Dal 19 giugno al 13 novembre 2016
Il Ghetto di Venezia in mostra
Vittore Carpaccio, Ritratto del doge Leonardo Loredan, 1501-1505, Olio e tempera su tavola, 51 x 67 cm, Venezia, Museo Correr | © Fondazione Musei Civici di Venezia, Archivio Fotografico
Ludovica Sanfelice
14/06/2016
Venezia - Nell’ambito delle iniziative organizzate in memoria del cinquecentenario del Ghetto di Venezia, Palazzo Ducale presenta la mostra “Venezia, gli ebrei e l’Europa 1516 – 2016” che da dietro le mura del primo confinamento degli ebrei vuole gettare uno sguardo ai rapporti tra gli ebrei e Venezia, tra la comunità e il resto della società civile contestualizzandone la lunga permanenza in laguna, e allargando poi l’obiettivo all’area veneta, europea e mediterranea.
Viaggio nei 500 anni del Ghetto di Venezia
Gli scambi intrattenuti e il contributo in termini di saperi che la comunità ebraica ha condiviso con la popolazione cristiana e le altre minoranze diventa così il vero campo d’indagine dell’esposizione curata da Donatella Calabi con il coordinamento scientifico di Gabriella Belli.
L’ipotesi alla base del progetto è infatti che l’istituzione del Ghetto a Venezia vada osservata nel quadro della più generale gestione da parte della Repubblica Veneta delle minoranze nazionali, etniche e religiose che abitavano la città. Come queste relazioni si siano via via estese geograficamente ad una dimensione molto vasta e siano proseguite attraverso il tempo, adattandosi ai cambiamenti politici, sociali e culturali è il secondo passo.
Il piano di accoglienza attuato nei primi decenni del XVI secolo dalla Repubblica Veneta si manifestava nell’offerta di garanzie e di sorveglianza per le tante anime nazionali e religiose considerate “preziose” dalla Serenissima e che pertanto meritavano l’essenziale riconoscimento di giustizia, libertà e benessere. In questa visione maturò la scelta di non cacciare gli ebrei ma di mantenerli dentro il ghetto come male minore con il risultato che la chiusura fu sì discriminante ma finì per trasformarsi in una barriera difensiva sorprendentemente utile a preservare l’autonomia degli ebrei che poterono sempre interagire con l’esterno.
La ghettizzazione contribuì anche alla conformazione architettonica urbana e ne arricchì il tessuto anche attraverso la ricchissima produzione culturale ebraica.
Partendo dai tre ghetti si schiude pertanto una riflessione sul patrimonio di Venezia costituito proprio dagli intrecci di conoscenze, lingue, abitudini e tradizioni miste che dal Cinquecento procede attraverso i secoli fino al Novecento chiamando a testimoniare dipinti di Bellini, di Carpaccio, di Hayez, di Balla e perfino di Chagall, convocando documenti d’archivio, oggetti, arredi, e ricostruzioni multimediali, tutti sistemati lungo un percorso in dieci sezioni.
Vedi anche:
Oltre il recinto. Galleria immagini
Venezia, gli Ebrei e l'Europa 1516-2016
Palazzo Ducale
Peggy Guggenheim in Photographs. Storie di talento e audacia
Art of This Century. Peggy Guggenheim in Photographs
Ikona Photo gallery
Collezione peggy Guggenheim
Guida d'arte di Venezia
Viaggio nei 500 anni del Ghetto di Venezia
Gli scambi intrattenuti e il contributo in termini di saperi che la comunità ebraica ha condiviso con la popolazione cristiana e le altre minoranze diventa così il vero campo d’indagine dell’esposizione curata da Donatella Calabi con il coordinamento scientifico di Gabriella Belli.
L’ipotesi alla base del progetto è infatti che l’istituzione del Ghetto a Venezia vada osservata nel quadro della più generale gestione da parte della Repubblica Veneta delle minoranze nazionali, etniche e religiose che abitavano la città. Come queste relazioni si siano via via estese geograficamente ad una dimensione molto vasta e siano proseguite attraverso il tempo, adattandosi ai cambiamenti politici, sociali e culturali è il secondo passo.
Il piano di accoglienza attuato nei primi decenni del XVI secolo dalla Repubblica Veneta si manifestava nell’offerta di garanzie e di sorveglianza per le tante anime nazionali e religiose considerate “preziose” dalla Serenissima e che pertanto meritavano l’essenziale riconoscimento di giustizia, libertà e benessere. In questa visione maturò la scelta di non cacciare gli ebrei ma di mantenerli dentro il ghetto come male minore con il risultato che la chiusura fu sì discriminante ma finì per trasformarsi in una barriera difensiva sorprendentemente utile a preservare l’autonomia degli ebrei che poterono sempre interagire con l’esterno.
La ghettizzazione contribuì anche alla conformazione architettonica urbana e ne arricchì il tessuto anche attraverso la ricchissima produzione culturale ebraica.
Partendo dai tre ghetti si schiude pertanto una riflessione sul patrimonio di Venezia costituito proprio dagli intrecci di conoscenze, lingue, abitudini e tradizioni miste che dal Cinquecento procede attraverso i secoli fino al Novecento chiamando a testimoniare dipinti di Bellini, di Carpaccio, di Hayez, di Balla e perfino di Chagall, convocando documenti d’archivio, oggetti, arredi, e ricostruzioni multimediali, tutti sistemati lungo un percorso in dieci sezioni.
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