Nelle sale italiane dall’11 al 13 aprile
Tintoretto, il cinema e il tempo. Erminio Perocco racconta il suo ultimo film
Frame da Tintoretto. L'artista che uccise la pittura, al cinema l'11, 12 e 13 aprile
Francesca Grego
07/04/2022
Da Leonardo a Raffaello, da Monet a Balla, negli ultimi anni i grandi maestri sembrano essersi trasferiti sugli schermi, quasi come in nuovo spazio espositivo. Ma come raccontare l’arte al cinema? Come restituirne il fascino e la verità a un pubblico diverso e ben più ampio di quello dei musei? A regalarci ispirazioni inattese sta per arrivare nientemeno che Tintoretto, un artista incredibilmente moderno in pieno Cinquecento e, per qualcuno, un regista cinematografico ante litteram. Nelle sale italiane dall’11 al 13 aprile grazie ad una produzione internazionale della casa veneziana Kublai Film con Videe, ZetaGroup, Gebrueder Beetz Filmproduktion e con la collaborazione della tv franco-tedesca ARTE, Tintoretto. L’artista che uccise la pittura di Erminio Perocco invita ad immergersi nell’universo di un gigante che suscita stupore e ammirazione, ma che talvolta è difficile comprendere e apprezzare fino in fondo. Autore di messe in scena originalissime e di eccezionale potenza, a distanza di 500 anni Tintoretto condivide con il regista del suo ritratto cinematografico la passione per il racconto.
Veneziano doc proprio come il pittore, Perocco ha un passato nel mondo della pubblicità come direttore creativo dell’agenzia Armando Testa e inventore di campagne che hanno segnato l’immaginario collettivo italiano. Ha scritto e diretto fiction e webseries e vinto circa duecento premi in Italia e nel mondo, tra cui il Leone d’oro a Cannes, il New York Film Festival, il Chicago Film Festival, il Telegatto, l’Art director’s club e il Mezzominuto d’oro, per poi tornare a un’antica passione, l’arte.
“In un documentario l’aspetto narrativo è fondamentale”, spiega il regista: “Dopo aver lavorato in pubblicità, credo che ogni cosa possa essere fatta con il piacere di raccontare, in modo tale che lo spettatore resti felicemente incollato alla sedia per sapere come va a finire. L’obiettivo è suscitare il suo interesse per condurlo dritto nell’universo dell’artista. Ed è una bellissima avventura, tanto più che le vite degli artisti sono piene di storie avvincenti. Anche le interviste agli esperti internazionali che presentiamo non sono fine a se stesse, ma parte di uno spettacolo che mira a coinvolgere il pubblico rispondendo al suo gusto per la scoperta. Non c’è nessun motivo per cui l’arte debba essere resa difficile o noiosa: è un mondo così affascinante!”.
Frame da Tintoretto. L'artista che uccise la pittura, al cinema l'11, 12 e 13 aprile
Anche a Tintoretto piaceva raccontare e Jean-Paul Sartre lo ha definito “il primo regista cinematografico della storia”…
“Tintoretto è molto narrativo e questo lo avvicina a un regista cinematografico, tuttavia il gusto del racconto esisteva già nel Medioevo. A mio avviso la parte più registica del suo lavoro è proprio quella legata alla resa del tempo, allo sviluppo della scena. La Visitazione della Scuola Grande di San Rocco, per esempio, ha come protagoniste due donne che si abbracciano. Prese separatamente, le figure di Maria e di Elisabetta non starebbero in piedi: la dinamica è data proprio dal fatto che si sorreggono vicendevolmente e questo movimento casuale. Il senso profondo è che due donne a cui nessuno crederebbe (Maria perché vergine e prossima a diventare madre, Elisabetta miracolosamente incinta nonostante la vecchiaia, n.d.r) riescono a reggere l’urto di una situazione straordinaria e socialmente inaccettabile solo facendosi forza a vicenda. Una scena commovente che Tintoretto ci restituisce in modo davvero rivoluzionario, è il primo in assoluto a pensarla in questi termini”.
Che cosa ti ha attratto di Tintoretto?
“Conosco Tintoretto fin da quando ero bambino, ma girare questo film è stato una scoperta continua anche per me. Mi colpiscono le enormi dimensioni dei suoi quadri: più sono grandi e più Tintoretto è contento. Quando si lancia nell’impresa della Scuola di San Rocco, vuole dipingerla tutta nonostante gli spazi siano immensi. Questo contrasta con l’opinione di molti, secondo cui la sua tecnica veloce è legata al desiderio di denaro. Chi vuole massimizzare i guadagni non si impegna in opere tanto vaste. Per la chiesa veneziana della Madonna dell’orto, dove lavora gratis o quasi, Tintoretto realizza due quadri alti più di 11 metri e il Paradiso di Palazzo Ducale è forse la tela più grande del mondo. Il vero motivo è un incontenibile bisogno di dipingere, che spinge questo artista a consumare colori ed energie senza porsi limiti. È qui che viene fuori la sua anima da regista, l’urgenza di mettere in scena e di dare spazio a queste scene”.
Frame da Tintoretto. L'artista che uccise la pittura, al cinema l'11, 12 e 13 aprile
Quali sfide ha dovuto affrontare nella realizzazione di questo film?
“Non è mai facile conciliare il budget e le idee, perché in Italia investiamo poco sul nostro straordinario patrimonio artistico. Per fortuna la tv franco-tedesca ARTE ci ha creduto, permettendo al progetto di decollare. Durante le riprese, invece, abbiamo dovuto fronteggiare un problema tecnico non da poco: come inquadrare le altissime tele di Tintoretto, che talvolta si trovano anche in spazi ristretti? Certamente non dal basso, per evitare di deformarle. Perciò ci siamo muniti di droni e impalcature e abbiamo assaporato il piacere di salire fino in cima, guardando per la prima volta le tele dal punto di vista di chi le ha dipinte”.
Qual è a tuo parere il punto di forza del docufilm?
“Spero che possa essere l’occasione per capire veramente perché Tintoretto è stato un grandissimo artista, visto che, rispetto ad altri maestri, la sua pittura non è semplice e il suo tocco veloce a prima vista può lasciare perplessi. Un altro aspetto interessante che ho avuto il piacere di sviluppare è il rapporto di Tintoretto con il teatro. Nasce di qui la sua ‘stanza segreta’, dove dispone dei pupazzi come su un palcoscenico, li studia e scova nuove prospettive. Non a caso, una delle cose che colpiscono nei suoi quadri è la presenza di figure riprese dall’alto, dal basso, da punti di vista diversi e inusuali. Questo dà l’idea della complessità del suo essere artista, che non si limita alla pittura: Tintoretto ha lavorato per il teatro, suona e si interessa a tutte le espressioni artistiche. In più, studia per inventare cose mai viste prima, un fatto che nel Cinquecento non è per nulla scontato e che lo rende ancora una volta molto moderno. Non era facile inventarsi una poetica nuova, avendo dietro giganti come Leonardo, Michelangelo, Raffaello e Tiziano, che lavorava a Venezia proprio come lui”.
Frame da Tintoretto. L'artista che uccise la pittura, al cinema l'11, 12 e 13 aprile
Anche tu sei veneziano, come Kublai Film, la casa che ha prodotto documentario. Qual è il valore aggiunto di un film 100% made in Laguna nel raccontare un artista legato alla Serenissima come Tintoretto?
“Conoscere da sempre le opere e i luoghi di Tintoretto ci ha spinti ad andare oltre la superficie. Quando conosci bene un artista puoi lavorare per far emergere la sua anima, perché vuoi che tutti sappiano quello che tu hai già sperimentato su di lui”.
Da questo osservatorio privilegiato, che idea ti sei fatto dell’uomo Tintoretto e della sua sfera personale?
“Di Tintoretto si è spesso parlato in maniera un po’ romanzata. In realtà ha una vita piuttosto normale e questo mi ha divertito. Dimostra che un artista non debba essere per forza genio e sregolatezza, uno con la testa tra le nuvole, preso solo da se stesso. Tintoretto pensa ai figli, alla moglie, alla casa, a cose molto concrete. Ogni tanto va a bere con gli amici e ha una vita sociale come tutti. Poi c’è la storia di Marietta, una figlia molto amata nonostante sia nata prima del matrimonio e da un’altra donna. All’epoca i figli naturali erano spesso accolti in casa insieme agli altri. Con Marietta Tintoretto ha un rapporto forse ancora più intenso, le insegna musica, le fa dare lezioni, riconosce il suo spiccato talento di pittrice e la aiuta a svilupparlo”.
Frame da Tintoretto. L'artista che uccise la pittura, al cinema l'11, 12 e 13 aprile
In che modo Tintoretto ha ucciso la pittura?
“Anche questa è un’idea Sartre, che era un suo grande ammiratore. Perché un’espressione così forte? Tintoretto aveva una visione della pittura molto più moderna dei suoi contemporanei, andava contro quella che nel Cinquecento era considerata ‘buona pittura’. Chiunque si accorgeva del suo grande talento, ma tutti avevano un appunto da fargli: perché dipingi così velocemente? Perché il tuo tratto non è curato come quello degli altri? È una domanda che attraversa i secoli e per lunghi periodi Tintoretto non è molto apprezzato. Poi si capisce che questa sua indifferenza verso la perfezione supera - e quindi uccide - la pittura perché riesce nel difficile compito di portare il tempo sulla tela. Nei suoi quadri Tintoretto non rappresenta un fotogramma, bensì la dinamica di un’intera situazione. È come se confrontassimo la fotografia di studio e la fotografia di reportage. La prima è perfetta ma cristallizzata in un solo istante. La fotografia di reportage, invece, suggerisce la realtà nel suo farsi. Credo che guardando Tiziano, Raffaello e gli altri grandi maestri del Rinascimento, Tintoretto si sia chiesto come superarli e abbia cercato una propria strada. Ha ucciso la pittura perché è andato oltre i limiti della pittura stessa”.
Da Cézanne a Pollock, fino a Emilio Vedova, Tintoretto ha conquistato i grandi dell’arte moderna e contemporanea…
“Dopo secoli di oblio, dall’Impressionismo in poi Tintoretto torna alla ribalta. Il suo modo di intendere la pittura appare rivoluzionario. Figure appena accennate, quasi astratte, lo distinguono dallo stile degli altri artisti rinascimentali. Dopo averle viste, anche l’anziano Tiziano sembra spostarsi verso immagini meno dettagliate e lo stesso Michelangelo in vecchiaia si converte al ‘non finito’. Ma Tintoretto fa questa scelta fin dall’inizio e la porta ad altissimo livello: nel Cinquecento sembra essere già oltre la fotografia! Perciò molti innovatori hanno visto in lui un maestro, l’uomo che per primo ha inteso la pittura non come riproduzione della realtà, ma come una macchina capace di restituire la forza di una scena, la potenza di un evento. Come dicevo prima, nei suoi quadri il tempo si offre in un istante dilatato: in un singolo fotogramma riesce a farti vedere il prima e il dopo, rispondendo in anticipo a uno dei grandi problemi della pittura moderna. Gli audaci sperimentatori dell'Ottocento e del Novecento hanno riconosciuto in lui lo sforzo titanico di andare al di là del mezzo”.
Frame da Tintoretto. L'artista che uccise la pittura I Courtesy Koublai Film
In definitiva, perché andare al cinema a vedere il tuo film l’11, il 12 e il 13 aprile?
“Per il piacere di scoprire qualcosa che non si sa e per ammirare le opere di Tintoretto come non è e non sarà mai possibile fare dal vivo. Per restare incollati un’ora e mezza a un racconto avvincente e per meravigliarsi di fronte a immagini forti e particolari. Per vedere se abbiamo vinto la scommessa”.
Quali altri personaggi ti piacerebbe portare al cinema in futuro?
“Le idee in ballo sono davvero tante, mi guardo intorno e penso continuamente: su questo ci sarebbe da fare un documentario! Dopo Tintoretto mi piacerebbe lavorare su un altro grande veneziano, Marco Polo. Oppure su Piero della Francesca, a breve protagonista di un importante anniversario”.
Frame da Tintoretto. L'artista che uccise la pittura, al cinema l'11, 12 e 13 aprile
Leggi anche:
• Tintoretto. L'artista che uccise la pittura - La nostra recensione
• FOTO - Tintoretto. L'artista che uccise la pittura
Veneziano doc proprio come il pittore, Perocco ha un passato nel mondo della pubblicità come direttore creativo dell’agenzia Armando Testa e inventore di campagne che hanno segnato l’immaginario collettivo italiano. Ha scritto e diretto fiction e webseries e vinto circa duecento premi in Italia e nel mondo, tra cui il Leone d’oro a Cannes, il New York Film Festival, il Chicago Film Festival, il Telegatto, l’Art director’s club e il Mezzominuto d’oro, per poi tornare a un’antica passione, l’arte.
“In un documentario l’aspetto narrativo è fondamentale”, spiega il regista: “Dopo aver lavorato in pubblicità, credo che ogni cosa possa essere fatta con il piacere di raccontare, in modo tale che lo spettatore resti felicemente incollato alla sedia per sapere come va a finire. L’obiettivo è suscitare il suo interesse per condurlo dritto nell’universo dell’artista. Ed è una bellissima avventura, tanto più che le vite degli artisti sono piene di storie avvincenti. Anche le interviste agli esperti internazionali che presentiamo non sono fine a se stesse, ma parte di uno spettacolo che mira a coinvolgere il pubblico rispondendo al suo gusto per la scoperta. Non c’è nessun motivo per cui l’arte debba essere resa difficile o noiosa: è un mondo così affascinante!”.
Frame da Tintoretto. L'artista che uccise la pittura, al cinema l'11, 12 e 13 aprile
Anche a Tintoretto piaceva raccontare e Jean-Paul Sartre lo ha definito “il primo regista cinematografico della storia”…
“Tintoretto è molto narrativo e questo lo avvicina a un regista cinematografico, tuttavia il gusto del racconto esisteva già nel Medioevo. A mio avviso la parte più registica del suo lavoro è proprio quella legata alla resa del tempo, allo sviluppo della scena. La Visitazione della Scuola Grande di San Rocco, per esempio, ha come protagoniste due donne che si abbracciano. Prese separatamente, le figure di Maria e di Elisabetta non starebbero in piedi: la dinamica è data proprio dal fatto che si sorreggono vicendevolmente e questo movimento casuale. Il senso profondo è che due donne a cui nessuno crederebbe (Maria perché vergine e prossima a diventare madre, Elisabetta miracolosamente incinta nonostante la vecchiaia, n.d.r) riescono a reggere l’urto di una situazione straordinaria e socialmente inaccettabile solo facendosi forza a vicenda. Una scena commovente che Tintoretto ci restituisce in modo davvero rivoluzionario, è il primo in assoluto a pensarla in questi termini”.
Che cosa ti ha attratto di Tintoretto?
“Conosco Tintoretto fin da quando ero bambino, ma girare questo film è stato una scoperta continua anche per me. Mi colpiscono le enormi dimensioni dei suoi quadri: più sono grandi e più Tintoretto è contento. Quando si lancia nell’impresa della Scuola di San Rocco, vuole dipingerla tutta nonostante gli spazi siano immensi. Questo contrasta con l’opinione di molti, secondo cui la sua tecnica veloce è legata al desiderio di denaro. Chi vuole massimizzare i guadagni non si impegna in opere tanto vaste. Per la chiesa veneziana della Madonna dell’orto, dove lavora gratis o quasi, Tintoretto realizza due quadri alti più di 11 metri e il Paradiso di Palazzo Ducale è forse la tela più grande del mondo. Il vero motivo è un incontenibile bisogno di dipingere, che spinge questo artista a consumare colori ed energie senza porsi limiti. È qui che viene fuori la sua anima da regista, l’urgenza di mettere in scena e di dare spazio a queste scene”.
Frame da Tintoretto. L'artista che uccise la pittura, al cinema l'11, 12 e 13 aprile
Quali sfide ha dovuto affrontare nella realizzazione di questo film?
“Non è mai facile conciliare il budget e le idee, perché in Italia investiamo poco sul nostro straordinario patrimonio artistico. Per fortuna la tv franco-tedesca ARTE ci ha creduto, permettendo al progetto di decollare. Durante le riprese, invece, abbiamo dovuto fronteggiare un problema tecnico non da poco: come inquadrare le altissime tele di Tintoretto, che talvolta si trovano anche in spazi ristretti? Certamente non dal basso, per evitare di deformarle. Perciò ci siamo muniti di droni e impalcature e abbiamo assaporato il piacere di salire fino in cima, guardando per la prima volta le tele dal punto di vista di chi le ha dipinte”.
Qual è a tuo parere il punto di forza del docufilm?
“Spero che possa essere l’occasione per capire veramente perché Tintoretto è stato un grandissimo artista, visto che, rispetto ad altri maestri, la sua pittura non è semplice e il suo tocco veloce a prima vista può lasciare perplessi. Un altro aspetto interessante che ho avuto il piacere di sviluppare è il rapporto di Tintoretto con il teatro. Nasce di qui la sua ‘stanza segreta’, dove dispone dei pupazzi come su un palcoscenico, li studia e scova nuove prospettive. Non a caso, una delle cose che colpiscono nei suoi quadri è la presenza di figure riprese dall’alto, dal basso, da punti di vista diversi e inusuali. Questo dà l’idea della complessità del suo essere artista, che non si limita alla pittura: Tintoretto ha lavorato per il teatro, suona e si interessa a tutte le espressioni artistiche. In più, studia per inventare cose mai viste prima, un fatto che nel Cinquecento non è per nulla scontato e che lo rende ancora una volta molto moderno. Non era facile inventarsi una poetica nuova, avendo dietro giganti come Leonardo, Michelangelo, Raffaello e Tiziano, che lavorava a Venezia proprio come lui”.
Frame da Tintoretto. L'artista che uccise la pittura, al cinema l'11, 12 e 13 aprile
Anche tu sei veneziano, come Kublai Film, la casa che ha prodotto documentario. Qual è il valore aggiunto di un film 100% made in Laguna nel raccontare un artista legato alla Serenissima come Tintoretto?
“Conoscere da sempre le opere e i luoghi di Tintoretto ci ha spinti ad andare oltre la superficie. Quando conosci bene un artista puoi lavorare per far emergere la sua anima, perché vuoi che tutti sappiano quello che tu hai già sperimentato su di lui”.
Da questo osservatorio privilegiato, che idea ti sei fatto dell’uomo Tintoretto e della sua sfera personale?
“Di Tintoretto si è spesso parlato in maniera un po’ romanzata. In realtà ha una vita piuttosto normale e questo mi ha divertito. Dimostra che un artista non debba essere per forza genio e sregolatezza, uno con la testa tra le nuvole, preso solo da se stesso. Tintoretto pensa ai figli, alla moglie, alla casa, a cose molto concrete. Ogni tanto va a bere con gli amici e ha una vita sociale come tutti. Poi c’è la storia di Marietta, una figlia molto amata nonostante sia nata prima del matrimonio e da un’altra donna. All’epoca i figli naturali erano spesso accolti in casa insieme agli altri. Con Marietta Tintoretto ha un rapporto forse ancora più intenso, le insegna musica, le fa dare lezioni, riconosce il suo spiccato talento di pittrice e la aiuta a svilupparlo”.
Frame da Tintoretto. L'artista che uccise la pittura, al cinema l'11, 12 e 13 aprile
In che modo Tintoretto ha ucciso la pittura?
“Anche questa è un’idea Sartre, che era un suo grande ammiratore. Perché un’espressione così forte? Tintoretto aveva una visione della pittura molto più moderna dei suoi contemporanei, andava contro quella che nel Cinquecento era considerata ‘buona pittura’. Chiunque si accorgeva del suo grande talento, ma tutti avevano un appunto da fargli: perché dipingi così velocemente? Perché il tuo tratto non è curato come quello degli altri? È una domanda che attraversa i secoli e per lunghi periodi Tintoretto non è molto apprezzato. Poi si capisce che questa sua indifferenza verso la perfezione supera - e quindi uccide - la pittura perché riesce nel difficile compito di portare il tempo sulla tela. Nei suoi quadri Tintoretto non rappresenta un fotogramma, bensì la dinamica di un’intera situazione. È come se confrontassimo la fotografia di studio e la fotografia di reportage. La prima è perfetta ma cristallizzata in un solo istante. La fotografia di reportage, invece, suggerisce la realtà nel suo farsi. Credo che guardando Tiziano, Raffaello e gli altri grandi maestri del Rinascimento, Tintoretto si sia chiesto come superarli e abbia cercato una propria strada. Ha ucciso la pittura perché è andato oltre i limiti della pittura stessa”.
Da Cézanne a Pollock, fino a Emilio Vedova, Tintoretto ha conquistato i grandi dell’arte moderna e contemporanea…
“Dopo secoli di oblio, dall’Impressionismo in poi Tintoretto torna alla ribalta. Il suo modo di intendere la pittura appare rivoluzionario. Figure appena accennate, quasi astratte, lo distinguono dallo stile degli altri artisti rinascimentali. Dopo averle viste, anche l’anziano Tiziano sembra spostarsi verso immagini meno dettagliate e lo stesso Michelangelo in vecchiaia si converte al ‘non finito’. Ma Tintoretto fa questa scelta fin dall’inizio e la porta ad altissimo livello: nel Cinquecento sembra essere già oltre la fotografia! Perciò molti innovatori hanno visto in lui un maestro, l’uomo che per primo ha inteso la pittura non come riproduzione della realtà, ma come una macchina capace di restituire la forza di una scena, la potenza di un evento. Come dicevo prima, nei suoi quadri il tempo si offre in un istante dilatato: in un singolo fotogramma riesce a farti vedere il prima e il dopo, rispondendo in anticipo a uno dei grandi problemi della pittura moderna. Gli audaci sperimentatori dell'Ottocento e del Novecento hanno riconosciuto in lui lo sforzo titanico di andare al di là del mezzo”.
Frame da Tintoretto. L'artista che uccise la pittura I Courtesy Koublai Film
In definitiva, perché andare al cinema a vedere il tuo film l’11, il 12 e il 13 aprile?
“Per il piacere di scoprire qualcosa che non si sa e per ammirare le opere di Tintoretto come non è e non sarà mai possibile fare dal vivo. Per restare incollati un’ora e mezza a un racconto avvincente e per meravigliarsi di fronte a immagini forti e particolari. Per vedere se abbiamo vinto la scommessa”.
Quali altri personaggi ti piacerebbe portare al cinema in futuro?
“Le idee in ballo sono davvero tante, mi guardo intorno e penso continuamente: su questo ci sarebbe da fare un documentario! Dopo Tintoretto mi piacerebbe lavorare su un altro grande veneziano, Marco Polo. Oppure su Piero della Francesca, a breve protagonista di un importante anniversario”.
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