Madonna della Cintola
Questa tavola che fa parte dell'importante corpus pratese di Filippo Lippi è emblematica del suo metodo di lavoro, a più mani e con varie fasi di esecuzione, scaglionate nel tempo, in quanto è stato dimostrato durante le analisi promosse per il suo restauro che fu completata dalla bottega, dopo una lunga gestazione. Presenta una superficie gravemente compromessa per le puliture drastiche alle quali fu sottoposta in passato (CIATTI 1991) ma questo permette di visualizzare meglio il raffinato disegno preparatorio sottostante, in certi particolari, per esempio, nel manto latteo della Madonna o nella testa del giovane Tobiolo. È inoltre stata riscontrata dalle analisi preliminari per il restauro, una notevole discontinuità nella conduzione pittorica, tale da far ipotizzare un completamento successivo da parte di un collaboratore, forse Fra Diamante che ha realizzato con molta perizia i volti dei santi e i loro ricchi manti, decorati da oreficerie e il fondo di azzurrite con la vegetazione scura del fondo che fa da insolito fondale alla composizione. Sul lato sinistro si riconosce l'elegante figura di santa Margherita, con le sembianze della giovane novizia, Lucrezia Buti, che diventerà la sua modella prediletta.
Nella tavola risalta il particolare realistico della cintura che si presenta di color verde come la vera reliquia conservata in Duomo.
Anche in questa tavola sono presenti sul verso degli schizzi eseguiti a carboncino dagli allievi secondo una consuetudine della bottega per esercitare la mano, come si ritrovano nella tavola della Natività e in particolare si riconosce la sagoma di un angelo di profilo a mezzo busto che ricorda l'angelo portastemma (cat. 1) del Palazzo Pretorio.
Sappiamo che l'inizio di questa tavola è collegato allo scandalo della fuga con Lucrezia nel 1456, ma fu completata circa dieci anni dopo dai suoi collaboratori.
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