Vedutismo: nascita di un genere
Canaletto
13/02/2001
Il genere del vedutismo, erede della tradizione paesaggistica “borghese” dei Paesi Bassi, si fa strada in Italia nella seconda metà del XVII secolo, rispondendo all’esigenza diffusa di dare autonomia d’immagine ai paesaggi archeologici e monumentali della città eterna, Roma. Al paesaggio classico e idealizzato di Annibale Carracci, Claude Lorrain e Nicolas Poussin, luogo di accadimento di eventi biblici o mitologici, si affiancano così le immagini delle rovine, prive di contenuti narrativi e più rispondenti al gusto degli artisti e dei numerosi compratori nordici, fiamminghi ed olandesi soprattutto, residenti in città. All’inizio del nuovo secolo, grazie alla spinta del grande olandese Gaspar Van Wittel (1652-1736), si assiste, infine, al successo del genere della veduta realistica, quella della Roma viva, attuale.
L’ascesa della borghesia commerciale in Europa allarga il mercato dell’arte; fuori dalle problematiche della cultura accademica, legata alla promozione della pittura religiosa o storica, i nuovi artisti-imprenditori lavorano, liberi dagli obblighi della committenza, per un ampio pubblico internazionale, forse non colto, certamente laico, che acquista i quadri grazie all’intermediazione di mercanti d’arte di professione. Il formato orizzontale, le misure medie, da salotto, i prezzi moderati rendono le tele assolutamente adatte alla decorazione delle eleganti dimore borghesi. L’abbagliante bellezza della Roma classica, dei suoi ruderi in particolare, viene dunque esportata verso il Nord Europa. Le vedute esatte di Giovanni Paolo Pannini fanno, contemporaneamente, soprattutto grazie alla traduzione a stampa, il giro del mondo.
Il soggiorno veneziano di Van Wittel, datato al 1694-1695, inaugura virtualmente la storia della veduta veneziana del Settecento, stabilendone l’impostazione generale e individuando punti di vista che Canaletto avrebbe reso celebri. Il bacino di San Marco e il Palazzo Ducale divengono, come il Colosseo o l’Arco di Costantino, finalmente vero soggetto della pittura e non sfondo di altre rappresentazioni. Negli anni successivi il friulano Luca Carlevarijs (1663-1727), inizialmente non estraneo al gusto del rovinismo, ne porta avanti solo parzialmente la lezione, muovendosi tra una lettura lenticolare del dato reale e qualche concessione al pittoricismo tipico della tradizione locale. Nell’Arrivo dell’ambasciatore francese conte de Gergy al Palazzo Ducale (Fontainebleau, Castello), datato al 1726 circa, punto di riferimento obbligato per ogni successiva elaborazione del tema, egli riprende a volo d’uccello il Bacino fitto di imbarcazioni e il corteo dei diplomatici che stanno per entrare nel palazzo. Nel 1703 aveva pubblicato una raccolta di centoquattro incisioni intitolata Fabbriche e Vedute di Venezia, di grande successo internazionale. Sulla sua scia, ma con una forza espressiva e una capacità incomparabilmente superiore di cogliere l’essenza profonda del paesaggio, si collocano gli inizi del giovane Canaletto.
Allo scadere degli anni Quaranta si possono così individuare due modi di interpretare la veduta: quello di Van Wittel e delle scuole romana e napoletana (all’interno delle quali emergono l’altro olandese, Hendrik Frans Van Lint, ed Antonio Joli), essenzialmente realistico e fedele al dato ottico; quello di Carlevarijs e Canaletto, maggiormente interpretativo e caratterizzato da una forte componente scenografica.
La seconda metà del secolo sarà dominata in territorio veneto dalle figure di Bernardo Bellotto (1722-1780), presto esule in Sassonia, e di Francesco Guardi (1712-1793), estremo ed acuto osservatore della sua città, malinconico evocatore di una grandezza ormai in declino. Egli interpreterà in maniera fantastica e capricciosa il tema della veduta, abbandonando spesso ogni interesse documentario e creando visioni di una città dove le stesse monumentali architetture sembrano perdere consistenza nell’atmosfera sospesa e argentea della laguna. Partendo dall’osservazione fedele della realtà Guardi sarà cioè in grado di astrarla e di trasformarla nel manifesto della propria personale interpretazione delle cose. La benevola e solare visione canalettiana diventerà disperata contemplazione di un mondo in disfacimento.
Nel 1797 la firma del trattato di Campoformio tra Napoleone Bonaparte e l’Austria avrebbe messo fine alla storia, gloriosa e triste, della Repubblica veneta: con esso gli Asburgo avrebbero riconosciuto l’indipendenza della Repubblica cisalpina in cambio del possesso della Serenissima.
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