Dal 22 al 24 ottobre al cinema con i maestri della Secessione viennese
Klimt e Schiele: icone allo specchio
Gustav Klimt, Giuditta e Oloferne, 1901 | © Österreichische Galerie Belvedere, Wien | Foto: Johannes Stoll
Francesca Grego
08/10/2018
Mondo - I grandi artisti non spuntano fuori da un cilindro. Come scopriremo dal 22 al 24 Ottobre nel film Klimt & Schiele. Eros e Psiche, a cavallo tra Ottocento e Novecento Vienna è una città magica, straripante di fermenti e novità: dalla psicanalisi di Freud all’emancipazione delle donne, dalla musica di Mahler e Schönberg al design di Koloman Moser, fino alla filosofia di Ludwig Wittgenstein, all’architettura di Otto Wagner e ai romanzi di Arthur Schnitzler. Ma quando parliamo d’arte il pensiero corre subito a loro: a Gustav Klimt ed Egon Schiele, alchimisti capaci di tradurre gli stimoli di una stagione irripetibile in immagini che vanno oltre le barriere del tempo.
Proviamo quindi a conoscerli da vicino, prima di scoprirli nel ruolo di icone cinematografiche attraverso l’ultima produzione di 3D e Nexo Digital.
Un’amicizia tra titani
Amici, colleghi e mai rivali – forse per via dei 28 anni che li separano – Klimt e Schiele si incontrano nel 1907 al Cafè Museum di Vienna. Un momento decisivo, destinato a cambiare la vita del secondo che si ritrova, appena diciottenne, a esporre le proprie opere in una mostra personale alla Wiener Werkstätte, cuore pulsante della creatività della capitale.
Sebbene Klimt continui ad aiutare l’amico a più riprese procurandogli modelle e commissioni, ciascuno ha una propria identità ben definita: l’uno imperatore dello Jugendstil, artefice di un linguaggio prezioso ed elegante che fonde influssi del passato, del presente e delle culture lontane con cui l’Occidente viene a contatto; l’altro dotato di straordinaria originalità, forza espressiva e introspezione psicologica, che dalla Secessione lo proiettano verso l’Espressionismo.
A unire artisticamente i due amici sono l’interesse per le fantasie più oscure della psiche, l’attrazione verso il corpo e l’eros, figli di un tempo segnato da Freud e Nietzsche e dal liberarsi, nella rigida società austriaca, dei fantasmi dell’inconscio e dell’irrazionale. Ma sono anche gli scandali che puntualmente seguono la presentazione di opere audaci, autentici oltraggi senso del pudore dei contemporanei. E infine la morte, che li raggiunge entrambi nel 1918: mentre un’epoca si chiude con il crollo dell’Impero austroungarico, Klimt è colpito da un ictus, Schiele si lascia portar via dall’influenza spagnola, tre giorni dopo aver visto morire sua moglie Edith.
Gustav Klimt, o il sogno di un’arte totale
Il Bacio, Giuditta, il Fregio di Beethoven, l’Albero della Vita, il Ritratto di Adele Bloch-Bauer, Le tre età della donna, Bisce d’acqua, Danae, l’Abbraccio… È quasi incredibile che tante opere dello stesso artista siano impresse con forza in un immaginario collettivo che non conosce confini. Ed è ancor più sorprendente se pensiamo che Gustav Klimt le realizzò tutte in otto anni, tra il 1901 e il 1909: il cosiddetto Periodo d’Oro, nato dalla scoperta dei mosaici bizantini di Ravenna e destinato a fare di lui l’artista più richiesto dalla borghesia in ascesa della capitale.
Nessuna meraviglia se i bagliori del re dei metalli lo hanno stregato: Klimt è figlio di un orafo boemo e di una cantante lirica. Si esprime nel dialetto di suo padre per tutta la vita, anche in società, ma è un grande seduttore, un innovatore raffinato e un artista poliedrico, capace di spaziare dalla pittura al mosaico e alla ceramica, dai grandi fregi decorativi ai quadri da salotto.
È audace quanto basta per passare sopra le più aspre contestazioni – prime fra tutte quelle per i dipinti delle Facoltà, commissionati dall’università della capitale – e per sperimentare nuove strade anche dopo aver conquistato il successo. D’altronde, è dai tempi in cui dà vita alla rivoluzionaria Sezession che a Vienna Klimt lo si ama o lo si odia, impossibile restargli indifferenti.
Il suo impulso al cambiamento è destinato in ogni caso ad avere ragione: per i ritratti dell’artista le signore della capitale fanno follie, specie quelle provenienti dagli ambienti cosmopoliti della diaspora ebraica, che hanno un debole per le novità. E lui le compiace ritraendole belle e misteriose, in abiti multicolori decorati con una cura mai vista.
Ma nella sua produzione non mancano paesaggi di concezione singolare, che coniugano la lezione degli Impressionisti con il rigore del disegno e della composizione tipicamente klimtiano. Sono dipinti sì dal vivo, ma guardando attraverso un cannocchiale, con l’effetto di appiattirli: i paesi intorno al Garda e le sponde del lago Attersee si trasformano in straordinari pannelli decorativi, così come i prati coperti di fiori.
Nell’ultima parte della carriera, la pittura di Klimt si fa più libera dalle gabbie del disegno e più ricca di contrasti. A influire sul suo lavoro sono l’incontro con le avanguardie parigine e il vento dell’Espressionismo, che a Vienna soffia forte con Schiele e Oskar Kokoschka. Emblema di questo periodo è La Sposa, rimasta incompiuta a causa della morte del pittore. Qui un groviglio di figure interpreta il tema del rapporti uomo-donna e svela a noi il curioso metodo di Klimt: disegnare i corpi nudi e poi ricoprirli di vesti variopinte, doni di bellezza che soffocano l’istinto.
Egon Schiele: il fascino dell’abisso
È difficile immaginare oggi che fino agli anni Cinquanta Egon Schiele fosse considerato un artista di interesse regionale. Furono l’intuito e la determinazione di un collezionista come Rudolf Leopold a conquistargli la meritata fama sulle scene del mondo. Il pittore d’altronde non cercò mai il successo facile: il suo stile rompe violentemente con il passato, i suoi soggetti sembrano fatti per suscitare turbamenti.
Quasi 350 dipinti, 2800 disegni e acquerelli – un numero impressionante se pensiamo a una vita di soli 28 anni - parlano di un continuo scavo nell’umana fragilità, nei limiti del corpo, negli abissi della sessualità, della malattia, della morte. Temi che fanno la differenza rispetto agli altri artisti della Secessione, così come i nudi armoniosi dello Jugendstil acquistano tratti estatici e demoniaci, mentre la linea, senza perdere in delicatezza, si disarticola e veleggia verso atmosfere espressioniste. Nella sua immaginazione anticonvenzionale, anche il celebre Bacio di Klimt diventa un amore proibito: quello tra un cardinale e una suora (Cardinal and Nun – Caress).
Inquieto, esibizionista, senza tabù, eppure sensibile al richiamo un certo misticismo, Schiele non stupisce solo per le innovazioni artistiche: nel 1911 è scacciato dalla cittadina boema di Krumau (oggi Cesky Krumlov) dove si è stabilito, perché convive con la modella diciassettenne Wally Neuzil e appena un anno dopo finisce in carcere per aver sedotto una ragazza non ancora quattordicenne. Alla fine del processo sarà ritenuto colpevole esclusivamente per aver esibito le sue opere, tacciate di pornografia. Troverà una nuova armonia – e il successo - solo dopo il matrimonio con Edith Harms, che porrà come condizione quella di essere la sua unica musa ispiratrice.
Ritratti e nudi di grande intensità compongono gran parte del corpus artistico di Schiele, che dipinge le sue donne (Gerti Schiele, La moglie dell’artista, Ritratto di Wally Neuzil), il mentore Klimt (Gli eremiti, Ritratto di Klimt), le puerpere in ospedale (La madre morta, Madre con due bambini), i figli dei poveri (Ritratto di due bambini) e dei ricchi (Herbert Rainer), interessandosi ai loro corpi come “persone”, in una dimensione tutt’altro che estetizzante. Ma ancora più spesso dipinge se stesso in indimenticabili autoritratti: nudo, vestito, in elegante panciotto o con frutti alchechengi, ma sempre alla ricerca della parte straniera dell’Io.
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Amici, colleghi e mai rivali – forse per via dei 28 anni che li separano – Klimt e Schiele si incontrano nel 1907 al Cafè Museum di Vienna. Un momento decisivo, destinato a cambiare la vita del secondo che si ritrova, appena diciottenne, a esporre le proprie opere in una mostra personale alla Wiener Werkstätte, cuore pulsante della creatività della capitale.
Sebbene Klimt continui ad aiutare l’amico a più riprese procurandogli modelle e commissioni, ciascuno ha una propria identità ben definita: l’uno imperatore dello Jugendstil, artefice di un linguaggio prezioso ed elegante che fonde influssi del passato, del presente e delle culture lontane con cui l’Occidente viene a contatto; l’altro dotato di straordinaria originalità, forza espressiva e introspezione psicologica, che dalla Secessione lo proiettano verso l’Espressionismo.
A unire artisticamente i due amici sono l’interesse per le fantasie più oscure della psiche, l’attrazione verso il corpo e l’eros, figli di un tempo segnato da Freud e Nietzsche e dal liberarsi, nella rigida società austriaca, dei fantasmi dell’inconscio e dell’irrazionale. Ma sono anche gli scandali che puntualmente seguono la presentazione di opere audaci, autentici oltraggi senso del pudore dei contemporanei. E infine la morte, che li raggiunge entrambi nel 1918: mentre un’epoca si chiude con il crollo dell’Impero austroungarico, Klimt è colpito da un ictus, Schiele si lascia portar via dall’influenza spagnola, tre giorni dopo aver visto morire sua moglie Edith.
Gustav Klimt, o il sogno di un’arte totale
Il Bacio, Giuditta, il Fregio di Beethoven, l’Albero della Vita, il Ritratto di Adele Bloch-Bauer, Le tre età della donna, Bisce d’acqua, Danae, l’Abbraccio… È quasi incredibile che tante opere dello stesso artista siano impresse con forza in un immaginario collettivo che non conosce confini. Ed è ancor più sorprendente se pensiamo che Gustav Klimt le realizzò tutte in otto anni, tra il 1901 e il 1909: il cosiddetto Periodo d’Oro, nato dalla scoperta dei mosaici bizantini di Ravenna e destinato a fare di lui l’artista più richiesto dalla borghesia in ascesa della capitale.
Nessuna meraviglia se i bagliori del re dei metalli lo hanno stregato: Klimt è figlio di un orafo boemo e di una cantante lirica. Si esprime nel dialetto di suo padre per tutta la vita, anche in società, ma è un grande seduttore, un innovatore raffinato e un artista poliedrico, capace di spaziare dalla pittura al mosaico e alla ceramica, dai grandi fregi decorativi ai quadri da salotto.
È audace quanto basta per passare sopra le più aspre contestazioni – prime fra tutte quelle per i dipinti delle Facoltà, commissionati dall’università della capitale – e per sperimentare nuove strade anche dopo aver conquistato il successo. D’altronde, è dai tempi in cui dà vita alla rivoluzionaria Sezession che a Vienna Klimt lo si ama o lo si odia, impossibile restargli indifferenti.
Il suo impulso al cambiamento è destinato in ogni caso ad avere ragione: per i ritratti dell’artista le signore della capitale fanno follie, specie quelle provenienti dagli ambienti cosmopoliti della diaspora ebraica, che hanno un debole per le novità. E lui le compiace ritraendole belle e misteriose, in abiti multicolori decorati con una cura mai vista.
Ma nella sua produzione non mancano paesaggi di concezione singolare, che coniugano la lezione degli Impressionisti con il rigore del disegno e della composizione tipicamente klimtiano. Sono dipinti sì dal vivo, ma guardando attraverso un cannocchiale, con l’effetto di appiattirli: i paesi intorno al Garda e le sponde del lago Attersee si trasformano in straordinari pannelli decorativi, così come i prati coperti di fiori.
Nell’ultima parte della carriera, la pittura di Klimt si fa più libera dalle gabbie del disegno e più ricca di contrasti. A influire sul suo lavoro sono l’incontro con le avanguardie parigine e il vento dell’Espressionismo, che a Vienna soffia forte con Schiele e Oskar Kokoschka. Emblema di questo periodo è La Sposa, rimasta incompiuta a causa della morte del pittore. Qui un groviglio di figure interpreta il tema del rapporti uomo-donna e svela a noi il curioso metodo di Klimt: disegnare i corpi nudi e poi ricoprirli di vesti variopinte, doni di bellezza che soffocano l’istinto.
Egon Schiele: il fascino dell’abisso
È difficile immaginare oggi che fino agli anni Cinquanta Egon Schiele fosse considerato un artista di interesse regionale. Furono l’intuito e la determinazione di un collezionista come Rudolf Leopold a conquistargli la meritata fama sulle scene del mondo. Il pittore d’altronde non cercò mai il successo facile: il suo stile rompe violentemente con il passato, i suoi soggetti sembrano fatti per suscitare turbamenti.
Quasi 350 dipinti, 2800 disegni e acquerelli – un numero impressionante se pensiamo a una vita di soli 28 anni - parlano di un continuo scavo nell’umana fragilità, nei limiti del corpo, negli abissi della sessualità, della malattia, della morte. Temi che fanno la differenza rispetto agli altri artisti della Secessione, così come i nudi armoniosi dello Jugendstil acquistano tratti estatici e demoniaci, mentre la linea, senza perdere in delicatezza, si disarticola e veleggia verso atmosfere espressioniste. Nella sua immaginazione anticonvenzionale, anche il celebre Bacio di Klimt diventa un amore proibito: quello tra un cardinale e una suora (Cardinal and Nun – Caress).
Inquieto, esibizionista, senza tabù, eppure sensibile al richiamo un certo misticismo, Schiele non stupisce solo per le innovazioni artistiche: nel 1911 è scacciato dalla cittadina boema di Krumau (oggi Cesky Krumlov) dove si è stabilito, perché convive con la modella diciassettenne Wally Neuzil e appena un anno dopo finisce in carcere per aver sedotto una ragazza non ancora quattordicenne. Alla fine del processo sarà ritenuto colpevole esclusivamente per aver esibito le sue opere, tacciate di pornografia. Troverà una nuova armonia – e il successo - solo dopo il matrimonio con Edith Harms, che porrà come condizione quella di essere la sua unica musa ispiratrice.
Ritratti e nudi di grande intensità compongono gran parte del corpus artistico di Schiele, che dipinge le sue donne (Gerti Schiele, La moglie dell’artista, Ritratto di Wally Neuzil), il mentore Klimt (Gli eremiti, Ritratto di Klimt), le puerpere in ospedale (La madre morta, Madre con due bambini), i figli dei poveri (Ritratto di due bambini) e dei ricchi (Herbert Rainer), interessandosi ai loro corpi come “persone”, in una dimensione tutt’altro che estetizzante. Ma ancora più spesso dipinge se stesso in indimenticabili autoritratti: nudo, vestito, in elegante panciotto o con frutti alchechengi, ma sempre alla ricerca della parte straniera dell’Io.
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