Dal 28 maggio al 2 ottobre a Palazzo Attems Petzenstein
Riflessi. Autoritratti nello specchio della storia in mostra a Gorizia
Leonor Fini, Autoritratto, 1968, Olio su tela, Trieste, Civico Museo Revoltella – Galleria d’Arte Moderna
Samantha De Martin
18/05/2022
Gorizia - C’ è l’Autoritratto di Francisco Goya del Belvedere di Vienna, lo sguardo espressivo all’ombra del suo cilindro “borghese”, e c’è quello di Federico Barocci, il volto in primissimo piano e gli occhi fissi sull’interlocutore.
E poi un dipinto di forte impatto di Elke Krystufek, in cui l’artista viennese si ritrae nuda mentre si osserva allo specchio scattando una foto con il cellulare.
Nonostante la loro attitudine a interpretare talvolta ruoli “teatrali”, dal pellegrino al calzolaio, fino al clown, giocando progressivamente nel Novecento sull’ambiguità, gli artisti attraverso i loro autoritratti hanno sempre rivelato qualcosa di sé.
E ben lo sanno quei maestri che hanno saputo guardare alle opere dei loro colleghi mettendo in luce la forza di modelli iconografici riproposti nei secoli, ma anche le profonde trasformazioni che si celano a volte dietro anche piccole varianti.
Dal 28 maggio al 2 ottobre Palazzo Attems Petzenstein, sede della Pinacoteca dei Musei Provinciali di Gorizia, ospita la mostra Riflessi. Autoritratti nello specchio della storia, un progetto a cura di Johannes Ramharter e Raffaella Sgubin con la collaborazione di Lorenzo Michelli e Vanja Strukelj, scandito da una settantina di opere, provenienti per la maggior parte da prestigiose istituzioni austriache. Filo conduttore, il ritratto e l’autoritratto nella pittura, dalla metà del Cinquecento a oggi.
Francisco José de Goya y Lucientes, Autoritratto, s.d., Olio su tela, Vienna, Belvedere © Belvedere, Vienna
Il percorso rientra nel più ampio progetto espositivo focalizzato sul tema dell'autoritratto e del ritratto d'artista promosso e sviluppato da ERPAC – Ente regionale patrimonio Culturale sul territorio del Friuli Venezia Giulia, presso il Magazzino delle Idee di Trieste (con la mostra fotografica Io, lei, l’altra. Ritratti e autoritratti fotografici di donne artiste), alla Galleria Regionale d’arte contemporanea Luigi Spazzapan di Gradisca d’Isonzo, e, da giugno, al Museo Revoltella di Trieste, che accoglierà la mostra Attraverso il volto, una selezione della prestigiosa collezione di autoritratti del museo.
Le quattro mostre vogliono interrogare gli artisti cercando di dare voce alle loro ambizioni, alle illusioni, ma anche alle tragiche sconfitte, guardando l’“Artista” con gli occhi di altri “artisti”, cogliendone l’immagine nella sua dimensione “mitica”, attraverso la sua proiezione in ritratti e autoritratti.
I lavori al centro della mostra Riflessi. Autoritratti nello specchio della storia, arrivati a Gorizia per la maggior parte da prestigiosi musei austriaci come il Belvedere di Vienna, tracciano un percorso in otto sezioni che copre un arco cronologico che si allunga dalla metà del Cinquecento al contemporaneo.
Ferdinand Georg Waldmüller, Autoritratto giovanile, 1828, Olio su tela, Vienna, Belvedere © Belvedere, Vienna
Le prime stanze della mostra inquadrano il tema dell’autoritratto in diversi contesti storico culturali, segnalando al visitatore il forte legame tra il ritratto d’artista e il dibattito teorico sulle arti, la storiografia, il collezionismo, l’istituzione accademica. Questo processo vede l’artista progressivamente emanciparsi dal ruolo di artigiano per affermarsi come gentiluomo, intellettuale, uomo di corte.
La mostra non trascura l’atelier, lo studio, lo spazio del lavoro, teatro di una messa in scena in cui si mettono in gioco di volta in volta il prestigio dell’arte, il rapporto con la committenza o il nuovo pubblico borghese, ma anche la concezione stessa della pittura e della scultura.
La sezione dedicata all’Osservatore porta il visitatore nel vivo del “dispositivo” dell’autoritratto, dove il gioco degli sguardi diventa centrale. Lo sguardo del pittore allo specchio, mentre osserva lo spettatore o corre altrove, incrocia quello del pubblico in un complesso e ambiguo meccanismo che pone al centro la stessa questione della “visione”. Ne è un esempio l’autoritratto di Federico Barocci, con il volto in primissimo piano e lo sguardo fisso sull’interlocutore.
Fulcro del percorso è tuttavia la sezione dedicata all’Autoritratto come autorappresentazione, che abbraccia capolavori come l’Autoritratto di Goya del Belvedere, in cui il pittore spagnolo si ritrae con il cilindro “borghese” e una caratterizzazione espressiva che rifugge ogni idealizzazione. Se le tele di Franz Anton Maulbertsch e Carl Peter Goebel il Vecchio incorniciano una rappresentazione ancora legata al modello del “gentiluomo di corte”, l’Autoritratto (1828) di Ferdinand Georg Waldmüller dialoga perfettamente con l’Autoritratto con il fratello Francesco di Giuseppe Tominz, una delle opere più significative conservate nella Pinacoteca dei Musei Provinciali di Gorizia.
Angelika Kaufmann, Autoritratto, 1781, Olio su tela, Innsbruck, Tiroler Landesmuseum Ferdinandeum
La mostra è anche il pretesto per evidenziare gli stretti legami della cultura visiva del territorio del Friuli Venezia Giulia con gli esiti della ricerca austriaca e viennese, frutto di relazioni e scambi che si intensificano nei primi decenni del Novecento, andando oltre la caduta dell’impero austro-ungarico. Ne è un esempio la formazione viennese di Vito Timmel, in mostra con un autoritratto del 1910 in prestito dal Museo Revoltella di Trieste, il cui pennello inquieto trova significative connessioni con quello di Richard Gerstl, autore dell’intenso Autoritratto (1906-7).
La crisi profonda che investe l’individuo e il ruolo stesso dell’artista nel Novecento si insinua anche in questo genere pittorico come dimostrano le tele di Kolo Moser e Max Oppenheimer che espongono il corpo, ieratico o sofferente, riprendendo a modello Dürer e influenzando l’opera di Arturo Nathan.
I maestri triestini attivi nei primi decenni del secolo, fortemente influenzati dalla psicanalisi, guardano alla cultura viennese fino a tutti gli anni Trenta. In questo clima diventa centrale il tema del travestimento, come provano le Maschere (1930) dove Cesare Sofianopulo interpreta la scomposizione caleidoscopica dell’identità quasi come un manifesto. In questa sezione emerge l’attitudine degli artisti a interpretare ruoli “teatrali” differenti, dal pellegrino al calzolaio, giocando progressivamente nel Novecento sull’ambiguità. Regina indiscussa di questo continuo gioco del travestimento è Leonor Fini, al centro del dipinto del 1968, dove sembra intessere un provocatorio dialogo con la foto di Andy Warhol scattata da Cristopher Makos.
Josef Maria Auchentaller, Autoritratto, 1931, Gessi su cartone avana, Collezione privata
La sala dedicata al pittore sloveno Anton Zoran Mušič, con gli autoritratti dell’artista accanto a quelli del suocero Guido Cadorin e della moglie Ida Barbarigo, stimola nel pubblico una riflessione sulla ricchezza di questi interscambi, proiettandolo nel progetto futuro di Gorizia/Nova Gorica 2025.
I curatori affidano la conclusione del percorso a Imperial Elke (1999), un dipinto di forte impatto di Elke Krystufek, in cui l’artista viennese si ritrae senza veli mentre si scruta allo specchio scattando una foto con il cellulare.
Il racconto presentato nella mostra, sviluppato nel progetto di ERPAC sulle tre sedi espositive, ambisce a sollecitare nel visitatore interrogativi, mettere in guardia dalle insidie degli stereotipi, in un continuo rapporto tra passato e presente, tra storia e contemporaneità. È proprio lo stesso “dispositivo” dell’autoritratto, nel suo gioco di specchi e di sguardi, a costringere lo spettatore a spingersi oltre la superficie dell’immagine e a coglierne la stratificata complessità.
La mostra si potrà visitare da martedì a domenica dalle 10 alle 18.
Leggi anche:
• Artistia + artista. Visioni contemporanee
• Io, lei, l'altra. Ritratti fotografici di donne artiste
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E ben lo sanno quei maestri che hanno saputo guardare alle opere dei loro colleghi mettendo in luce la forza di modelli iconografici riproposti nei secoli, ma anche le profonde trasformazioni che si celano a volte dietro anche piccole varianti.
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Le quattro mostre vogliono interrogare gli artisti cercando di dare voce alle loro ambizioni, alle illusioni, ma anche alle tragiche sconfitte, guardando l’“Artista” con gli occhi di altri “artisti”, cogliendone l’immagine nella sua dimensione “mitica”, attraverso la sua proiezione in ritratti e autoritratti.
I lavori al centro della mostra Riflessi. Autoritratti nello specchio della storia, arrivati a Gorizia per la maggior parte da prestigiosi musei austriaci come il Belvedere di Vienna, tracciano un percorso in otto sezioni che copre un arco cronologico che si allunga dalla metà del Cinquecento al contemporaneo.
Ferdinand Georg Waldmüller, Autoritratto giovanile, 1828, Olio su tela, Vienna, Belvedere © Belvedere, Vienna
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La mostra non trascura l’atelier, lo studio, lo spazio del lavoro, teatro di una messa in scena in cui si mettono in gioco di volta in volta il prestigio dell’arte, il rapporto con la committenza o il nuovo pubblico borghese, ma anche la concezione stessa della pittura e della scultura.
La sezione dedicata all’Osservatore porta il visitatore nel vivo del “dispositivo” dell’autoritratto, dove il gioco degli sguardi diventa centrale. Lo sguardo del pittore allo specchio, mentre osserva lo spettatore o corre altrove, incrocia quello del pubblico in un complesso e ambiguo meccanismo che pone al centro la stessa questione della “visione”. Ne è un esempio l’autoritratto di Federico Barocci, con il volto in primissimo piano e lo sguardo fisso sull’interlocutore.
Fulcro del percorso è tuttavia la sezione dedicata all’Autoritratto come autorappresentazione, che abbraccia capolavori come l’Autoritratto di Goya del Belvedere, in cui il pittore spagnolo si ritrae con il cilindro “borghese” e una caratterizzazione espressiva che rifugge ogni idealizzazione. Se le tele di Franz Anton Maulbertsch e Carl Peter Goebel il Vecchio incorniciano una rappresentazione ancora legata al modello del “gentiluomo di corte”, l’Autoritratto (1828) di Ferdinand Georg Waldmüller dialoga perfettamente con l’Autoritratto con il fratello Francesco di Giuseppe Tominz, una delle opere più significative conservate nella Pinacoteca dei Musei Provinciali di Gorizia.
Angelika Kaufmann, Autoritratto, 1781, Olio su tela, Innsbruck, Tiroler Landesmuseum Ferdinandeum
La mostra è anche il pretesto per evidenziare gli stretti legami della cultura visiva del territorio del Friuli Venezia Giulia con gli esiti della ricerca austriaca e viennese, frutto di relazioni e scambi che si intensificano nei primi decenni del Novecento, andando oltre la caduta dell’impero austro-ungarico. Ne è un esempio la formazione viennese di Vito Timmel, in mostra con un autoritratto del 1910 in prestito dal Museo Revoltella di Trieste, il cui pennello inquieto trova significative connessioni con quello di Richard Gerstl, autore dell’intenso Autoritratto (1906-7).
La crisi profonda che investe l’individuo e il ruolo stesso dell’artista nel Novecento si insinua anche in questo genere pittorico come dimostrano le tele di Kolo Moser e Max Oppenheimer che espongono il corpo, ieratico o sofferente, riprendendo a modello Dürer e influenzando l’opera di Arturo Nathan.
I maestri triestini attivi nei primi decenni del secolo, fortemente influenzati dalla psicanalisi, guardano alla cultura viennese fino a tutti gli anni Trenta. In questo clima diventa centrale il tema del travestimento, come provano le Maschere (1930) dove Cesare Sofianopulo interpreta la scomposizione caleidoscopica dell’identità quasi come un manifesto. In questa sezione emerge l’attitudine degli artisti a interpretare ruoli “teatrali” differenti, dal pellegrino al calzolaio, giocando progressivamente nel Novecento sull’ambiguità. Regina indiscussa di questo continuo gioco del travestimento è Leonor Fini, al centro del dipinto del 1968, dove sembra intessere un provocatorio dialogo con la foto di Andy Warhol scattata da Cristopher Makos.
Josef Maria Auchentaller, Autoritratto, 1931, Gessi su cartone avana, Collezione privata
La sala dedicata al pittore sloveno Anton Zoran Mušič, con gli autoritratti dell’artista accanto a quelli del suocero Guido Cadorin e della moglie Ida Barbarigo, stimola nel pubblico una riflessione sulla ricchezza di questi interscambi, proiettandolo nel progetto futuro di Gorizia/Nova Gorica 2025.
I curatori affidano la conclusione del percorso a Imperial Elke (1999), un dipinto di forte impatto di Elke Krystufek, in cui l’artista viennese si ritrae senza veli mentre si scruta allo specchio scattando una foto con il cellulare.
Il racconto presentato nella mostra, sviluppato nel progetto di ERPAC sulle tre sedi espositive, ambisce a sollecitare nel visitatore interrogativi, mettere in guardia dalle insidie degli stereotipi, in un continuo rapporto tra passato e presente, tra storia e contemporaneità. È proprio lo stesso “dispositivo” dell’autoritratto, nel suo gioco di specchi e di sguardi, a costringere lo spettatore a spingersi oltre la superficie dell’immagine e a coglierne la stratificata complessità.
La mostra si potrà visitare da martedì a domenica dalle 10 alle 18.
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