Dal 16 novembre al 16 febbraio
La favola di Atalanta. Guido Reni in mostra a Bologna
Guido Reni, Atalanta e Ippomene,1615-18 circa, Olio su tela, 297 x 206 cm, Madrid, Museo Nacional del Prado | Foto: © Museo Nacional del Prado, Madrid
Francesca Grego
15/11/2024
Bologna - Dopo le grandi mostre dedicate a Guido Reni in ambito europeo - dal Prado di Madrid alla Galleria Borghese di Roma, fino allo Städel Museum di Francoforte - il maestro seicentesco torna a casa nella sua Bologna per un ambizioso progetto che intreccia pittura e poesia. Dal 16 novembre al 16 febbraio La favola di Atalanta. Guido Reni e i poeti riunisce presso la Pinacoteca Nazionale di Bologna oltre trenta opere per mostrarci l’arte del maestro seicentesco sotto una nuova luce, illuminarne il contesto di produzione e raccontare al pubblico le acquisizioni degli studi più recenti. Nel percorso a cura di Giulia Iseppi, Raffaella Morselli e Maria Luisa Pacelli, in dialogo con i capolavori di Reni troviamo i dipinti di alcuni suoi celebri contemporanei, dai Carracci a Lavinia Fontana e Artemisia Gentileschi. Cuore dell’itinerario, le due tele di Atalanta e Ippomene realizzate dal pittore bolognese, in prestito dal Museo di Capodimonte e dal Prado.
Ma la favola di Atalanta non è soltanto una sfilata di bei dipinti: alla base c’è il racconto della cultura bolognese tra la fine del Cinquecento e l’inizio del Seicento, quando la città, seconda solo a Roma nello Stato Pontificio, è un fervido laboratorio di scienza, arte, letteratura, le cui strade si intrecciano senza soluzione di continuità. Particolarmente vivace e fecondo è lo scambio tra pittori e poeti: questi ultimi non solo celebrano la bellezza dei quadri in versi di successo, ma sono amici, collezionisti, committenti, intermediari e promoter degli artisti. Il caso di Guido Reni è straordinario: a partire dal componimento dedicato da Giovan Battista Marino alla Strage degli Innocenti - una pala d’altare da cappella che in breve tempo si trasformerà in un’icona di poesia profana! - la quantità di versi e raccolte dedicate a Reni farà di lui uno degli artisti più acclamati mentre è ancora in vita.
Spesso sono proprio i poeti, ben introdotti negli ambienti della cultura romana grazie alla rete delle accademie, a portare la fama dei pittori bolognesi nella Città Eterna. Succede anche a una pittrice, Lavinia Fontana: i poeti felsinei ne celebrano il talento con ammirazione, costruendo l’immagine di un’artista indipendente che lavora per il pontefice e per le corti europee. La mostra getta nuova luce sul suo dipinto Giuditta con la testa di Oloferne e dispensa storie sulle tele amate e collezionate dai letterati, ma presenta anche l’altra faccia della medaglia: quello dei poeti che non si accontentano di farsi ritrarre dagli amici pittori o di lodarne i quadri, ma decidono di imbracciare a loro volta il pennello.
Tra le cinque sezioni della mostra spicca quella dedicata al capolavoro di Reni Atalanta e Ippomene, tratto non a caso da un’opera di poesia, le Metamorfosi di Ovidio. Grazie a un’eccezionale invenzione pittorica, Reni rese celebre un mito fino ad allora poco rappresentato in pittura: quello della principessa restia al matrimonio che sfida i pretendenti a superarla nella corsa in cui, da abile cacciatrice, si professa invincibile. Ippomene riuscirà a prevalere con l’aiuto di Afrodite, che gli fornisce pomi d’oro cresciuti nel Giardino delle Esperidi. Nel momento culminante dell’azione Atalanta si china a raccogliere i frutti lasciati cadere da Ippomene e viene superata dal giovane: un attimo congelato per sempre da Reni attraverso l’incrocio a chiasmo delle gambe nel punto centrale della tela. Le due figure emergono potentemente in primo piano dal paesaggio notturno, con i corpi diafani e perfetti, modellati sullo studio del rilievo antico a Roma.
Di questo gioiello sono note da tempo due versioni: una è registrata per la prima volta solo nel 1802, acquistata sul mercato per la collezione di re Ferdinando IV di Borbone e oggi conservata al Museo Reale di Capodimonte. La seconda, proveniente dalla collezione del marchese genovese Giovan Francesco Serra di Cassano, confluì nelle collezioni reali di Spagna ed è custodita a Madrid presso il Museo Nacional del Prado. Per tre mesi a Bologna sarà possibile ammirarle entrambe, insieme ad altre versioni ancora discusse dalla critica: una vera e propria serie eseguita per committenti illustri e probabilmente legati tra loro da un vincolo accademico, come rivela la citazione del mito nell’Adone di Marino, che sembra scritto guardando proprio uno di questi dipinti.
“Con questa mostra prosegue il lavoro di ricerca e valorizzazione della Pinacoteca sul proprio patrimonio, iniziato con l’esposizione su Canova e le origini del museo, proseguito con l’esposizione sul Rinascimento bolognese e con quella su Guercino e il suo atelier”, commenta Maria Luisa Pacelli, co-curatrice della mostra e direttrice della Pinacoteca Nazionale di Bologna fino allo scorso 31 ottobre: “Anche in questo caso lo sviluppo del progetto espositivo è stato l’occasione per una riflessione sul percorso del museo dedicato alle opere di Guido e a quelle dei suoi contemporanei, tanto che dopo l’evento è in programma il riallestimento di questa sezione della Pinacoteca. Al di là degli obiettivi di prospettiva, dopo le rassegne recentemente dedicate a Guido Reni da grandi musei italiani ed esteri, l’importanza di questa mostra sta nel ripercorrere e aggiornare un tema cruciale per comprendere il pittore e la sua fama e, più in generale, per fare luce sulle dinamiche che concorsero alla grande stagione artistica bolognese tra la fine del Cinque e l’inizio del Seicento”.
Ma la favola di Atalanta non è soltanto una sfilata di bei dipinti: alla base c’è il racconto della cultura bolognese tra la fine del Cinquecento e l’inizio del Seicento, quando la città, seconda solo a Roma nello Stato Pontificio, è un fervido laboratorio di scienza, arte, letteratura, le cui strade si intrecciano senza soluzione di continuità. Particolarmente vivace e fecondo è lo scambio tra pittori e poeti: questi ultimi non solo celebrano la bellezza dei quadri in versi di successo, ma sono amici, collezionisti, committenti, intermediari e promoter degli artisti. Il caso di Guido Reni è straordinario: a partire dal componimento dedicato da Giovan Battista Marino alla Strage degli Innocenti - una pala d’altare da cappella che in breve tempo si trasformerà in un’icona di poesia profana! - la quantità di versi e raccolte dedicate a Reni farà di lui uno degli artisti più acclamati mentre è ancora in vita.
Spesso sono proprio i poeti, ben introdotti negli ambienti della cultura romana grazie alla rete delle accademie, a portare la fama dei pittori bolognesi nella Città Eterna. Succede anche a una pittrice, Lavinia Fontana: i poeti felsinei ne celebrano il talento con ammirazione, costruendo l’immagine di un’artista indipendente che lavora per il pontefice e per le corti europee. La mostra getta nuova luce sul suo dipinto Giuditta con la testa di Oloferne e dispensa storie sulle tele amate e collezionate dai letterati, ma presenta anche l’altra faccia della medaglia: quello dei poeti che non si accontentano di farsi ritrarre dagli amici pittori o di lodarne i quadri, ma decidono di imbracciare a loro volta il pennello.
Tra le cinque sezioni della mostra spicca quella dedicata al capolavoro di Reni Atalanta e Ippomene, tratto non a caso da un’opera di poesia, le Metamorfosi di Ovidio. Grazie a un’eccezionale invenzione pittorica, Reni rese celebre un mito fino ad allora poco rappresentato in pittura: quello della principessa restia al matrimonio che sfida i pretendenti a superarla nella corsa in cui, da abile cacciatrice, si professa invincibile. Ippomene riuscirà a prevalere con l’aiuto di Afrodite, che gli fornisce pomi d’oro cresciuti nel Giardino delle Esperidi. Nel momento culminante dell’azione Atalanta si china a raccogliere i frutti lasciati cadere da Ippomene e viene superata dal giovane: un attimo congelato per sempre da Reni attraverso l’incrocio a chiasmo delle gambe nel punto centrale della tela. Le due figure emergono potentemente in primo piano dal paesaggio notturno, con i corpi diafani e perfetti, modellati sullo studio del rilievo antico a Roma.
Di questo gioiello sono note da tempo due versioni: una è registrata per la prima volta solo nel 1802, acquistata sul mercato per la collezione di re Ferdinando IV di Borbone e oggi conservata al Museo Reale di Capodimonte. La seconda, proveniente dalla collezione del marchese genovese Giovan Francesco Serra di Cassano, confluì nelle collezioni reali di Spagna ed è custodita a Madrid presso il Museo Nacional del Prado. Per tre mesi a Bologna sarà possibile ammirarle entrambe, insieme ad altre versioni ancora discusse dalla critica: una vera e propria serie eseguita per committenti illustri e probabilmente legati tra loro da un vincolo accademico, come rivela la citazione del mito nell’Adone di Marino, che sembra scritto guardando proprio uno di questi dipinti.
“Con questa mostra prosegue il lavoro di ricerca e valorizzazione della Pinacoteca sul proprio patrimonio, iniziato con l’esposizione su Canova e le origini del museo, proseguito con l’esposizione sul Rinascimento bolognese e con quella su Guercino e il suo atelier”, commenta Maria Luisa Pacelli, co-curatrice della mostra e direttrice della Pinacoteca Nazionale di Bologna fino allo scorso 31 ottobre: “Anche in questo caso lo sviluppo del progetto espositivo è stato l’occasione per una riflessione sul percorso del museo dedicato alle opere di Guido e a quelle dei suoi contemporanei, tanto che dopo l’evento è in programma il riallestimento di questa sezione della Pinacoteca. Al di là degli obiettivi di prospettiva, dopo le rassegne recentemente dedicate a Guido Reni da grandi musei italiani ed esteri, l’importanza di questa mostra sta nel ripercorrere e aggiornare un tema cruciale per comprendere il pittore e la sua fama e, più in generale, per fare luce sulle dinamiche che concorsero alla grande stagione artistica bolognese tra la fine del Cinque e l’inizio del Seicento”.
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