Batteri pulitori restituiscono lo splendore originario al sepolcro dei Medici
Lunga vita a Michelangelo: completato il restauro della Sagrestia Nuova
Sagrestia Nuova. Michelangelo Buonarroti, Tomba di Giuliano de' Medici, duca di Nemours, dopo il restauro I Foto Antonio Quattrone, 2020 I Courtesy Musei del Bargello
Francesca Grego
09/06/2021
Firenze - I più avanzati strumenti del restauro moderno non erano bastati a cancellare le macchie scure che deturpavano il sarcofago di Lorenzo de’ Medici, duca di Urbino, nella Sagrestia Nuova in San Lorenzo. Il sangue del figlio Alessandro, assassinato e sepolto senza essere eviscerato e imbalsamato come era costume tra i suoi pari, era colato lungo tutto il basamento segnando i marmi scolpiti da Michelangelo. Ma le restauratrici dell’ISP-CNR e dell’ENEA non si sono date per vinte: tre batteri pulitori selezionati ad hoc sono riusciti ad avere ragione delle macchie, riportando all’antico splendore il sepolcro sul quale riposano le statue del Crepuscolo e dell’Aurora. è solo unodettaglio del complesso intervento di restauro che negli ultimi otto anni ha interessato la Sagrestia Nuova delle Cappelle Medicee, gioiello del Rinascimento e ultima impresa fiorentina di Michelangelo, opera totale che fonde architettura, scultura e decorazione in un insieme di altissima armonia.
Dalle pareti rivestite di marmo alle tombe di Lorenzo duca di Urbino e di Giuliano duca di Nemours, con le bellissime Allegorie del Tempo, ogni particolare ha ritrovato luce e bellezza. Anche la statua della Notte, la fanciulla distesa e quasi viva che ispirò una famosa quartina di Giovanni di Carlo Strozzi e la pronta risposta in versi del Buonarroti, è tornata a dormire sonni tranquilli al riparo dalle inquietudini del mondo, dagli oltraggi del tempo e degli uomini.
Indagini colorimetriche sulla statua dell'Aurora del monumento funebre di Lorenzo duca d'Urbino - Foto per gentile concessione del CNR
“La Sagrestia è un luogo dove all’apparenza tutto sembra perfetto. E invece le vicende di questo spazio narrano di un susseguirsi di difficoltà e abbandoni, di oblio e rinascita. Una storia vissuta come se quei marmi non fossero pietre, ma cose vive”, racconta Monica Bietti, storica dell’arte ed ex responsabile del Museo delle Cappelle Medicee. E in effetti nei secoli il capolavoro di Michelangelo ne ha viste di cotte e di crude: dai fuochi accesi dai religiosi per scaldarsi ai continui calchi eseguiti per riprodurne statue e decorazioni, dai restauri poco accorti ai graffiti, fino agli smontaggi e alle strutture di protezione applicate durante le due guerre mondiali.
Se già sotto i Medici, iniziatori del progetto con i papi Leone X e Clemente VII, la realizzazione della Sagrestia Nuova andò avanti a singhiozzo, i Lorena la abbandonarono a se stessa in favore della sotterranea Cappella dei Principi. La struttura pensata dal Buonarroti restò così declassata a “cappella dei depositi”, cioè dei corpi dei granduchi e dei loro familiari. Perfino le spoglie di Lorenzo il Magnifico rimasero prive di una sepoltura monumentale: nel 1534, infatti, Michelangelo era partito definitivamente da Firenze lasciando l’opera incompiuta. Ai resti del capostipite fu riservato il sarcofago sotto la Madonna con Gesù in grembo, verso la quale guardavano le statue del figlio Giuliano e del nipote Lorenzo.
Sito di restauro della Sagrestia Nuova del Museo delle Cappelle Medicee - Foto per gentile concessione di ENEA
“l progetto di restauro conservativo e di manutenzione, che in fasi successive ha visto il coinvolgimento di diverse professionalità e di istituti di eccellenza della ricerca e innovazione scientifica italiana, permette ora di ammirare i capolavori fiorentini di Michelangelo con una nuova consapevolezza della fase delicatissima di scelta e lavorazione dei marmi”, ha detto la direttrice dei Musei del Bargello Paola D’Agostino.
Sono tante le informazioni emerse dal lavoro di questi anni per fare luce sul modus operandi del maestro rinascimentale. La professoressa Bietti ne riassume alcune: “Il lavoro di restauro delle pareti ha permesso di approfondire le conoscenze tecniche sul modo di costruire o meglio sovrapporre le lastre marmoree e sulla maniera di eseguire le decorazioni figurative, vegetali e modulari, un vero e proprio esercizio che permette di distinguere le mani dei collaboratori di Michelangelo, documentati in questa impresa. Così come si comprende molto bene che dal blocco in marmo scelto da Michelangelo per ciascuna figura, egli con il metodo del ‘levare’, partendo da un modello in terra a grandezza naturale, trova la forma, arrivando alla finitura tramite l’uso di diversi tipi di attrezzi. Lo stato di finitura delle sculture varia a seconda dei personaggi e anche in relazione alla loro collocazione e al rapporto con la fonte di luce. E questa è una novità e una scoperta resa possibile dal restauro”.
“Dopo la pulitura possiamo nuovamente godere dell’eccezionale uso della tecnica scultorea da parte di Michelangelo: espressione del suo intimo rapporto con il marmo e della sua capacità di trasformarlo in luce”, aggiunge la restauratrice Marina Vincenti: “Il cambio costante della tessitura dei segni lasciati dagli strumenti di lavorazione utilizzati rende vivo e palpitante il contenuto simbolico e spirituale dell’uomo chiamato a dare forma al trascorrere del tempo”.
Test con batteri sull'altare della Sagrestia Nuova del Museo delle Cappelle Medicee - Foto per gentile concessione di ENEA
Quello della Sagrestia Nuova è stato un restauro tutto al femminile, portato avanti con gli strumenti della scienza e della tecnologia nel rigoroso rispetto delle opere trattate, ma anche con grande sensibilità. “Sul ponteggio, a tu per tu con la Notte e l’Aurora di Michelangelo, troppa bellezza tutta insieme ci provoca un senso di stordimento. Abbiamo bisogno di sentire quello che i restauratori e gli storici dell’arte ci stanno raccontando, storie nelle storie: rappresentazioni, artisti, eventi dell’epoca, passati restauri. La densità dei racconti e dei dettagli delle opere ogni volta ci svela l’eccezionale profondità che esiste oltre la superficie”, rivelano Anna Rosa Sprocati e Chiara Alisi, le ricercatrici dell’ENEA responsabili della biopulitura.
“Noi siamo biologhe, ‘raccoglitrici’ di batteri utili e innocui, piccole cellule potenti, invisibili, una vera fabbrica di molecole”, proseguono. “Se impariamo a conoscerli possiamo ‘guidarli’ per far loro esprimere le funzioni che desideriamo: li possiamo utilizzare, ad esempio, per rendere più sostenibile l’agricoltura, per bonificare i siti contaminati, per pulire un’opera d’arte senza usare prodotti tossici e aggressivi. Qui nella Sagrestia Nuova abbiamo ‘toccato’ Michelangelo. Lavorare tra capolavori d’arte fa un po’ soggezione rispetto a un microscopio, a un incubatore, a una cappa sterile in laboratorio”. La biopulitura si è rivelata un metodo selettivo, morbido e graduale in grado di attenuare o eliminare tracce presenti da secoli anche su marmi provati da interventi drastici o abrasioni come quello della tomba del duca di Urbino. I risultati sono sotto gli occhi di tutti: lunga vita a Michelangelo e al suo ultimo capolavoro fiorentino.
Sagrestia Nuova. Michelangelo, Tomba di Lorenzo duca di Urbino, dopo il restauro I Foto Antonio Quattrone I Courtesy Musei del Bargello
Dalle pareti rivestite di marmo alle tombe di Lorenzo duca di Urbino e di Giuliano duca di Nemours, con le bellissime Allegorie del Tempo, ogni particolare ha ritrovato luce e bellezza. Anche la statua della Notte, la fanciulla distesa e quasi viva che ispirò una famosa quartina di Giovanni di Carlo Strozzi e la pronta risposta in versi del Buonarroti, è tornata a dormire sonni tranquilli al riparo dalle inquietudini del mondo, dagli oltraggi del tempo e degli uomini.
Indagini colorimetriche sulla statua dell'Aurora del monumento funebre di Lorenzo duca d'Urbino - Foto per gentile concessione del CNR
“La Sagrestia è un luogo dove all’apparenza tutto sembra perfetto. E invece le vicende di questo spazio narrano di un susseguirsi di difficoltà e abbandoni, di oblio e rinascita. Una storia vissuta come se quei marmi non fossero pietre, ma cose vive”, racconta Monica Bietti, storica dell’arte ed ex responsabile del Museo delle Cappelle Medicee. E in effetti nei secoli il capolavoro di Michelangelo ne ha viste di cotte e di crude: dai fuochi accesi dai religiosi per scaldarsi ai continui calchi eseguiti per riprodurne statue e decorazioni, dai restauri poco accorti ai graffiti, fino agli smontaggi e alle strutture di protezione applicate durante le due guerre mondiali.
Se già sotto i Medici, iniziatori del progetto con i papi Leone X e Clemente VII, la realizzazione della Sagrestia Nuova andò avanti a singhiozzo, i Lorena la abbandonarono a se stessa in favore della sotterranea Cappella dei Principi. La struttura pensata dal Buonarroti restò così declassata a “cappella dei depositi”, cioè dei corpi dei granduchi e dei loro familiari. Perfino le spoglie di Lorenzo il Magnifico rimasero prive di una sepoltura monumentale: nel 1534, infatti, Michelangelo era partito definitivamente da Firenze lasciando l’opera incompiuta. Ai resti del capostipite fu riservato il sarcofago sotto la Madonna con Gesù in grembo, verso la quale guardavano le statue del figlio Giuliano e del nipote Lorenzo.
Sito di restauro della Sagrestia Nuova del Museo delle Cappelle Medicee - Foto per gentile concessione di ENEA
“l progetto di restauro conservativo e di manutenzione, che in fasi successive ha visto il coinvolgimento di diverse professionalità e di istituti di eccellenza della ricerca e innovazione scientifica italiana, permette ora di ammirare i capolavori fiorentini di Michelangelo con una nuova consapevolezza della fase delicatissima di scelta e lavorazione dei marmi”, ha detto la direttrice dei Musei del Bargello Paola D’Agostino.
Sono tante le informazioni emerse dal lavoro di questi anni per fare luce sul modus operandi del maestro rinascimentale. La professoressa Bietti ne riassume alcune: “Il lavoro di restauro delle pareti ha permesso di approfondire le conoscenze tecniche sul modo di costruire o meglio sovrapporre le lastre marmoree e sulla maniera di eseguire le decorazioni figurative, vegetali e modulari, un vero e proprio esercizio che permette di distinguere le mani dei collaboratori di Michelangelo, documentati in questa impresa. Così come si comprende molto bene che dal blocco in marmo scelto da Michelangelo per ciascuna figura, egli con il metodo del ‘levare’, partendo da un modello in terra a grandezza naturale, trova la forma, arrivando alla finitura tramite l’uso di diversi tipi di attrezzi. Lo stato di finitura delle sculture varia a seconda dei personaggi e anche in relazione alla loro collocazione e al rapporto con la fonte di luce. E questa è una novità e una scoperta resa possibile dal restauro”.
“Dopo la pulitura possiamo nuovamente godere dell’eccezionale uso della tecnica scultorea da parte di Michelangelo: espressione del suo intimo rapporto con il marmo e della sua capacità di trasformarlo in luce”, aggiunge la restauratrice Marina Vincenti: “Il cambio costante della tessitura dei segni lasciati dagli strumenti di lavorazione utilizzati rende vivo e palpitante il contenuto simbolico e spirituale dell’uomo chiamato a dare forma al trascorrere del tempo”.
Test con batteri sull'altare della Sagrestia Nuova del Museo delle Cappelle Medicee - Foto per gentile concessione di ENEA
Quello della Sagrestia Nuova è stato un restauro tutto al femminile, portato avanti con gli strumenti della scienza e della tecnologia nel rigoroso rispetto delle opere trattate, ma anche con grande sensibilità. “Sul ponteggio, a tu per tu con la Notte e l’Aurora di Michelangelo, troppa bellezza tutta insieme ci provoca un senso di stordimento. Abbiamo bisogno di sentire quello che i restauratori e gli storici dell’arte ci stanno raccontando, storie nelle storie: rappresentazioni, artisti, eventi dell’epoca, passati restauri. La densità dei racconti e dei dettagli delle opere ogni volta ci svela l’eccezionale profondità che esiste oltre la superficie”, rivelano Anna Rosa Sprocati e Chiara Alisi, le ricercatrici dell’ENEA responsabili della biopulitura.
“Noi siamo biologhe, ‘raccoglitrici’ di batteri utili e innocui, piccole cellule potenti, invisibili, una vera fabbrica di molecole”, proseguono. “Se impariamo a conoscerli possiamo ‘guidarli’ per far loro esprimere le funzioni che desideriamo: li possiamo utilizzare, ad esempio, per rendere più sostenibile l’agricoltura, per bonificare i siti contaminati, per pulire un’opera d’arte senza usare prodotti tossici e aggressivi. Qui nella Sagrestia Nuova abbiamo ‘toccato’ Michelangelo. Lavorare tra capolavori d’arte fa un po’ soggezione rispetto a un microscopio, a un incubatore, a una cappa sterile in laboratorio”. La biopulitura si è rivelata un metodo selettivo, morbido e graduale in grado di attenuare o eliminare tracce presenti da secoli anche su marmi provati da interventi drastici o abrasioni come quello della tomba del duca di Urbino. I risultati sono sotto gli occhi di tutti: lunga vita a Michelangelo e al suo ultimo capolavoro fiorentino.
Sagrestia Nuova. Michelangelo, Tomba di Lorenzo duca di Urbino, dopo il restauro I Foto Antonio Quattrone I Courtesy Musei del Bargello
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