Fino al 17 aprile
Keith Haring torna nella "sua" Pisa con una grande mostra a Palazzo Blu
Keith Haring, Untitled (Fertility), 1983, Serigrafia su carta, 127 x 106 cm Ed. 75/100 | Courtesy Keith Haring Foundation
Samantha De Martin
12/11/2021
Pisa - Nel 1989 Keith Haring faceva tappa a Pisa per dipingere, sulla parete esterna del convento di Sant' Antonio, il vivace murale Tuttomondo, l’ultima opera pubblica dell'artista statunitense prima della sua morte, nonché l'unica pensata per essere permanente.
Questo monumentale inno alla gioia, divenuto negli anni una delle grandi attrazioni della città, era nato da un incontro casuale, avvenuto a New York nel 1987, tra Haring e il giovane studente pisano Piergiorgio Castellani.
Castellani gli aveva proposto di realizzare qualcosa di grande in Italia e l’artista aveva accettato, dando forma a 30 dinamiche figurine concatenate e incastrate tra loro a simboleggiare la pace e l'armonia del mondo.
A poco più di trent'anni da quel primo soggiorno, la città che l’artista amava, definendola “incredibile", dedica una grande mostra a uno dei guru della street art.
Fino al 17 aprile a Palazzo Blu un avvincente percorso a cura di Kaoru Yanase, Chief Curator della Nakamura Keith Haring Collection, realizzato dalla Fondazione Pisa in collaborazione con MondoMostre, presenta per la prima volta in Europa oltre 170 lavori provenienti dalla Nakamura Keith Haring Collection, la collezione personale di Kazuo Nakamura, custodita in Giappone nel museo dedicato all'artista.
Keith Haring, Pop Shop II, 1988 Serigrafia su carta, 38 x 30.5 cm, Ed. HC 7/20 | Courtesy Keith Haring Foundation
Dai primi lavori di Haring fino agli ultimi della sua vita, dalla serie Apocalypse (1988) a Flowers, (1990) e ancora alle sculture e opere su tela come Untitled (1985), la rassegna ripercorre l'intera carriera dell’artista che ha individuato nel soggetto del bambino il mezzo più efficace per assicurarsi l'immortalità, abbracciando un'ampia gamma di tecniche espressive, dalla pittura al disegno, dal video al murales.
Cani, cuori, omini stilizzati e in movimento - segni che lo hanno reso un simbolo della cultura e dell’arte pop degli anni Ottanta - tracciano un viaggio in otto sezioni nella carriera dello street artist, dai disegni in metropolitana, Subway Drawings, tra i suoi lavori più noti e acclamati, fino al portfolio delle diciassette serigrafie dal titolo The Bluprint Drawings, l'ultima serie su carta pubblicata nel 1990, a un mese dalla morte.
Gli esordi di Haring hanno il colore bianco del gesso. Si tratta di segni grafici che delineano bambini, animali, angeli, piramidi, televisori, realizzati sopra i pannelli pubblicitari inutilizzati delle stazioni metropolitane di New York. Ma il cosiddetto “codice Haring” diventa subito riconoscibile, creando un linguaggio leggibile a colpo d’occhio, che accresce la sua fama.
Keith Haring | Foto: © Archivio Frassi, Fondazione Pisa, Palazzo Blu
Il percorso a Palazzo Blu accompagna i visitatori tra i colori fluorescenti di icone, simboli di vitalità e fertilità, sempre in movimento, per presentarlo al cospetto di The Story of Red + Blue, una serie di litografie realizzata nel 1989 espressamente per i bambini.
Ovunque Haring lavori, sulla strada o nel suo atelier, la musica è sempre presente. E la mostra lo prova, ricordandoci la collaborazione dell’artista alla creazione di un gran numero di cover, come quella per un album di David Bowie del 1983 che raffigura due omini stretti in un radioso abbraccio.
La maturazione del suo linguaggio artistico esplode in Apocalipse, 1988, dove la materia della sua arte si fa più profonda e complessa. Come omosessuale che convive con l’AIDS, sono la politica e la paura a diventare i temi dominanti dei suoi lavori. In collaborazione con lo scrittore beat William Burroughs, Haring lavora a questa serie, offrendo allo spettatore un assaggio del suo inferno personale.
Con il tempo il suo linguaggio, sempre più invaso da affollate piramidi di omini, soli, maschere, totem e body painting, si carica di echi ispirati all’arte azteca, eskimo, africana e afroamericana, nonché di simboli antichi e mitologici. Sono queste immagini, accanto ai dischi volanti, ai serpenti, a figure erranti ed extraterrestri, a chiudere il percorso.
Keith Haring, Icons, 1990, Serigrafia su carta con rilievo, 63.5 x 53.5 cm, Ed. 221/250 | Courtesy Keith Haring Foundation
Nel 1990, poco prima di morire, Haring pubblica la sua ultima edizione su carta, The Blueprint Drawings, disegni nati in poche settimane, tra dicembre 1980 e gennaio 1981. Nessuno sa quanti bambini abbia disegnato. Due giorni prima di morire, troppo debole anche per parlare, tenta ripetutamente di disegnare qualcosa.
È il bambino radiante, probabilmente Keith Haring stesso, un neonato dall’energia infinita, che sprigiona raggi di potere ricevuto dall’universo gattonando senza sosta verso ogni dove, al di là di ogni pericolo. E dopo la morte di Keith, dagli anni Novanta fino al caos dei giorni nostri, questo iconico testamento continua a emozionarci, ancora oggi, con il suo immenso messaggio di gioia.
Questo monumentale inno alla gioia, divenuto negli anni una delle grandi attrazioni della città, era nato da un incontro casuale, avvenuto a New York nel 1987, tra Haring e il giovane studente pisano Piergiorgio Castellani.
Castellani gli aveva proposto di realizzare qualcosa di grande in Italia e l’artista aveva accettato, dando forma a 30 dinamiche figurine concatenate e incastrate tra loro a simboleggiare la pace e l'armonia del mondo.
A poco più di trent'anni da quel primo soggiorno, la città che l’artista amava, definendola “incredibile", dedica una grande mostra a uno dei guru della street art.
Fino al 17 aprile a Palazzo Blu un avvincente percorso a cura di Kaoru Yanase, Chief Curator della Nakamura Keith Haring Collection, realizzato dalla Fondazione Pisa in collaborazione con MondoMostre, presenta per la prima volta in Europa oltre 170 lavori provenienti dalla Nakamura Keith Haring Collection, la collezione personale di Kazuo Nakamura, custodita in Giappone nel museo dedicato all'artista.
Keith Haring, Pop Shop II, 1988 Serigrafia su carta, 38 x 30.5 cm, Ed. HC 7/20 | Courtesy Keith Haring Foundation
Dai primi lavori di Haring fino agli ultimi della sua vita, dalla serie Apocalypse (1988) a Flowers, (1990) e ancora alle sculture e opere su tela come Untitled (1985), la rassegna ripercorre l'intera carriera dell’artista che ha individuato nel soggetto del bambino il mezzo più efficace per assicurarsi l'immortalità, abbracciando un'ampia gamma di tecniche espressive, dalla pittura al disegno, dal video al murales.
Cani, cuori, omini stilizzati e in movimento - segni che lo hanno reso un simbolo della cultura e dell’arte pop degli anni Ottanta - tracciano un viaggio in otto sezioni nella carriera dello street artist, dai disegni in metropolitana, Subway Drawings, tra i suoi lavori più noti e acclamati, fino al portfolio delle diciassette serigrafie dal titolo The Bluprint Drawings, l'ultima serie su carta pubblicata nel 1990, a un mese dalla morte.
Gli esordi di Haring hanno il colore bianco del gesso. Si tratta di segni grafici che delineano bambini, animali, angeli, piramidi, televisori, realizzati sopra i pannelli pubblicitari inutilizzati delle stazioni metropolitane di New York. Ma il cosiddetto “codice Haring” diventa subito riconoscibile, creando un linguaggio leggibile a colpo d’occhio, che accresce la sua fama.
Keith Haring | Foto: © Archivio Frassi, Fondazione Pisa, Palazzo Blu
Il percorso a Palazzo Blu accompagna i visitatori tra i colori fluorescenti di icone, simboli di vitalità e fertilità, sempre in movimento, per presentarlo al cospetto di The Story of Red + Blue, una serie di litografie realizzata nel 1989 espressamente per i bambini.
Ovunque Haring lavori, sulla strada o nel suo atelier, la musica è sempre presente. E la mostra lo prova, ricordandoci la collaborazione dell’artista alla creazione di un gran numero di cover, come quella per un album di David Bowie del 1983 che raffigura due omini stretti in un radioso abbraccio.
La maturazione del suo linguaggio artistico esplode in Apocalipse, 1988, dove la materia della sua arte si fa più profonda e complessa. Come omosessuale che convive con l’AIDS, sono la politica e la paura a diventare i temi dominanti dei suoi lavori. In collaborazione con lo scrittore beat William Burroughs, Haring lavora a questa serie, offrendo allo spettatore un assaggio del suo inferno personale.
Con il tempo il suo linguaggio, sempre più invaso da affollate piramidi di omini, soli, maschere, totem e body painting, si carica di echi ispirati all’arte azteca, eskimo, africana e afroamericana, nonché di simboli antichi e mitologici. Sono queste immagini, accanto ai dischi volanti, ai serpenti, a figure erranti ed extraterrestri, a chiudere il percorso.
Keith Haring, Icons, 1990, Serigrafia su carta con rilievo, 63.5 x 53.5 cm, Ed. 221/250 | Courtesy Keith Haring Foundation
Nel 1990, poco prima di morire, Haring pubblica la sua ultima edizione su carta, The Blueprint Drawings, disegni nati in poche settimane, tra dicembre 1980 e gennaio 1981. Nessuno sa quanti bambini abbia disegnato. Due giorni prima di morire, troppo debole anche per parlare, tenta ripetutamente di disegnare qualcosa.
È il bambino radiante, probabilmente Keith Haring stesso, un neonato dall’energia infinita, che sprigiona raggi di potere ricevuto dall’universo gattonando senza sosta verso ogni dove, al di là di ogni pericolo. E dopo la morte di Keith, dagli anni Novanta fino al caos dei giorni nostri, questo iconico testamento continua a emozionarci, ancora oggi, con il suo immenso messaggio di gioia.
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