Marte e Venere
L'interpretazione tradizionale si basa su un poemetto di Battista Fiera della fine del XV secolo, dove si identificava il quadro come una rappresentazione del Parnaso, culminante nell'allegoria di Isabella come Venere e suo marito Francesco Gonzaga come Marte, sotto il cui regno fioriscono le arti simboleggiate da Apollo e le Muse. In generale l'opera mostra l'amore adulterino tra Venere e Marte, rappresentati su un arco naturale di roccia davanti a un letto simbolico, sullo sfondo la vegetazione ha molti frutti nella parte sinistra (maschile) e uno solo nella parte destra (femminile), simboleggiando la fecondazione. La posa di Venere è ripresa dalla statuaria antica, ma in generale essa appare come una donna reale, in tutta la sua voluttuosa bellezza: la candida pelle della sua nudità risalta specialmente dall'accostamento all'armatura di Marte. Assieme a loro sta Anteros o l'Amore celeste, che benedice la loro unione. Venere tiene in mano la freccia d'oro di Cupido disarmato, con la quale genera amore. Si tratta di un'esaltazione dell'amore divino, opposto a quello carnale, che genera Armonia. Quest'ultimo, con in mano ancora l'arco, ha una lunga cerbottana con la quale mira ai genitali di Vulcano, marito di Venere, che è raffigurato nella sua fucina nella grotta, intento a forgiare nuove frecce. Alle sue spalle si trova dell'uva, simbolo forse dell'intemperanza degli ubriachi. Nella radura sotto l'arco Apollo (a sinistra, già scambiato per Orfeo nell'inventario del 1542) suona la cetra e le nove Muse danzano beatamente simboleggiando l'armonia universale: notevola fu la capacità di Mantegna nell'orchestrare i movimenti del nutrito gruppo danzante, i cui abiti fluenti creano un ritmo lineare di grande raffinatezza. Secondo la mitologia il canto delle nove sorelle provocava eruzioni vulcaniche e altri cataclismi, simboleggiati nelle montagne crollanti in alto a sinistra. A tali disastri poneva rimedio Pegaso battendo il proprio zoccolo: esso si trova infatti raffigurato in primo piano a destra, di dimensioni quindi leggermente maggiori, ingioiellato e nell'atto di alzare la zampa. Il suo tocco di zoccolo fece anche scaturire la fonte Ippocrene che alimentava le cascate del monte Elicona, visibili sullo sfondo: le Muse danzavano proprio in un boschetto di questo monte, per cui la titolazione tradizionale come "Parnaso" sarebbe incorretta. Accanto a lui si trova Mercurio colto in posa contemplativa e vestito dei suoi tipici attributi quali il cappello alato, il caduceo (bastone con le serpi intrecciate) e i calzari da messaggero degli dei. La sua presenza era dovuta alla protezione che assicurò alla coppia adultera.