Alle Gallerie Nazionali d'Arte Antica - Roma
A Palazzo Barberini un nuovo allestimento per i capolavori del Seicento
Michelangelo Merisi, detto Caravaggio, Giuditta decapita Oloferne, 1600 ca, olio su tela, 195x145 cm. Roma, Palazzo Barberini
Samantha De Martin
17/12/2019
Roma - Finestre aperte sulla città per legare il Palazzo al contesto urbano, un nuovo sistema di illuminazione e ancoraggio delle opere, didascalie ragionate e sistemate, opera per opera, su barre magnetiche, con la possibilità di essere di volta in volta sostituite, ma soprattutto, una nuova suddivisione degli spazi, finalizzata a costruire un percorso espositivo più intimo e concentrato.
In attesa della mostra che, a marzo del prossimo anno, porterà nelle sale del Museo dedicate a Roma, i capolavori del pittore italiano Orazio Bolgianni, le Gallerie Nazionali di Arte Antica mostrano ai visitatori le dieci sale situate nell’Ala nord del piano nobile di Palazzo Barberini, completamente restaurate e con un nuovo percorso espositivo, organizzato secondo un ordine cronologico e geografico, dal tardo Cinquecento al Seicento.
«Il riallestimento delle sale dedicate al Seicento - spiega la direttrice Flaminia Gennari Santori - rappresenta il necessario proseguimento del lavoro di rinnovo iniziato lo scorso gennaio nell’ala sud del Palazzo, inaugurata ad aprile; il prossimo ottobre interesserà le sale dedicate al Cinquecento e si concluderà poi nel 2021, quando verrà riallestito anche il piano terra. Si tratta del frutto di nuovo impianto concettuale del Museo a cui penso dal mio insediamento, nel dicembre 2016, e che focalizza a Palazzo Barberini una struttura espositiva narrativa dal Medioevo al Settecento, cercando di valorizzare anche la storia del palazzo e dei Barberini, lasciando integra la quadreria settecentesca a Galleria Corsini».
Si parla in totale di 550 metri quadrati di spazio espositivo recuperato e destinato al prezioso nucleo dei capolavori seicenteschi, al fine di offrire un punto di vista unico sulla portata rivoluzionaria della pittura di Caravaggio e sulla sua influenza in Italia e in Europa. I capolavori dell’artista milanese, infatti, e tra questi il sublime Giuditta che decapita Oloferne, non occupano una sola sala dedicata, ma sono distribuiti in ambienti diversi per enfatizzare la storia della pittura a Roma e ribadire la rivoluzione che l’arte caravaggesca ha innescato nella città dei papi, dando vita a una pluralità di personalità. Ed è per questo motivo che fa un certo effetto ammirare - tra le 80 opere selezionate in un suggestivo percorso che permette, per la prima volta, di ammirare un’affascinante infilata di sale da un’ala all’altra del palazzo, attraverso il Salone Pietro da Cortona e la Sala Ovale - il San Francesco in meditazione del Merisi accanto allo stesso soggetto (il San Francesco e l’angelo) di Orazio Gentileschi, oltre ai capolavori di Valentin de Boulogne, grande erede del caravaggismo romano.
Dal tardo manierismo romano e internazionale, ben rappresentato dalle opere di Siciolante da Sermoneta, Pietro Francavilla, Girolamo Muziano, Marcello Venusti, Jacopo Zucchi, e Jacob de Backer, Joseph Heintz, Jan Metsys, il visitatore scivola verso la sala dedicata ai veneti di fine Cinquecento con opere di Tintoretto, El Greco, Palma il Giovane e con l’interessantissimo dipinto Venere e Adone di Scuola di Tiziano, esposto dopo un accurato restauro.
La Galleria, completamente ripulita e illuminata per esaltare gli affreschi della volta, accoglie invece alcuni dipinti dedicati alla pittura di genere, fra cui due quadri di Bartolomeo Passerotti, il Diluvio universale di Scuola di Jacopo Bassano, raramente visibile, e alcune tele mai prima esposte di Frans Francken il Giovane. A seguire una piccola sala, aperta alla visita del pubblico per la prima volta, è dedicata esclusivamente all’altarolo portatile di Annibale Carracci dalla Collezione Torlonia. All’interno figura il Tabernacolo con la Pietà, santa Cecilia e sant’Ermenegildo, mentre san Michele, l’Angelo custode, Cristo e Dio Padre arricchiscono i lati esterni.
Anche la sala successiva, con affreschi di fine Cinquecento, viene inserita per la prima volta nel percorso espositivo e contiene tre grandi paesaggi del pittore fiammingo Paul Bril, dedicati ai Feudi Mattei. Nelle tre sale successive, incentrate su Caravaggio e il caravaggismo, la Giuditta e Oloferne dialoga con opere di Giovanni Baglione, Orazio Borgianni, Bartolomeo Manfredi e Carlo Saraceni. Nella seconda sala, caratterizzata da un sentire più meditativo, sarà esposto invece, da giugno 2020, il Narciso attribuito a Caravaggio, accanto alle opere del Candlelight Master, Ribera, di Simon Vouet.
Due ampie sale concludono il nuovo percorso. La prima accoglie le opere dei caravaggeschi europei Trophime Bigot, Angelo Caroselli, Giovanni Serodine, Lionello Spada, Matthias Stom, Michael Sweerts, Hendrick Terbruggen e Simon Vouet. Nell’ultima esplode la pittura bolognese con opere di Domenichino, Guercino, Giovanni Lanfranco, Pier Francesco Mola, Guido Reni.
Nel primo trentennio del XVII secolo, infatti, il panorama artistico romano è un pullulare di scuole, nazioni, indirizzi difformi, a volte persino avversi. È un tempo in cui in pittura si cerca il “gradevole furore”, “il dolce terrore” accanto a un’ “aggraziata pietà”.
Il pezzo più bello di quest’ultima sala che chiude il nuovo percorso è forse la “Donna con turbante” (presunto ritratto di Beatrice Cenci) attribuito a Guido Reni.
“In questo volto della Cenci c’è più di quanto abbia mai visto in ogni altro volto umano” aveva confidato Goethe all’amico Zimmermann nel 1777. Il volto era quello di Beatrice Cenci, la sfortunata patrizia romana giustiziata per parricidio a Roma nel 1599 che, secondo la tradizione, sarebbe stata ritratta da Reni alla vigilia dell’esecuzione. Oggi l’attribuzione del quadro al pittore bolognese è generalmente respinta a vantaggio dell’ipotesi più recente che vede l’anonimo ritratto frutto del pennello della pittrice bolognese Ginevra Cantofoli.
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In attesa della mostra che, a marzo del prossimo anno, porterà nelle sale del Museo dedicate a Roma, i capolavori del pittore italiano Orazio Bolgianni, le Gallerie Nazionali di Arte Antica mostrano ai visitatori le dieci sale situate nell’Ala nord del piano nobile di Palazzo Barberini, completamente restaurate e con un nuovo percorso espositivo, organizzato secondo un ordine cronologico e geografico, dal tardo Cinquecento al Seicento.
«Il riallestimento delle sale dedicate al Seicento - spiega la direttrice Flaminia Gennari Santori - rappresenta il necessario proseguimento del lavoro di rinnovo iniziato lo scorso gennaio nell’ala sud del Palazzo, inaugurata ad aprile; il prossimo ottobre interesserà le sale dedicate al Cinquecento e si concluderà poi nel 2021, quando verrà riallestito anche il piano terra. Si tratta del frutto di nuovo impianto concettuale del Museo a cui penso dal mio insediamento, nel dicembre 2016, e che focalizza a Palazzo Barberini una struttura espositiva narrativa dal Medioevo al Settecento, cercando di valorizzare anche la storia del palazzo e dei Barberini, lasciando integra la quadreria settecentesca a Galleria Corsini».
Si parla in totale di 550 metri quadrati di spazio espositivo recuperato e destinato al prezioso nucleo dei capolavori seicenteschi, al fine di offrire un punto di vista unico sulla portata rivoluzionaria della pittura di Caravaggio e sulla sua influenza in Italia e in Europa. I capolavori dell’artista milanese, infatti, e tra questi il sublime Giuditta che decapita Oloferne, non occupano una sola sala dedicata, ma sono distribuiti in ambienti diversi per enfatizzare la storia della pittura a Roma e ribadire la rivoluzione che l’arte caravaggesca ha innescato nella città dei papi, dando vita a una pluralità di personalità. Ed è per questo motivo che fa un certo effetto ammirare - tra le 80 opere selezionate in un suggestivo percorso che permette, per la prima volta, di ammirare un’affascinante infilata di sale da un’ala all’altra del palazzo, attraverso il Salone Pietro da Cortona e la Sala Ovale - il San Francesco in meditazione del Merisi accanto allo stesso soggetto (il San Francesco e l’angelo) di Orazio Gentileschi, oltre ai capolavori di Valentin de Boulogne, grande erede del caravaggismo romano.
Dal tardo manierismo romano e internazionale, ben rappresentato dalle opere di Siciolante da Sermoneta, Pietro Francavilla, Girolamo Muziano, Marcello Venusti, Jacopo Zucchi, e Jacob de Backer, Joseph Heintz, Jan Metsys, il visitatore scivola verso la sala dedicata ai veneti di fine Cinquecento con opere di Tintoretto, El Greco, Palma il Giovane e con l’interessantissimo dipinto Venere e Adone di Scuola di Tiziano, esposto dopo un accurato restauro.
La Galleria, completamente ripulita e illuminata per esaltare gli affreschi della volta, accoglie invece alcuni dipinti dedicati alla pittura di genere, fra cui due quadri di Bartolomeo Passerotti, il Diluvio universale di Scuola di Jacopo Bassano, raramente visibile, e alcune tele mai prima esposte di Frans Francken il Giovane. A seguire una piccola sala, aperta alla visita del pubblico per la prima volta, è dedicata esclusivamente all’altarolo portatile di Annibale Carracci dalla Collezione Torlonia. All’interno figura il Tabernacolo con la Pietà, santa Cecilia e sant’Ermenegildo, mentre san Michele, l’Angelo custode, Cristo e Dio Padre arricchiscono i lati esterni.
Anche la sala successiva, con affreschi di fine Cinquecento, viene inserita per la prima volta nel percorso espositivo e contiene tre grandi paesaggi del pittore fiammingo Paul Bril, dedicati ai Feudi Mattei. Nelle tre sale successive, incentrate su Caravaggio e il caravaggismo, la Giuditta e Oloferne dialoga con opere di Giovanni Baglione, Orazio Borgianni, Bartolomeo Manfredi e Carlo Saraceni. Nella seconda sala, caratterizzata da un sentire più meditativo, sarà esposto invece, da giugno 2020, il Narciso attribuito a Caravaggio, accanto alle opere del Candlelight Master, Ribera, di Simon Vouet.
Due ampie sale concludono il nuovo percorso. La prima accoglie le opere dei caravaggeschi europei Trophime Bigot, Angelo Caroselli, Giovanni Serodine, Lionello Spada, Matthias Stom, Michael Sweerts, Hendrick Terbruggen e Simon Vouet. Nell’ultima esplode la pittura bolognese con opere di Domenichino, Guercino, Giovanni Lanfranco, Pier Francesco Mola, Guido Reni.
Nel primo trentennio del XVII secolo, infatti, il panorama artistico romano è un pullulare di scuole, nazioni, indirizzi difformi, a volte persino avversi. È un tempo in cui in pittura si cerca il “gradevole furore”, “il dolce terrore” accanto a un’ “aggraziata pietà”.
Il pezzo più bello di quest’ultima sala che chiude il nuovo percorso è forse la “Donna con turbante” (presunto ritratto di Beatrice Cenci) attribuito a Guido Reni.
“In questo volto della Cenci c’è più di quanto abbia mai visto in ogni altro volto umano” aveva confidato Goethe all’amico Zimmermann nel 1777. Il volto era quello di Beatrice Cenci, la sfortunata patrizia romana giustiziata per parricidio a Roma nel 1599 che, secondo la tradizione, sarebbe stata ritratta da Reni alla vigilia dell’esecuzione. Oggi l’attribuzione del quadro al pittore bolognese è generalmente respinta a vantaggio dell’ipotesi più recente che vede l’anonimo ritratto frutto del pennello della pittrice bolognese Ginevra Cantofoli.
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