Marzia Migliora. Velme
Dal 13 Maggio 2017 al 26 Novembre 2017
Venezia
Luogo: Ca’ Rezzonico - Museo del Settecento Veneziano
Indirizzo: Dorsoduro 3136
Orari: 10 - 18 (fino al 31 ottobre) | 10 - 17 (dal 1 novembre) | La biglietteria chiude un’ora prima | Martedì chiuso
Curatori: Beatrice Merz
Enti promotori:
- MUVE
- Città di Venezia
Costo del biglietto: Intero 10 € | Ridotto 7.50 € | Scuole 4 € | Gratuito: Residenti e nati nel Comune di Venezia; bambini da 0 a 5 anni; portatori di handicap con accompagnatore; guide turistiche e interpreti turistici che accompagnino gruppi o visitatori individuali; per ogni gruppo di almeno 15 persone, 1 ingresso gratuito (solo con prenotazione); docenti accompagnatori di gruppi scolastici, fino ad un massimo di 2 per gruppo; membri ICOM; partner ordinari MUVE; volontari Servizio Civile; possessori MUVE Friend
Telefono per informazioni: 848 082 000
E-Mail info: info@fmcvenezia.it
Sito ufficiale: http://www. carezzonico.visitmuve.it
Dal 13 maggio al 26 novembre presso le sale di Ca’ Rezzonico è allestista la mostra Velme, un progetto site specific di Marzia Migliora realizzato in collaborazione con la Fondazione Merz.
Il progetto è connotato da modalità espressive ricorrenti nella produzione dell’artista: la volontà di mostrare ciò che è nascosto e far riaffiorare ciò che è sommerso, la relazione con lo spazio e la storia dei luoghi.
Marzia Migliora intende far emergere le contraddizioni e i ripetuti sfruttamenti - delle risorse naturali, di quelle umane e del lavoro, propri della storia dell’umanità - attraverso le suggestioni che giungono dalla storia della città lagunare e dalle opere custodite a Ca’ Rezzonico, mettendole in dialogo e in contrasto con quelle da lei realizzate. L’artista compie questa operazione estrapolando dalla collezione alcuni elementi, vivificandoli e mettendoli sotto una luce nuova, spostando il punto di vista del visitatore e così facendo restituendoli a noi e al nostro tempo.
Il titolo della mostra sintetizza molto bene le riflessioni che sono alla base del progetto. Il termine velma indica una porzione di fondale lagunare poco profondo, che emerge in occasione delle basse maree. Le velme, così come l’intero ecosistema lagunare veneziano, sono fortemente a rischio a causa del degrado morfologico dell’area e dell’erosione dei fondali marini, determinati dalla scarsa consapevolezza e dalle continue violazioni perpetrate dall’uomo.
La velma, “luogo” di relazione tra acqua e terra, simbolo di qualcosa di sommerso che non deve smettere di emergere, diventa quindi “un’urgenza del presente” e un ponte che ci collega con il passato.
La mostra - curata da Beatrice Merz - comprende 5 installazioni collocate in differenti ambienti del Palazzo e scelti accuratamente dall’artista.
Nel portego de mezo - luogo caratteristico dei palazzi veneziani che coniuga la porta d’acqua con quella di terra - è sita l’opera La fabbrica illuminata: 5 banchi da orafo, illuminati da una fila di neon e sui quali, per ciascun ripiano superiore, è posto un blocco di salgemma. Completa, e ispira il titolo del lavoro, il brano La fabbrica illuminata composta nel 1964 da Luigi Nono e dedicata agli operai della Italsider di Genova-Cornigliano.
L’installazione e gli elementi che la compongono - il sale, così fondamentale nella storia commerciale di Venezia, denominato anche “oro bianco” e i banchi da orafo - ci rimandano allo sfruttamento delle risorse naturali e della forza lavoro necessaria alla trasformazione delle stesse in merce e in guadagno.
Il capolavoro di Pietro Longhi Il Rinoceronte diventa citazione e rivelazione per l’installazione Taci, anzi parla. La dama dalla veste bianca, rappresentata sullo sfondo del dipinto del Longhi, indossa una maschera dell’epoca, a uso unicamente femminile, detta Moréta: un ovale nero con due buchi in corrispondenza degli occhi. Le donne potevano fermarla sul viso soltanto mordendo un pomolo all’altezza della bocca, rimanendo costrette, in questo modo, a tacere.
L’artista estrapola dal dipinto la maschera e la colloca al centro del boudoir, in modo che sia rivelata al pubblico e che possa essere vista in tutta la sua interezza, compreso il retro.
L’installazione Quis contra nos prende avvio dallo stemma della famiglia Rezzonico, presente in diversi ambienti del palazzo e che riporta la scritta in lettere dorate Si Deus pro nobis. Nel corso della storia queste parole sono state utilizzate in molte occasioni e strumentalizzate per giustificare atti criminali, guerre e stermini di massa da grandi dittatori e uomini di potere.
La frase è tratta da San Paolo (Lettera ai Romani, 8, 31) e nella sua forma originale recita: Si Deus pro nobis, quis contra nos. (Se Dio è con noi, chi sarà contro di noi?). La parte omessa del motto è rivelata dall’azione di Marzia Migliora per andare a collocarsi sugli specchi della collezione del palazzo nelle Sale degli Arazzi, del Trono, del Tiepolo e Lazzarini.
Dal corpus scultoreo degli Etiopi portavaso di Andrea Brustolon e dall’affresco di Gian Domenico Tiepolo Mondo Novo nasce l’omonima installazione di Marzia Migliora situata nel salone al primo piano e nella Sala del Brustolon.
L’artista muove le statue in avanti e li ruota di 180° rispetto all’attuale posizione nella collezione, segnando questo minimo spostamento con un’asta metrica in uso per la fotografia documentaria dei reperti archeologici. Grazie a questo avanzamento gli Etiopi portavaso praticano metaforicamente un passo in avanti, compiendo un cambiamento in direzione del “Mondo novo”: da schiavi e oggetti incatenati a presenze umane.
L’installazione collocata della Sala del Longhi dal titolo Remains, costituita dal rifacimento di un corno di rinoceronte, si relaziona nuovamente con l’opera del Longhi Il Rinoceronte. La scena rappresentata nel dipinto - un animale divenuto preda inerme, una sorta di attrazione da circo, il cui corno tagliato viene esibito da un uomo come vessillo per la dama - è di estrema attualità: i rinoceronti sono sempre più minacciati dal bracconaggio e dalla caccia di frodo a causa del loro corno, valutato oggi sul mercato nero più dell’oro.
In occasione della mostra sarà pubblicato un catalogo edito da Fondazione Merz, con testi di Gabriella Belli, Beatrice Merz e Alberto Salza.
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