Strategie per superare l’emergenza
Le sfide del comparto cultura. Ne parla Umberto Croppi, direttore del nuovo Osservatorio per la Campania
Giancarlo Neri, Cavallone, Golfo di Napoli, 1997 | Courtesy of Giancarlo Neri
Eleonora Zamparutti
04/06/2020
Umberto Croppi, direttore di Federculture, è stato nominato direttore dell’Osservatorio Cultura costituito dalla Regione Campania e Scabec, società in house per la valorizzazione del patrimonio culturale regionale, per delineare le nuove strategie culturali rivolte agli operatori del settore in sofferenza a causa dell’emergenza sanitaria, ma non solo.
Coordinate da un team eteronegeo formato da rappresentanti del mondo accademico e culturale - tra i quali Antonio Parlati, direttore centro di produzione Rai di Napoli, Vincenzo Loia, Rettore Università di Salerno, Lucio D’Alessandro, Rettore Università Suor Orsola Benincasa e Roberto Formato, direttore Fondazione Real Sito di Carditello - le attività sono cominciate con il censimento degli operatori del settore. L’invito è di aderire alle iniziative rispondendo al questionario entro il 15 giugno (LINK).
Qual è l’impostazione del nuovo Osservatorio della Regione Campania?
“L’Osservatorio nasce sulla scia dell’emergenza sanitaria, però ha le caratteristiche di un osservatorio vero e proprio, e quindi è destinato a durare nel tempo. Siamo partiti dal progetto di mappatura delle attività culturali nella Regione, con riguardo a quelle meno note, meno censite. Le grandi istituzioni si conoscono ed è facile acquisire i loro dati. Per quanto riguarda invece le piccole associazioni, dalle aziende di minor rilievo fino ai singoli professionisti, agli artisti, a quelli che operano a volte anche senza partita IVA, c’è una conoscenza limitata o addirittura nulla. La nostra prima azione è stata di aver pubblicato online un questionario. Ora stiamo sollecitando tutti i canali che possano diffondere la notizia a partire dagli enti locali, dai Comuni a tutte le associazioni di filiera per fare in modo di acquisire dati nel più breve tempo possibile. Nessuna Regione, tranne il Piemonte, ha intrapreso un’analoga attività. Disporre di un quadro completo delle attività culturali è necessario per immaginare azioni di sistema che possano essere utili a tutti e che distribuiscano i sostegni in maniera equanime.
Contemporaneamente stiamo raccogliendo le indicazioni che vengono dal settore per tenere aperto una sorta di sportello, in modo da raccogliere segnalazioni utili a redigere un documento di sintesi da sottoporre alle autorità politiche della Regione.
I membri dell’Osservatorio, in questa sua prima costituzione, non sono rappresentanti delle categorie ma sono a vario titolo esperti dell’accademia. Si tratta infatti di un organo di studio e di raccolta dati, non di rappresentanza. L’augurio è che venga utilizzato sia dai singoli operatori che dalle organizzazioni di categoria come interfaccia con la Regione. In un secondo tempo proporremo delle raccomandazioni in merito alla costituzione di strutture permanenti. Io immagino una sorta di albo delle attività culturali, diviso per settore che fotografi la situazione e che consenta, ogni volta che ce n’è bisogno, di andare ad agire su dei dati conosciuti. Quando si fanno dei bandi, ad esempio, spesso ci si trova nella difficoltà di avere presente i portatori di interesse per cui di volta in volta bisogna andare a individuarli. Se si costituisse un albo, un registro costantemente aggiornato, si avrebbe la possibilità di sapere a chi rivolgersi di volta in volta.”
Con che tempi a suo avviso si arriverà a redigere l’albo?
“Nel diffondere la notizia del questionario, noi abbiamo dato un termine stretto, il 15 giugno. Sappiamo che le cose prenderanno un po’ più di tempo. Io immagino che entro la fine del mese avremo a disposizione dati sufficienti - e stanno arrivando anche documenti e proposte - per poter elaborare un primo report da affidare alla Regione.”
In Piemonte è stata fatta la mappatura degli operatori in ambito culturale. Quale beneficio ha dato la disponibilità di dati e informazioni?
“Ho citato il Piemonte perché è un caso pilota. Ci sono altre regioni che si stanno variamente attrezzando come la Puglia che è molto attiva, la Toscana e altre. Alcune hanno monitoraggi settoriali. Il Piemonte si è posto un po’ all’avanguardia perché anche in occasione di questa emergenza ha avuto la possibilità di intervenire non solo con sostegni economici - che non sempre sono disponibili -, ma con iniziative di sistema, con consultazioni dirette immediate e veloci, con indicazioni di proposte.”
Come direttore di Federculture che fotografia ci dà di questo momento difficile, quali sono le strategie più efficaci da mettere in atto?
“Il momento è difficilissimo perché le aziende della cultura non sono sufficientemente omogenee per trovare soluzioni univoche. Il teatro è una cosa diversa da una biblioteca o da un museo o da un’area archeologica. Trovare un minimo comune denominatore non è facile, ciò rende difficile anche le possibilità di intervento con iniziative equanimi. Per cui noi con altri rappresentanti del settore culturale, mi riferisco a Confcultura o a Confindustria, abbiamo elaborato un quadro di proposte emergenziali. Un problema che riguarda tutti gli operatori, grandi e piccoli, è quello della liquidità di denaro per poter far fronte alle emergenze, come ad esempio pagare gli stipendi. Però questo non basta. La vera sfida in questo momento è di riuscire a trovare una collaborazione biunivoca da parte delle imprese e da parte dello Stato, degli enti locali e delle Regioni per individuare forme nuove per la gestione. Uno dei segnali più significativi è quello della sfida del digitale e dell’adozione di politiche legate alle nuove potenzialità dell’online. Un’esigenza che si è rivelata immediata ma è stata anche un importante banco di prova perché l’esperienza acquisita dovrà costituire la base per riformulare anche la proposta culturale in tutti i settori.”
Oltre che rappresentare una voce di costo, il digitale può offrire un canale addizionale come fonte di ricavi?
“In questa fase di emergenza la sperimentazione nel settore della digitalizzazione ha costituito una forma alternativa alle normali proposte, quindi ha rappresentato un costo puro. Ora che si ritornerà verso una normalità bisognerà far sì che questa parte dell’impegno diventi complementare, e non più sostitutiva, alla fruizione, e complementare anche nella capacità di produrre economie. Gli investimenti necessari non sono pochi, però rappresentano la vera apertura verso il futuro. Si stanno sviluppando anche dei modelli di business. Nel Decreto Sviluppo è previsto un investimento di 10 milioni di euro per la piattaforma digitale. Non è ancora chiaro che cosa si intenda con questa definizione. Certo 10 milioni sono pochi, ma sono un’indicazione di volontà. Una piattaforma da sola non basta: lo abbiamo visto anche in altre occasioni, bisogna creare un sistema di relazioni. Non a caso tutto quello che è nato nell’ambito di Internet è definito come ‘modello di rete’. C’è bisogno di costruire più che un unico sito Internet, una rete di iniziative complementari che rendano il patrimonio culturale ma anche la produzione culturale fruibile.”
E’ questo il budget per la costituzione della ‘Netflix dell’arte’? Che significa?
“Questa è la formula che è stata utilizzata dal Ministro Franceschini. Io ritengo che più che pensare a una Netflix, cioè a una struttura di broadcasting così importante, 10 milioni di euro possano servire a sviluppare il progetto. Più che per una piattaforma, se fossero investiti per accompagnare le aziende della cultura a studiare e a programmare un’attività forse sarebbero più produttivi.”
Coordinate da un team eteronegeo formato da rappresentanti del mondo accademico e culturale - tra i quali Antonio Parlati, direttore centro di produzione Rai di Napoli, Vincenzo Loia, Rettore Università di Salerno, Lucio D’Alessandro, Rettore Università Suor Orsola Benincasa e Roberto Formato, direttore Fondazione Real Sito di Carditello - le attività sono cominciate con il censimento degli operatori del settore. L’invito è di aderire alle iniziative rispondendo al questionario entro il 15 giugno (LINK).
Qual è l’impostazione del nuovo Osservatorio della Regione Campania?
“L’Osservatorio nasce sulla scia dell’emergenza sanitaria, però ha le caratteristiche di un osservatorio vero e proprio, e quindi è destinato a durare nel tempo. Siamo partiti dal progetto di mappatura delle attività culturali nella Regione, con riguardo a quelle meno note, meno censite. Le grandi istituzioni si conoscono ed è facile acquisire i loro dati. Per quanto riguarda invece le piccole associazioni, dalle aziende di minor rilievo fino ai singoli professionisti, agli artisti, a quelli che operano a volte anche senza partita IVA, c’è una conoscenza limitata o addirittura nulla. La nostra prima azione è stata di aver pubblicato online un questionario. Ora stiamo sollecitando tutti i canali che possano diffondere la notizia a partire dagli enti locali, dai Comuni a tutte le associazioni di filiera per fare in modo di acquisire dati nel più breve tempo possibile. Nessuna Regione, tranne il Piemonte, ha intrapreso un’analoga attività. Disporre di un quadro completo delle attività culturali è necessario per immaginare azioni di sistema che possano essere utili a tutti e che distribuiscano i sostegni in maniera equanime.
Contemporaneamente stiamo raccogliendo le indicazioni che vengono dal settore per tenere aperto una sorta di sportello, in modo da raccogliere segnalazioni utili a redigere un documento di sintesi da sottoporre alle autorità politiche della Regione.
I membri dell’Osservatorio, in questa sua prima costituzione, non sono rappresentanti delle categorie ma sono a vario titolo esperti dell’accademia. Si tratta infatti di un organo di studio e di raccolta dati, non di rappresentanza. L’augurio è che venga utilizzato sia dai singoli operatori che dalle organizzazioni di categoria come interfaccia con la Regione. In un secondo tempo proporremo delle raccomandazioni in merito alla costituzione di strutture permanenti. Io immagino una sorta di albo delle attività culturali, diviso per settore che fotografi la situazione e che consenta, ogni volta che ce n’è bisogno, di andare ad agire su dei dati conosciuti. Quando si fanno dei bandi, ad esempio, spesso ci si trova nella difficoltà di avere presente i portatori di interesse per cui di volta in volta bisogna andare a individuarli. Se si costituisse un albo, un registro costantemente aggiornato, si avrebbe la possibilità di sapere a chi rivolgersi di volta in volta.”
Con che tempi a suo avviso si arriverà a redigere l’albo?
“Nel diffondere la notizia del questionario, noi abbiamo dato un termine stretto, il 15 giugno. Sappiamo che le cose prenderanno un po’ più di tempo. Io immagino che entro la fine del mese avremo a disposizione dati sufficienti - e stanno arrivando anche documenti e proposte - per poter elaborare un primo report da affidare alla Regione.”
In Piemonte è stata fatta la mappatura degli operatori in ambito culturale. Quale beneficio ha dato la disponibilità di dati e informazioni?
“Ho citato il Piemonte perché è un caso pilota. Ci sono altre regioni che si stanno variamente attrezzando come la Puglia che è molto attiva, la Toscana e altre. Alcune hanno monitoraggi settoriali. Il Piemonte si è posto un po’ all’avanguardia perché anche in occasione di questa emergenza ha avuto la possibilità di intervenire non solo con sostegni economici - che non sempre sono disponibili -, ma con iniziative di sistema, con consultazioni dirette immediate e veloci, con indicazioni di proposte.”
Come direttore di Federculture che fotografia ci dà di questo momento difficile, quali sono le strategie più efficaci da mettere in atto?
“Il momento è difficilissimo perché le aziende della cultura non sono sufficientemente omogenee per trovare soluzioni univoche. Il teatro è una cosa diversa da una biblioteca o da un museo o da un’area archeologica. Trovare un minimo comune denominatore non è facile, ciò rende difficile anche le possibilità di intervento con iniziative equanimi. Per cui noi con altri rappresentanti del settore culturale, mi riferisco a Confcultura o a Confindustria, abbiamo elaborato un quadro di proposte emergenziali. Un problema che riguarda tutti gli operatori, grandi e piccoli, è quello della liquidità di denaro per poter far fronte alle emergenze, come ad esempio pagare gli stipendi. Però questo non basta. La vera sfida in questo momento è di riuscire a trovare una collaborazione biunivoca da parte delle imprese e da parte dello Stato, degli enti locali e delle Regioni per individuare forme nuove per la gestione. Uno dei segnali più significativi è quello della sfida del digitale e dell’adozione di politiche legate alle nuove potenzialità dell’online. Un’esigenza che si è rivelata immediata ma è stata anche un importante banco di prova perché l’esperienza acquisita dovrà costituire la base per riformulare anche la proposta culturale in tutti i settori.”
Oltre che rappresentare una voce di costo, il digitale può offrire un canale addizionale come fonte di ricavi?
“In questa fase di emergenza la sperimentazione nel settore della digitalizzazione ha costituito una forma alternativa alle normali proposte, quindi ha rappresentato un costo puro. Ora che si ritornerà verso una normalità bisognerà far sì che questa parte dell’impegno diventi complementare, e non più sostitutiva, alla fruizione, e complementare anche nella capacità di produrre economie. Gli investimenti necessari non sono pochi, però rappresentano la vera apertura verso il futuro. Si stanno sviluppando anche dei modelli di business. Nel Decreto Sviluppo è previsto un investimento di 10 milioni di euro per la piattaforma digitale. Non è ancora chiaro che cosa si intenda con questa definizione. Certo 10 milioni sono pochi, ma sono un’indicazione di volontà. Una piattaforma da sola non basta: lo abbiamo visto anche in altre occasioni, bisogna creare un sistema di relazioni. Non a caso tutto quello che è nato nell’ambito di Internet è definito come ‘modello di rete’. C’è bisogno di costruire più che un unico sito Internet, una rete di iniziative complementari che rendano il patrimonio culturale ma anche la produzione culturale fruibile.”
E’ questo il budget per la costituzione della ‘Netflix dell’arte’? Che significa?
“Questa è la formula che è stata utilizzata dal Ministro Franceschini. Io ritengo che più che pensare a una Netflix, cioè a una struttura di broadcasting così importante, 10 milioni di euro possano servire a sviluppare il progetto. Più che per una piattaforma, se fossero investiti per accompagnare le aziende della cultura a studiare e a programmare un’attività forse sarebbero più produttivi.”
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