Ratto di Proserpina
Flaminio, Parioli, Villa Borghese
- Artista: Gian Lorenzo Bernini
- Dove: Ratto di Proserpina
- Realizzazione: 1621 - 1622
Il Ratto di Proserpina è un gruppo scultoreo di Gian Lorenzo Bernini esposto nella Galleria Borghese di Roma. Fu commissionato da Scipione Borghese ed eseguito tra il 1621 e il 1622: per l’occasione Maffeo Barberini, il futuro Papa Urbano VIII, che si dilettava di poesia compose un distico dedicato al gruppo.
Fu donato al cardinale Ludovico Ludovisi nipote del papa Gregorio XV e tornò nella Galleria Borghese all’inizio del secolo scorso. Il soggetto è tratto dalle Metamorfosi di Ovidio e legato al tema del ciclo delle stagioni. Proserpina figlia di Giove e Cerere, dea della fertilità fu notata da Plutone, Re degl’inferi, che invaghito la rapì mentre ella raccoglieva fiori, secondo il mito, al lago di Pergusa presso Enna. Cerere per il dolore abbandona i campi, causando la carestia, mentre Giove interviene trovando un accordo con la mediazione di Mercurio; Proserpina avrebbe trascorso nove mesi con la madre favorendo l’abbondanza dei raccolti, per i restanti mesi dell’anno, quelli invernali, sarebbe rimasta con Plutone all’inferno. In ambito cristiano il mito rappresentava il ritorno dell’anima umana dal mondo dei morti alla speranza della vita e la possibilità di redenzione dal peccato e per questo fu rappresentato nelle porte bronzee di San Pietro dallo scultore quattrocentesco Filarete.
Plutone è riconoscibile dai suoi attributi regali, la corona e lo scettro, mentre dietro di lui Cerbero figura mostruosa controlla che nessuno ostacoli il percorso del suo padrone girando le tre teste in tutte le direzioni. L’intento di Bernini è quello di bloccare l’azione al culmine del suo svolgimento, per rendere attraverso l’espressività corporea dei personaggi il loro carattere e il dramma che vivono.
La composizione del gruppo segue delle direttrici dinamiche sottolineate dai movimenti degli arti e delle teste, accentuato da quello dei capelli e del drappo che scopre il corpo giovanile e sensuale della Ninfa sul cui volto rivolto all’indietro è visibile una lacrima. Il corpo di Plutone è invece possente e muscolare la sua virilità e accentuata dal complicatissimo brano della barba e dei capelli, le ciocche creano delle pieghe profonde in cui è riconoscibile un abbondante uso del trapano.
Bernini si compiace di offrire agli spettatori brani di scultura virtuosistica e particolari che rendono figure reali i personaggi mitici, ma quello che da il senso dell’artificiosità della scena è la natura del movimento. l’atteggiamento dei due è piuttosto improbabile, sembrano quasi danzare, con uno spiccato senso teatrale l’artista offre una “rappresentazione” del Mito, oltre ad un andamento a spirale di gusto ancora manierista. Proserpina lotta inutilmente per sottrarsi alla morsa spingendo la sua mano sul volto di Plutone, il quale affonda letteralmente le mani sulla coscia e sul fianco della donna con un effetto virtuosistico eccezionale: il marmo dà la sensazione della morbidezza della carne.
L’opera ha un punto di vista privilegiato, quello frontale, che rende riconoscibili i personaggi e comprensibile la scena, ma è anche perfettamente rifinita in tutte le sue parti, piena di particolari anche minimi, che invitano l’osservatore ad un esame più approfondito.
Fu donato al cardinale Ludovico Ludovisi nipote del papa Gregorio XV e tornò nella Galleria Borghese all’inizio del secolo scorso. Il soggetto è tratto dalle Metamorfosi di Ovidio e legato al tema del ciclo delle stagioni. Proserpina figlia di Giove e Cerere, dea della fertilità fu notata da Plutone, Re degl’inferi, che invaghito la rapì mentre ella raccoglieva fiori, secondo il mito, al lago di Pergusa presso Enna. Cerere per il dolore abbandona i campi, causando la carestia, mentre Giove interviene trovando un accordo con la mediazione di Mercurio; Proserpina avrebbe trascorso nove mesi con la madre favorendo l’abbondanza dei raccolti, per i restanti mesi dell’anno, quelli invernali, sarebbe rimasta con Plutone all’inferno. In ambito cristiano il mito rappresentava il ritorno dell’anima umana dal mondo dei morti alla speranza della vita e la possibilità di redenzione dal peccato e per questo fu rappresentato nelle porte bronzee di San Pietro dallo scultore quattrocentesco Filarete.
Plutone è riconoscibile dai suoi attributi regali, la corona e lo scettro, mentre dietro di lui Cerbero figura mostruosa controlla che nessuno ostacoli il percorso del suo padrone girando le tre teste in tutte le direzioni. L’intento di Bernini è quello di bloccare l’azione al culmine del suo svolgimento, per rendere attraverso l’espressività corporea dei personaggi il loro carattere e il dramma che vivono.
La composizione del gruppo segue delle direttrici dinamiche sottolineate dai movimenti degli arti e delle teste, accentuato da quello dei capelli e del drappo che scopre il corpo giovanile e sensuale della Ninfa sul cui volto rivolto all’indietro è visibile una lacrima. Il corpo di Plutone è invece possente e muscolare la sua virilità e accentuata dal complicatissimo brano della barba e dei capelli, le ciocche creano delle pieghe profonde in cui è riconoscibile un abbondante uso del trapano.
Bernini si compiace di offrire agli spettatori brani di scultura virtuosistica e particolari che rendono figure reali i personaggi mitici, ma quello che da il senso dell’artificiosità della scena è la natura del movimento. l’atteggiamento dei due è piuttosto improbabile, sembrano quasi danzare, con uno spiccato senso teatrale l’artista offre una “rappresentazione” del Mito, oltre ad un andamento a spirale di gusto ancora manierista. Proserpina lotta inutilmente per sottrarsi alla morsa spingendo la sua mano sul volto di Plutone, il quale affonda letteralmente le mani sulla coscia e sul fianco della donna con un effetto virtuosistico eccezionale: il marmo dà la sensazione della morbidezza della carne.
L’opera ha un punto di vista privilegiato, quello frontale, che rende riconoscibili i personaggi e comprensibile la scena, ma è anche perfettamente rifinita in tutte le sue parti, piena di particolari anche minimi, che invitano l’osservatore ad un esame più approfondito.