La tavola della Galleria Borghese è tornata al suo posto dopo un intervento di conservazione preventiva
Dentro la Deposizione di Raffaello. Il capolavoro torna a brillare "sorvegliato" dalla tecnologia
Raffaello Sanzio, Deposizione Borghese, 1507, Scomparto principale della Pala Baglioni, Olio su tavola, 184 x 176 cm, Roma, Galleria Borghese
Samantha De Martin
16/12/2020
Roma - Adesso manca solo il pubblico. Dalla Sala IX della Galleria Borghese, la Deposizione di Cristo di Raffaello svetta, nella sua cornice, in attesa di tornare ad incrociare lo sguardo dei visitatori.
In realtà il capolavoro dell’Urbinate non ha mai lasciato il museo romano. Dopo l’intervento di conservazione preventiva condotto all’interno di un grande box - appositamente progettato per consentire agli ospiti del museo di osservare, sebbene parzialmente, l’opera attraverso apposite finestre in vetro - la tavola è stata ricollocata al proprio posto, sulla parete che le spetta. Con una lentezza e una cura che commuove, tra distanziamenti e mascherine, mentre la Galleria era chiusa al pubblico.
Nonostante l’assenza dei visitatori, in questi giorni di chiusura imposta dalla pandemia, la Galleria Borghese non si è mai fermata. Nelle sue sale il respiro delle opere ha incrociato quello di storici dell’arte, restauratori e funzionari che hanno raccontato, e continuano a raccontare al pubblico da casa, i grandi capolavori della collezione.
Ma in questi mesi un’attenzione particolare è stata rivolta al capolavoro dell’Urbinate, al centro di un intervento di conservazione preventiva e “sorvegliato speciale” grazie a una tecnologia avanzata.
Abbiamo chiesto alla dottoressa Marina Minozzi, funzionaria storica dell’arte della Galleria Borghese, di illustrarci l’intervento da poco conclusosi sulla Deposizione Borghese.
La Galleria Borghese, Roma | Foto: © L. Romano
Indagini e sorprese
“Abbiamo approfittato del cinquecentenario della morte di Raffaello per concentrare l’attenzione sulla tavola - spiega la storica dell'arte -. In realtà quest’opera capitale della collezione è sempre stata attentamente controllata. Tuttavia, avendo ricevuto un finanziamento speciale da Bank of America, abbiamo deciso di sfruttare il contributo per sottoporla a un tipo di diagnostica non invasiva molto più avanzata, quasi mai condotta in Italia. Si tratta della scansione Macro X-Ray Fluorescence e della scansione di imaging iperspettrale”.
Cosa sappiamo di più, grazie a questo intervento, sull’Urbinate e sul suo modo di lavorare?
“Queste indagini - continua Marina Minozzi - ci hanno permesso di rilevare in modo molto più approfondito lo stato dell’opera e la tecnica esecutiva di Raffaello, e hanno reso più evidenti diversi segni grafici sulla superficie del dipinto. Da genio quale era, Raffaello era in grado di utilizzare tutti gli strumenti in modo molto personale, pietra nera, penna o pennello. La pittura stessa è intessuta di segni calligrafici a penna estremamente precisi, a volte lasciati a vista con cui Raffaello interviene direttamente per creare ombreggiature, correggere leggermente un contorno. Alcuni di questi segni grafici, visibili anche a occhio nudo, erano noti, altri sono emersi in modo più consistente grazie all’alta risoluzione spaziale e spettrale della strumentazione utilizzata e ci consentono di approfondire anche l’aspetto della progettazione”.
La struttura dell’opera
Della superficie pittorica è stata semplicemente fatta una pulitura finalizzata a una conservazione preventiva, mentre l’attenzione dei restauratori si è concentrata poi sul supporto, sulla struttura della tavola lignea.
“La struttura dell’opera - prosegue Minozzi - è formata da sei assi. Il supporto era stato oggetto di un grande restauro nel 1972 da parte dell’Istituto Centrale del Restauro. Questo intervento, all’epoca di tipo pionieristico, aveva eliminato tutte le costrizioni di un precedente restauro ottocentesco e ha consentito fino a oggi una buona conservazione della tavola. Tuttavia, nello spirito di una conservazione preventiva, abbiamo deciso di sfruttare una tecnologia più moderna, utilizzando anche materiali come la fibra di carbonio”.
Oltre alla sostituzione del film protettivo del retro, si è provveduto all’applicazione di un nuovo sistema di contenimento elastico nella sede delle traverse originali, realizzato attraverso la sperimentazione di diversi prototipi, allo scopo di rallentare la deformazione della tavola e di ottimizzare la sua conservazione futura.
Raffaello “sorvegliato speciale” grazie alla tecnologia
L’osservatore non si accorgerà di nulla, ma Raffaello, dietro “le spalle”, nasconde un piccolo segreto. Grazie a sensori applicati sul retro della tavola, attraverso cavi che fuoriescono dalla parete retrostante, un flusso di dati arriverà a una sala dove un computer li terrà costantemente sotto controllo, trasformando la tavola in una sorta di “sorvegliato speciale”, al pari di una moderna opera ingegneristica.
“L’opera sarà oggetto di un monitoraggio continuo. Una tecnica ingegneristica - per intenderci la stessa che viene usata anche per i ponti e per le ferrovie - prevede dei sensori a fibra ottica che permettono, attraverso un collegamento a un computer, di registrare qualsiasi minima variazione. Questo flusso continuo di dati servirà, nell’arco di un anno, a costruire un modello SEM, un sistema che, partendo dai dati reali acquisiti, sarà in grado di effettuare proiezioni di lunga durata. In questo modo avremo, da un lato, il controllo “in diretta” di quello che accade all’opera, dall’altro - nel malaugurato caso di varianti impreviste, non percepibili al momento - saremo in grado di capire quali sarebbero i cambiamenti dell’opera negli anni futuri e porvi preventivamente un rimedio”.
È sempre Marina Minozzi a condividere la grande emozione provata durante il riposizionamento in sala. “Rivedere la tavola al suo posto con la cornice, restaurata e ripulita, con i colori smaglianti, è stato estremamente emozionante” confessa.
Adesso i visitatori avranno un motivo in più per tornare in Galleria, si spera il prima possibile.
Raffaello trafugato
La Deposizione di Raffaello, una delle opere capitali della Collezione Borghese, nonostante la sua fragilità dovuta anche alle sue notevoli dimensioni, in passato ha viaggiato molto, oltre a esser stata, nel corso dei suoi 513 anni, un autentico oggetto del desiderio.
Firmata e datata in basso a sinistra “Raphael Urbinas MDVII”, fu commissionata da Atalanta Baglioni in memoria del figlio Grifonetto, ucciso durante una lotta interna alla stessa famiglia per il possesso della signoria di Perugia, e risulta terminata nel 1507. Utilizzata come pala d’altare nella chiesa di San Francesco al Prato, l’opera soggiornò nella città umbra per 101 anni, finché il cardinale Scipione, nipote di papa Paolo V, decise che voleva averla nella sua Collezione. Aveva avuto modo di ammirarla durante i suoi studi universitari nel capoluogo umbro e se n’era innamorato. Così la notte tra il 17 e 18 marzo del 1608, con la complicità dei frati, la Deposizione fu staccata, trafugata e inviata a Roma, discese le mura della città per giungere a Scipione Borghese. A poco servirono le ribellioni dei perugini, ripagati dal papa con una copia di buona fattura del Lanfranco e forse anche con una seconda del cavalier d'Arpino. Intanto il pontefice emanava un Breve pontificio per dichiarare la tavola "cosa privata" del nipote e del patrimonio privato dei Borghese, mettendo un categorico punto alla questione.
L’opera di Raffaello trovò inizialmente pace nella residenza del Cardinal Scipione e, in seguito, nella Villa Borghese, prima di essere spostata a Palazzo Borghese e, nell’Ottocento, partire assieme a Camillo Borghese alla volta di Parigi per far ritorno a Roma solo nel 1816.
In origine la pala era sormontata da una cimasa con l’immagine di Dio Padre benedicente (oggi alla Galleria Nazionale dell’Umbria di Perugia) e accompagnata da una predella con la raffigurazione delle Virtù teologali, ora ai Musei Vaticani.
Nel mettere in scena il dramma della rappresentazione, Raffaello si ispirò al Compianto su Cristo morto eseguito da Perugino nel 1495 e oggi a Palazzo Pitti, nel quale il Cristo disteso a terra ricorda un’iconografia allora tradizionale.
Pietro Perugino, Compianto sul Cristo morto, 1495, Olio su tavola, 195 x 220 cm, Firenze, Galleria Palatina di Palazzo Pitti
Una pala "innovativa"
La pala è innovativa tantoo nel soggetto quanto nella sua rappresentazione. L’ingente numero di disegni preparatori documenta lo studio dall’antico e il laborioso evolversi del progetto compositivo, reso progressivamente più drammatico e dinamico nella nuova iconografia del “trasporto”. La novità compositiva della Deposizione aprí a un nuovo linguaggio espressivo, sintesi di un perfetto equilibrio tra idealizzazione formale ed espressione del sentimento, secondo uno stile a lungo ricercato nei modelli dell’antichità classica e caratteristico della successiva fase romana dell’artista.
Dalla posizione statica, con il corpo del Cristo adagiato a terra, Raffaello passa a illustrare la scena del trasporto al sepolcro, trasformando un’immagine quasi meditativa in una vera e propria rappresentazione di storia densa di figure. Il corpo di Cristo si alza e la scena diventa sempre più dinamica. Tre uomini, ritratti con espedienti che amplificano il senso del movimento, e con espressioni concitate, trasportano il corpo morto di Cristo nel sepolcro. Sulla destra, il gruppo delle pie donne sorregge la Vergine svenuta. Ad accentuare il senso di dinamicità, la figura della Maddalena. Dai suoi capelli mossi dal vento si intuisce che la donna è appena giunta al corpo del Cristo per sorreggergli la mano.
Raffaello trasforma così un compianto in una scena perfettamente inserita nel tempo, nella storia, nella profondità del paesaggio, realizzando un'opera assolutamente innovativa.
Raffaello Sanzio, Dettaglio Maria Maddalena, Deposizione Borghese, 1507, Scomparto principale della Pala Baglioni, Olio su tavola, 184 x 176 cm, Roma, Galleria Borghese
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• Raffaello alle Scuderie. Dietro le quinte della mostra invisibile
• Se il calore di Raffaello, in mostra alle Scuderie, può aiutarci a superare la paura
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In realtà il capolavoro dell’Urbinate non ha mai lasciato il museo romano. Dopo l’intervento di conservazione preventiva condotto all’interno di un grande box - appositamente progettato per consentire agli ospiti del museo di osservare, sebbene parzialmente, l’opera attraverso apposite finestre in vetro - la tavola è stata ricollocata al proprio posto, sulla parete che le spetta. Con una lentezza e una cura che commuove, tra distanziamenti e mascherine, mentre la Galleria era chiusa al pubblico.
Nonostante l’assenza dei visitatori, in questi giorni di chiusura imposta dalla pandemia, la Galleria Borghese non si è mai fermata. Nelle sue sale il respiro delle opere ha incrociato quello di storici dell’arte, restauratori e funzionari che hanno raccontato, e continuano a raccontare al pubblico da casa, i grandi capolavori della collezione.
Ma in questi mesi un’attenzione particolare è stata rivolta al capolavoro dell’Urbinate, al centro di un intervento di conservazione preventiva e “sorvegliato speciale” grazie a una tecnologia avanzata.
Abbiamo chiesto alla dottoressa Marina Minozzi, funzionaria storica dell’arte della Galleria Borghese, di illustrarci l’intervento da poco conclusosi sulla Deposizione Borghese.
La Galleria Borghese, Roma | Foto: © L. Romano
Indagini e sorprese
“Abbiamo approfittato del cinquecentenario della morte di Raffaello per concentrare l’attenzione sulla tavola - spiega la storica dell'arte -. In realtà quest’opera capitale della collezione è sempre stata attentamente controllata. Tuttavia, avendo ricevuto un finanziamento speciale da Bank of America, abbiamo deciso di sfruttare il contributo per sottoporla a un tipo di diagnostica non invasiva molto più avanzata, quasi mai condotta in Italia. Si tratta della scansione Macro X-Ray Fluorescence e della scansione di imaging iperspettrale”.
Cosa sappiamo di più, grazie a questo intervento, sull’Urbinate e sul suo modo di lavorare?
“Queste indagini - continua Marina Minozzi - ci hanno permesso di rilevare in modo molto più approfondito lo stato dell’opera e la tecnica esecutiva di Raffaello, e hanno reso più evidenti diversi segni grafici sulla superficie del dipinto. Da genio quale era, Raffaello era in grado di utilizzare tutti gli strumenti in modo molto personale, pietra nera, penna o pennello. La pittura stessa è intessuta di segni calligrafici a penna estremamente precisi, a volte lasciati a vista con cui Raffaello interviene direttamente per creare ombreggiature, correggere leggermente un contorno. Alcuni di questi segni grafici, visibili anche a occhio nudo, erano noti, altri sono emersi in modo più consistente grazie all’alta risoluzione spaziale e spettrale della strumentazione utilizzata e ci consentono di approfondire anche l’aspetto della progettazione”.
La struttura dell’opera
Della superficie pittorica è stata semplicemente fatta una pulitura finalizzata a una conservazione preventiva, mentre l’attenzione dei restauratori si è concentrata poi sul supporto, sulla struttura della tavola lignea.
“La struttura dell’opera - prosegue Minozzi - è formata da sei assi. Il supporto era stato oggetto di un grande restauro nel 1972 da parte dell’Istituto Centrale del Restauro. Questo intervento, all’epoca di tipo pionieristico, aveva eliminato tutte le costrizioni di un precedente restauro ottocentesco e ha consentito fino a oggi una buona conservazione della tavola. Tuttavia, nello spirito di una conservazione preventiva, abbiamo deciso di sfruttare una tecnologia più moderna, utilizzando anche materiali come la fibra di carbonio”.
Oltre alla sostituzione del film protettivo del retro, si è provveduto all’applicazione di un nuovo sistema di contenimento elastico nella sede delle traverse originali, realizzato attraverso la sperimentazione di diversi prototipi, allo scopo di rallentare la deformazione della tavola e di ottimizzare la sua conservazione futura.
Raffaello “sorvegliato speciale” grazie alla tecnologia
L’osservatore non si accorgerà di nulla, ma Raffaello, dietro “le spalle”, nasconde un piccolo segreto. Grazie a sensori applicati sul retro della tavola, attraverso cavi che fuoriescono dalla parete retrostante, un flusso di dati arriverà a una sala dove un computer li terrà costantemente sotto controllo, trasformando la tavola in una sorta di “sorvegliato speciale”, al pari di una moderna opera ingegneristica.
“L’opera sarà oggetto di un monitoraggio continuo. Una tecnica ingegneristica - per intenderci la stessa che viene usata anche per i ponti e per le ferrovie - prevede dei sensori a fibra ottica che permettono, attraverso un collegamento a un computer, di registrare qualsiasi minima variazione. Questo flusso continuo di dati servirà, nell’arco di un anno, a costruire un modello SEM, un sistema che, partendo dai dati reali acquisiti, sarà in grado di effettuare proiezioni di lunga durata. In questo modo avremo, da un lato, il controllo “in diretta” di quello che accade all’opera, dall’altro - nel malaugurato caso di varianti impreviste, non percepibili al momento - saremo in grado di capire quali sarebbero i cambiamenti dell’opera negli anni futuri e porvi preventivamente un rimedio”.
È sempre Marina Minozzi a condividere la grande emozione provata durante il riposizionamento in sala. “Rivedere la tavola al suo posto con la cornice, restaurata e ripulita, con i colori smaglianti, è stato estremamente emozionante” confessa.
Adesso i visitatori avranno un motivo in più per tornare in Galleria, si spera il prima possibile.
Raffaello trafugato
La Deposizione di Raffaello, una delle opere capitali della Collezione Borghese, nonostante la sua fragilità dovuta anche alle sue notevoli dimensioni, in passato ha viaggiato molto, oltre a esser stata, nel corso dei suoi 513 anni, un autentico oggetto del desiderio.
Firmata e datata in basso a sinistra “Raphael Urbinas MDVII”, fu commissionata da Atalanta Baglioni in memoria del figlio Grifonetto, ucciso durante una lotta interna alla stessa famiglia per il possesso della signoria di Perugia, e risulta terminata nel 1507. Utilizzata come pala d’altare nella chiesa di San Francesco al Prato, l’opera soggiornò nella città umbra per 101 anni, finché il cardinale Scipione, nipote di papa Paolo V, decise che voleva averla nella sua Collezione. Aveva avuto modo di ammirarla durante i suoi studi universitari nel capoluogo umbro e se n’era innamorato. Così la notte tra il 17 e 18 marzo del 1608, con la complicità dei frati, la Deposizione fu staccata, trafugata e inviata a Roma, discese le mura della città per giungere a Scipione Borghese. A poco servirono le ribellioni dei perugini, ripagati dal papa con una copia di buona fattura del Lanfranco e forse anche con una seconda del cavalier d'Arpino. Intanto il pontefice emanava un Breve pontificio per dichiarare la tavola "cosa privata" del nipote e del patrimonio privato dei Borghese, mettendo un categorico punto alla questione.
L’opera di Raffaello trovò inizialmente pace nella residenza del Cardinal Scipione e, in seguito, nella Villa Borghese, prima di essere spostata a Palazzo Borghese e, nell’Ottocento, partire assieme a Camillo Borghese alla volta di Parigi per far ritorno a Roma solo nel 1816.
In origine la pala era sormontata da una cimasa con l’immagine di Dio Padre benedicente (oggi alla Galleria Nazionale dell’Umbria di Perugia) e accompagnata da una predella con la raffigurazione delle Virtù teologali, ora ai Musei Vaticani.
Nel mettere in scena il dramma della rappresentazione, Raffaello si ispirò al Compianto su Cristo morto eseguito da Perugino nel 1495 e oggi a Palazzo Pitti, nel quale il Cristo disteso a terra ricorda un’iconografia allora tradizionale.
Pietro Perugino, Compianto sul Cristo morto, 1495, Olio su tavola, 195 x 220 cm, Firenze, Galleria Palatina di Palazzo Pitti
Una pala "innovativa"
La pala è innovativa tantoo nel soggetto quanto nella sua rappresentazione. L’ingente numero di disegni preparatori documenta lo studio dall’antico e il laborioso evolversi del progetto compositivo, reso progressivamente più drammatico e dinamico nella nuova iconografia del “trasporto”. La novità compositiva della Deposizione aprí a un nuovo linguaggio espressivo, sintesi di un perfetto equilibrio tra idealizzazione formale ed espressione del sentimento, secondo uno stile a lungo ricercato nei modelli dell’antichità classica e caratteristico della successiva fase romana dell’artista.
Dalla posizione statica, con il corpo del Cristo adagiato a terra, Raffaello passa a illustrare la scena del trasporto al sepolcro, trasformando un’immagine quasi meditativa in una vera e propria rappresentazione di storia densa di figure. Il corpo di Cristo si alza e la scena diventa sempre più dinamica. Tre uomini, ritratti con espedienti che amplificano il senso del movimento, e con espressioni concitate, trasportano il corpo morto di Cristo nel sepolcro. Sulla destra, il gruppo delle pie donne sorregge la Vergine svenuta. Ad accentuare il senso di dinamicità, la figura della Maddalena. Dai suoi capelli mossi dal vento si intuisce che la donna è appena giunta al corpo del Cristo per sorreggergli la mano.
Raffaello trasforma così un compianto in una scena perfettamente inserita nel tempo, nella storia, nella profondità del paesaggio, realizzando un'opera assolutamente innovativa.
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