasi all’insù, li abbiamo contemplati girando loro attorno, come si fa alle processioni con le statue dei santi o forse dei semidei.
Prima la spalla, poi il braccio, quindi l’avambraccio, il ginocchio, l’estremità di un alluce. La gloria dei Bronzi di Riace, inabissata per 2500 anni a 8,50 metri di profondità e a 230 metri dalla riva, sottratta al mare la mattina del 16 agosto del 1972 dal sub romano Stefano Mariottini, ha la consistenza fluida dell’acqua, la persistenza del sale, e si porta dietro l’identità dei luoghi che le due statue hanno assorbito e attraversato, dal momento della loro creazione fino al ritrovamento in Calabria.
Un paesaggio arso che si fa breccia lungo la loro pelle di bronzo, si fonde con essa, diventando una cosa unica, forte, fragile e complessa al tempo stesso, da salvaguardare e proteggere.
Si può intravedere il futuro guardando due statue di 2500 anni fa? Il regista reggino Fabio Mollo affida la sua risposta a Semidei, un documentario straordinariamente “vero”, dove il materiale di repertorio del passato e le testimonianze originali del nostro presente si alternano e si mescolano, provando a tessere un presente lungo 2500 anni, immaginando un futuro che, ebbene sì, anche in Calabria, può esistere.
Semidei - Courtesy MedFilm Festival | REGGI&SPIZZICHINO Communication
Presentato lo scorso 6 settembre alle Giornate degli Autori del Festival del Cinema di Venezia, riproposto al MAXXI di Roma nell’ambito dell’edizione numero 29 del MedFilm Festival - il primo festival in Italia dedicato alle cinematografie del Mediterraneo, fondato e diretto da Ginella Vocca - Semidei continuerà a portare in giro, presentato per adesso nell’ambito dei festival, il messaggio d’amore di Mollo per la sua terra d’arte e di bellezza. Con la speranza che il pubblico possa vederlo presto anche nelle sale o sul piccolo schermo.
Scritto da Armando Maria Trotta, Massimo Razzi, Giuseppe Smorto e Fabio Mollo, diretto da Fabio Mollo e da Alessandra Cataleta, distribuito da Palomar, e realizzato con il sostegno della Regione Calabria - Dipartimento Istruzione, Formazione e Pari Opportunità e Fondazione Calabria Film Commission, Semidei ripercorre mezzo secolo di storia. Raccontando i due misteriosi guerrieri riemersi dal mare attraverso riprese subacquee, telegiornali d'epoca, immagini di repertorio, filmini familiari, documenti inediti, testimonianze dirette, il racconto di un presente in continuo divenire, ma soprattutto interviste. Come quella (inedita) a Stefano Mariottini, la mano che ha sottratto i due naufraghi all’oblio. “Mi stavano aspettando” spiega a un certo punto del documentario. Erano affogati e lui li ha restituiti al mondo.
Piace molto Semidei perché ha due anime, come d’altronde i guerrieri che racconta: un cuore storico e un’aura mitica, intessuta di mistero. Anime palpitanti che danno ritmo al racconto della vicenda, tenendo viva per 94 minuti l’attenzione di chi guarda.
Semidei - Courtesy MedFilm Festival | REGGI&SPIZZICHINO Communication
Come sono arrivate le statue a Riace e che fine ha fatto il relitto che le trasportava? Perché non è mai stato cercato? E perché il carico dell’imbarcazione, sparigliato molto probabilmente a causa di un naufragio mentre era diretto da Roma a Costantinopoli, non è mai stato recuperato?
A livello tecnico-artistico il lavoro di Mollo è illuminante, non soltanto perché, attraverso il contributo dei più autorevoli esperti che, sin dal ritrovamento delle statue, studiano e curano i due guerrieri, ci dice molto sulla loro storia e sulle possibili origini facendoci entrare, grazie a immagini di repertorio, attraverso microcamere, anche tra le cavità interne (al tempo corrose) dei loro corpi. Ma perché getta un sasso nel futuro, dal momento che Bronzi di Riace, come ogni cosa smarrita e poi ritrovata, incarnano quei desideri di “domani”, di pace e di bellezza che dalla notte dei tempi animano il genere umano.
Barlumi di futuro emergono come lampi a illuminare questa lettera d’amore alla Calabria e alla sua gente, attraverso il messaggio di pace che i Bronzi custodiscono. Come spiega, attraverso il suo contributo, Daniele Castrizio, docente di numismatica presso l’Università di Messina e profondo conoscitore delle due statue, i Bronzi sono stati realizzati intorno alla metà del V secolo a.C, ad Argo. Farebbero parte del complesso monumentale riprodotto da Pitagora di Reggio, che raffigura il mito de “I sette contro Tebe” della tragedia di Eschilo. I figli di Edipo, Eteocle e Polinice, dopo una lotta fratricida per aggiudicarsi il potere, si combattono a vicenda, prima con gli eserciti e poi da soli, per la stessa corona, fino ad arrivare a uccidersi. Eccola la statua A, l’unica al mondo a mostrare i denti d’argento con una smorfia di rabbia, riconducibile a Polinice, mentre Eteocle indossa la cuffia di cuoio kyne, l’elmo del comandante, segno dorico del tiranno. Il complesso statuario raffigurante il mito sarebbe stato esposto a Roma con significato allegorico: un invito a non combattere le guerre civili, perché la lotta tra fratelli, specie se combattuta per il vile guadagno, genera solo morte.
Questa identità dei Bronzi supportata dagli studiosi offre a Mollo il pretesto per allargare l’orizzonte ad alcuni fatti legati alla sua terra, a quella l”guerra civile” consumatasi in riva allo Stretto dal luglio del 1970 al febbraio del 1971, in seguito alla decisione di collocare il capoluogo di regione a Catanzaro. Dall’arte alla storia, dunque, lo sguardo si rivolge a quelli che sono passati alla storia come i “Moti di Reggio”.
Semidei - Courtesy MedFilm Festival | REGGI&SPIZZICHINO Communication
Davanti a Semidei conosciamo una Calabria diversa, non solo la terra dalla quale si scappa, ma dove si arriva e chi vi arriva viene accolto, come è accaduto per i due guerrieri. Come testimonia Angela, una donna ucraina rifugiata in Calabria e che racconta i Bronzi attraverso la sua storia. Ed ecco che Roccella, Riace, Cutro, Kherson diventano tessere di un unico mosaico fatto di fughe, approdi, ritorni. Le due statue diventano un filo che lega ricercatori, archeologi, studiosi come Koichi Hada, Vinzenz Brinkmann, Beatrice Zamuner, a Damiano, il ragazzo Rom di Lamezia Terme che vede i Bronzi per la prima volta considerandoli “santi”. Per questo i semidei di Mollo e Cataleta non rappresentano soltanto il muto involucro di un tempo sepolto da alghe e sabbia. Si fa megafono e invito alla scoperta di una realtà, gettando una scure sugli stereotipi.
I due eroi di bronzo sono anche i santi Cosma e Damiano, protettori di Riace e della sua gente, esseri umani, in carne e ossa, sono Carlotta, una giovane donna che lotta per la sua emancipazione oggi, come ha fatto anche Adele Cambria durante la sua attività di giornalista e intellettuale. Sono infine i quattro adolescenti di Riace che hanno creduto di averli visti per primi.
Semidei - Courtesy MedFilm Festival | REGGI&SPIZZICHINO Communication
Eccoli i Bronzi nel racconto appassionato del restauratore Nuccio Schepis che ricorda quella polvere di 2500 anni fa uscita durante il restauro dalla bocca di una delle statue che tornava finalmente a respirare.
“I Bronzi siamo tutti noi che, nel corso dei secoli, li guardiamo, estasiati, rapiti: ci riflettiamo sulla superficie della loro pelle metallica e vediamo noi stessi riflessi, o meglio ancora, il desiderio che abbiamo di noi stessi. Ed è per questo che sono Semidei” spiegano all’unisono Fabio Mollo e Alessandra Cataleta.
“Questo film documentario sull’arte unito al cinema del reale nasce da un percorso pensato per il cinquantesimo anniversario dal loro ritrovamento – spiega Mollo -. Nasce dall’idea di due co-sceneggiatori e registi che partono da un’inchiesta. Lo scopo non è solo quello di raccontare un’opera d’arte, ormai parte del DNA della gente, ma di scavare, andare oltre. Per questo la realizzazione di Semidei ha comportato uno studio continuo delle due statue. Allo sguardo degli studiosi abbiamo voluto aggiungere quello delle persone. La suggestione è partita dalle immagini di repertorio che le immortalavano mentre, nel 1981, durante la prima esposizione, guardavano queste statue con ammirazione. Al di là delle polemiche legate al ritrovamento e che ci hanno fatto per certi versi dimenticare la loro storia, grazie a questo documentario ho scoperto che i Bronzi di Riace sono stati creati per lanciare un messaggio di pace urgente nella Grecia del V secolo, che arriva fino a noi”.
E ha ragione Alessandra Cataleta quando definisce Semidei un’ "apologia della bellezza". Un terreno comune di dialogo tra popoli ed esseri umani, oggi più che mai necessario.
Semidei, locandina - Courtesy MedFilm Festival | REGGI&SPIZZICHINO Communication
Una comunità in estasi li ha accolti, migranti ancor prima dei naufraghi di Cutro, contendendosene la scoperta e traslandoli dal fondale della costa di Riace a Roma, e poi al Museo Archeologico Nazionale di Reggio Calabria, tempio definitivo del pellegrinaggio dove almeno una volta nella vita, nasi all’insù, li abbiamo contemplati girando loro attorno, come si fa alle processioni con le statue dei santi o forse dei semidei.
Prima la spalla, poi il braccio, quindi l’avambraccio, il ginocchio, l’estremità di un alluce. La gloria dei Bronzi di Riace, inabissata per 2500 anni a 8,50 metri di profondità e a 230 metri dalla riva, sottratta al mare la mattina del 16 agosto del 1972 dal sub romano Stefano Mariottini, ha la consistenza fluida dell’acqua, la persistenza del sale, e si porta dietro l’identità dei luoghi che le due statue hanno assorbito e attraversato, dal momento della loro creazione fino al ritrovamento in Calabria.
Un paesaggio arso che si fa breccia lungo la loro pelle di bronzo, si fonde con essa, diventando una cosa unica, forte, fragile e complessa al tempo stesso, da salvaguardare e proteggere.
Si può intravedere il futuro guardando due statue di 2500 anni fa? Il regista reggino Fabio Mollo affida la sua risposta a Semidei, un documentario straordinariamente “vero”, dove il materiale di repertorio del passato e le testimonianze originali del nostro presente si alternano e si mescolano, provando a tessere un presente lungo 2500 anni, immaginando un futuro che, ebbene sì, anche in Calabria, può esistere.
Semidei - Courtesy MedFilm Festival | REGGI&SPIZZICHINO Communication
Presentato lo scorso 6 settembre alle Giornate degli Autori del Festival del Cinema di Venezia, riproposto al MAXXI di Roma nell’ambito dell’edizione numero 29 del MedFilm Festival - il primo festival in Italia dedicato alle cinematografie del Mediterraneo, fondato e diretto da Ginella Vocca - Semidei continuerà a portare in giro, presentato per adesso nell’ambito dei festival, il messaggio d’amore di Mollo per la sua terra d’arte e di bellezza. Con la speranza che il pubblico possa vederlo presto anche nelle sale o sul piccolo schermo.
Scritto da Armando Maria Trotta, Massimo Razzi, Giuseppe Smorto e Fabio Mollo, diretto da Fabio Mollo e da Alessandra Cataleta, distribuito da Palomar, e realizzato con il sostegno della Regione Calabria - Dipartimento Istruzione, Formazione e Pari Opportunità e Fondazione Calabria Film Commission, Semidei ripercorre mezzo secolo di storia. Raccontando i due misteriosi guerrieri riemersi dal mare attraverso riprese subacquee, telegiornali d'epoca, immagini di repertorio, filmini familiari, documenti inediti, testimonianze dirette, il racconto di un presente in continuo divenire, ma soprattutto interviste. Come quella (inedita) a Stefano Mariottini, la mano che ha sottratto i due naufraghi all’oblio. “Mi stavano aspettando” spiega a un certo punto del documentario. Erano affogati e lui li ha restituiti al mondo.
Piace molto Semidei perché ha due anime, come d’altronde i guerrieri che racconta: un cuore storico e un’aura mitica, intessuta di mistero. Anime palpitanti che danno ritmo al racconto della vicenda, tenendo viva per 94 minuti l’attenzione di chi guarda.
Semidei - Courtesy MedFilm Festival | REGGI&SPIZZICHINO Communication
Come sono arrivate le statue a Riace e che fine ha fatto il relitto che le trasportava? Perché non è mai stato cercato? E perché il carico dell’imbarcazione, sparigliato molto probabilmente a causa di un naufragio mentre era diretto da Roma a Costantinopoli, non è mai stato recuperato?
A livello tecnico-artistico il lavoro di Mollo è illuminante, non soltanto perché, attraverso il contributo dei più autorevoli esperti che, sin dal ritrovamento delle statue, studiano e curano i due guerrieri, ci dice molto sulla loro storia e sulle possibili origini facendoci entrare, grazie a immagini di repertorio, attraverso microcamere, anche tra le cavità interne (al tempo corrose) dei loro corpi. Ma perché getta un sasso nel futuro, dal momento che Bronzi di Riace, come ogni cosa smarrita e poi ritrovata, incarnano quei desideri di “domani”, di pace e di bellezza che dalla notte dei tempi animano il genere umano.
Barlumi di futuro emergono come lampi a illuminare questa lettera d’amore alla Calabria e alla sua gente, attraverso il messaggio di pace che i Bronzi custodiscono. Come spiega, attraverso il suo contributo, Daniele Castrizio, docente di numismatica presso l’Università di Messina e profondo conoscitore delle due statue, i Bronzi sono stati realizzati intorno alla metà del V secolo a.C, ad Argo. Farebbero parte del complesso monumentale riprodotto da Pitagora di Reggio, che raffigura il mito de “I sette contro Tebe” della tragedia di Eschilo. I figli di Edipo, Eteocle e Polinice, dopo una lotta fratricida per aggiudicarsi il potere, si combattono a vicenda, prima con gli eserciti e poi da soli, per la stessa corona, fino ad arrivare a uccidersi. Eccola la statua A, l’unica al mondo a mostrare i denti d’argento con una smorfia di rabbia, riconducibile a Polinice, mentre Eteocle indossa la cuffia di cuoio kyne, l’elmo del comandante, segno dorico del tiranno. Il complesso statuario raffigurante il mito sarebbe stato esposto a Roma con significato allegorico: un invito a non combattere le guerre civili, perché la lotta tra fratelli, specie se combattuta per il vile guadagno, genera solo morte.
Questa identità dei Bronzi supportata dagli studiosi offre a Mollo il pretesto per allargare l’orizzonte ad alcuni fatti legati alla sua terra, a quella l”guerra civile” consumatasi in riva allo Stretto dal luglio del 1970 al febbraio del 1971, in seguito alla decisione di collocare il capoluogo di regione a Catanzaro. Dall’arte alla storia, dunque, lo sguardo si rivolge a quelli che sono passati alla storia come i “Moti di Reggio”.
Semidei - Courtesy MedFilm Festival | REGGI&SPIZZICHINO Communication
Davanti a Semidei conosciamo una Calabria diversa, non solo la terra dalla quale si scappa, ma dove si arriva e chi vi arriva viene accolto, come è accaduto per i due guerrieri. Come testimonia Angela, una donna ucraina rifugiata in Calabria e che racconta i Bronzi attraverso la sua storia. Ed ecco che Roccella, Riace, Cutro, Kherson diventano tessere di un unico mosaico fatto di fughe, approdi, ritorni. Le due statue diventano un filo che lega ricercatori, archeologi, studiosi come Koichi Hada, Vinzenz Brinkmann, Beatrice Zamuner, a Damiano, il ragazzo Rom di Lamezia Terme che vede i Bronzi per la prima volta considerandoli “santi”. Per questo i semidei di Mollo e Cataleta non rappresentano soltanto il muto involucro di un tempo sepolto da alghe e sabbia. Si fa megafono e invito alla scoperta di una realtà, gettando una scure sugli stereotipi.
I due eroi di bronzo sono anche i santi Cosma e Damiano, protettori di Riace e della sua gente, esseri umani, in carne e ossa, sono Carlotta, una giovane donna che lotta per la sua emancipazione oggi, come ha fatto anche Adele Cambria durante la sua attività di giornalista e intellettuale. Sono infine i quattro adolescenti di Riace che hanno creduto di averli visti per primi.
Semidei - Courtesy MedFilm Festival | REGGI&SPIZZICHINO Communication
Eccoli i Bronzi nel racconto appassionato del restauratore Nuccio Schepis che ricorda quella polvere di 2500 anni fa uscita durante il restauro dalla bocca di una delle statue che tornava finalmente a respirare.
“I Bronzi siamo tutti noi che, nel corso dei secoli, li guardiamo, estasiati, rapiti: ci riflettiamo sulla superficie della loro pelle metallica e vediamo noi stessi riflessi, o meglio ancora, il desiderio che abbiamo di noi stessi. Ed è per questo che sono Semidei” spiegano all’unisono Fabio Mollo e Alessandra Cataleta.
“Questo film documentario sull’arte unito al cinema del reale nasce da un percorso pensato per il cinquantesimo anniversario dal loro ritrovamento – spiega Mollo -. Nasce dall’idea di due co-sceneggiatori e registi che partono da un’inchiesta. Lo scopo non è solo quello di raccontare un’opera d’arte, ormai parte del DNA della gente, ma di scavare, andare oltre. Per questo la realizzazione di Semidei ha comportato uno studio continuo delle due statue. Allo sguardo degli studiosi abbiamo voluto aggiungere quello delle persone. La suggestione è partita dalle immagini di repertorio che le immortalavano mentre, nel 1981, durante la prima esposizione, guardavano queste statue con ammirazione. Al di là delle polemiche legate al ritrovamento e che ci hanno fatto per certi versi dimenticare la loro storia, grazie a questo documentario ho scoperto che i Bronzi di Riace sono stati creati per lanciare un messaggio di pace urgente nella Grecia del V secolo, che arriva fino a noi”.
E ha ragione Alessandra Cataleta quando definisce Semidei un’ "apologia della bellezza". Un terreno comune di dialogo tra popoli ed esseri umani, oggi più che mai necessario.
Semidei, locandina - Courtesy MedFilm Festival | REGGI&SPIZZICHINO Communication
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