Dal 17 marzo al 17 luglio ai Musei Reali
Tra cinema e fotografia. Ruth Orkin in mostra a Torino
Ruth Orkin, American Girl in Italy, Florence, Italy, 1951, Vintage print
Eleonora Zamparutti
07/02/2023
Torino - Da grande avrebbe voluto fare la regista, ma in una società che sbarrava alle donne la strada verso la macchina da presa dovette trovare il suo posto altrove.
Eppure Ruth Orkin non ha mai rinunciato al suo sogno. Semplicemente - complice la sua prima macchina fotografica, una Univex da 39 centesimi ricevuta in regalo - lo ha perseguito in maniera diversa, dando vita a un linguaggio singolare, estremamente nuovo attraverso la fotografia. D’altra parte American Girl in Italy, il suo scatto forse più celebre, che immortala la ventitreenne Nina Lee Craig mentre, camminando per una strada di Firenze, passa davanti ad un ammiccante gruppo di giovani uomini italiani, non è forse un frammento di cinema?
Il lavoro di Orkin, tra le più grandi fotoreporter del Novecento, rivive adesso, esaminato sotto una nuova lente, grazie alla mostra Ruth Orkin. Una nuova scoperta, attesa dal 17 marzo al 16 luglio nelle Sale Chiablese dei Musei Reali di Torino.
Ruth Orkin, American Girl in Italy, Florence, Italy, 1951, Vintage print
La più vasta antologica mai organizzata in Italia della fotografa e regista statunitense riunirà 156 fotografie che abbracciano il periodo compreso tra il 1939 e la fine degli anni Sessanta, attraverso lavori famosi , da VE-Day a Jimmy racconta una storia, fino ai ritratti di personalità come Robert Capa, Albert Einstein, Marlon Brando, Orson Welles, Woody Allen.
“Il lavoro fotografico di Orkin - spiega la curatrice Anne Morin - riguarda le immagini, il cinema, le storie e, in definitiva, la vita. Questa mostra è l'affermazione definitiva del lavoro di questa giovane donna che ha reinventato un altro tipo di fotografia.”
E in effetti la mostra, organizzata da diChroma, prodotta dalla Società Ares srl con i Musei Reali e il patrocinio del Comune di Torino, affronta il suo lavoro della fotografa da una prospettiva completamente nuova.
Il sogno di Ruth Orkin di diventare regista affonda le radici nel mestiere della madre, Mary Ruby, attrice di film muti, che la portava con sé dietro le quinte della Hollywood degli anni Venti e Trenta del Novecento. Tuttavia nella prima metà del secolo scorso, per una donna la strada verso il cinema continuava a rimanere interdetta e disseminata di ostacoli.
Ruth Orkin, Seawall, Tel Aviv, Israel, 1951 Vintage print
Proprio per ovviare al mancato appuntamento con la vocazione, Orkin dovette inventare un linguaggio a metà strada tra l'immagine fissa e l'illusione dell'immagine in movimento. Attraverso un'analisi molto dettagliata dell'opera della fotoreporter la rassegna svela i meccanismi che nel suo lavoro evocano il fantasma del cinema.
Come avviene nel suo primo Road Movie del 1939, quando attraversa in bicicletta gli Stati Uniti da Los Angeles a New York. In quell’occasione il suo diario diventa una sequenza cinematografica, un reportage che racconta il viaggio e la cui linearità temporale si svolge in ordine cronologico. Ispirandosi ai taccuini e agli album in cui la madre documentava le riprese dei suoi film, l’artista inseriva l’immagine fotografica in una narrazione che riprendeva lo schema della progressione cinematografica, come se le fotografie fossero immagini fisse di un film mai girato. Attraverso fotografie come I giocatori di carte o Jimmy racconta una storia si evince come l’artista utilizzi la macchina fotografica per fissare una serie di istanti, lasciando allo sguardo dello spettatore il compito di comporre la scena e riprodurre il movimento.
Ruth Orkin, Lauren Bacall, St. Regis Hotel, New York City, 1950, Modern print, 2021
Gli scatti più interessanti della carriera di Orkin trovano in Dall’alto una delle rappresentazioni più intense. L’artista cattura perpendicolarmente da una finestra gli avvenimenti che si svolgono per strada, riprendendo soggetti del tutto ignari di essere rapiti del suo sguardo fotografico. Ci sono signore che danno da mangiare ai gatti e c’è un padre che compra una fetta di anguria per la figlia, due poliziotti attorno a un materasso logoro, due bambine, un gruppo di marinai.
In mostra seguiremo anche il reportage per la rivista LIFE, realizzato nel 1951 in Israele a seguito della Israeli Philarmonic Orchestra e il viaggio in Italia, tra Venezia, Roma e Firenze, città dove Ruth incontra Nina Lee Craig, la studentessa americana che le farà da modella per un servizio finalizzato a raccontare l’esperienza di una viaggiatrice solitaria in un paese straniero. Nasce così American Girl in Italy, dove la scena che immortala la ragazza mentre passeggia tra le strade di Firenze riesce a ispirare a Ruth Orkin quella foto-racconto che cercava da tempo.
Leggi anche:
• Otto mostre di fotografia da vedere nel 2023
Eppure Ruth Orkin non ha mai rinunciato al suo sogno. Semplicemente - complice la sua prima macchina fotografica, una Univex da 39 centesimi ricevuta in regalo - lo ha perseguito in maniera diversa, dando vita a un linguaggio singolare, estremamente nuovo attraverso la fotografia. D’altra parte American Girl in Italy, il suo scatto forse più celebre, che immortala la ventitreenne Nina Lee Craig mentre, camminando per una strada di Firenze, passa davanti ad un ammiccante gruppo di giovani uomini italiani, non è forse un frammento di cinema?
Il lavoro di Orkin, tra le più grandi fotoreporter del Novecento, rivive adesso, esaminato sotto una nuova lente, grazie alla mostra Ruth Orkin. Una nuova scoperta, attesa dal 17 marzo al 16 luglio nelle Sale Chiablese dei Musei Reali di Torino.
Ruth Orkin, American Girl in Italy, Florence, Italy, 1951, Vintage print
La più vasta antologica mai organizzata in Italia della fotografa e regista statunitense riunirà 156 fotografie che abbracciano il periodo compreso tra il 1939 e la fine degli anni Sessanta, attraverso lavori famosi , da VE-Day a Jimmy racconta una storia, fino ai ritratti di personalità come Robert Capa, Albert Einstein, Marlon Brando, Orson Welles, Woody Allen.
“Il lavoro fotografico di Orkin - spiega la curatrice Anne Morin - riguarda le immagini, il cinema, le storie e, in definitiva, la vita. Questa mostra è l'affermazione definitiva del lavoro di questa giovane donna che ha reinventato un altro tipo di fotografia.”
E in effetti la mostra, organizzata da diChroma, prodotta dalla Società Ares srl con i Musei Reali e il patrocinio del Comune di Torino, affronta il suo lavoro della fotografa da una prospettiva completamente nuova.
Il sogno di Ruth Orkin di diventare regista affonda le radici nel mestiere della madre, Mary Ruby, attrice di film muti, che la portava con sé dietro le quinte della Hollywood degli anni Venti e Trenta del Novecento. Tuttavia nella prima metà del secolo scorso, per una donna la strada verso il cinema continuava a rimanere interdetta e disseminata di ostacoli.
Ruth Orkin, Seawall, Tel Aviv, Israel, 1951 Vintage print
Proprio per ovviare al mancato appuntamento con la vocazione, Orkin dovette inventare un linguaggio a metà strada tra l'immagine fissa e l'illusione dell'immagine in movimento. Attraverso un'analisi molto dettagliata dell'opera della fotoreporter la rassegna svela i meccanismi che nel suo lavoro evocano il fantasma del cinema.
Come avviene nel suo primo Road Movie del 1939, quando attraversa in bicicletta gli Stati Uniti da Los Angeles a New York. In quell’occasione il suo diario diventa una sequenza cinematografica, un reportage che racconta il viaggio e la cui linearità temporale si svolge in ordine cronologico. Ispirandosi ai taccuini e agli album in cui la madre documentava le riprese dei suoi film, l’artista inseriva l’immagine fotografica in una narrazione che riprendeva lo schema della progressione cinematografica, come se le fotografie fossero immagini fisse di un film mai girato. Attraverso fotografie come I giocatori di carte o Jimmy racconta una storia si evince come l’artista utilizzi la macchina fotografica per fissare una serie di istanti, lasciando allo sguardo dello spettatore il compito di comporre la scena e riprodurre il movimento.
Ruth Orkin, Lauren Bacall, St. Regis Hotel, New York City, 1950, Modern print, 2021
Gli scatti più interessanti della carriera di Orkin trovano in Dall’alto una delle rappresentazioni più intense. L’artista cattura perpendicolarmente da una finestra gli avvenimenti che si svolgono per strada, riprendendo soggetti del tutto ignari di essere rapiti del suo sguardo fotografico. Ci sono signore che danno da mangiare ai gatti e c’è un padre che compra una fetta di anguria per la figlia, due poliziotti attorno a un materasso logoro, due bambine, un gruppo di marinai.
In mostra seguiremo anche il reportage per la rivista LIFE, realizzato nel 1951 in Israele a seguito della Israeli Philarmonic Orchestra e il viaggio in Italia, tra Venezia, Roma e Firenze, città dove Ruth incontra Nina Lee Craig, la studentessa americana che le farà da modella per un servizio finalizzato a raccontare l’esperienza di una viaggiatrice solitaria in un paese straniero. Nasce così American Girl in Italy, dove la scena che immortala la ragazza mentre passeggia tra le strade di Firenze riesce a ispirare a Ruth Orkin quella foto-racconto che cercava da tempo.
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