Kaleidoscope
Dal 24 Ottobre 2015 al 16 Gennaio 2016
Saronno | Varese
Luogo: Il Chiostro dell'Arte Contemporanea
Indirizzo: viale Santuario 11
Orari: mar-ven 10-12.30 e 16-18.30, sab 10-12.30
Costo del biglietto: ingresso gratuito
Telefono per informazioni: +39 02 9622717
E-Mail info: info@ilchiostroarte.it
Sito ufficiale: http://www.ilchiostroarte.it
Kaleidoscope, la mostra che apre la stagione del Chiostro arte contemporanea prende spunto dalla magia delle forme e dei colori che si formano spontaneamente e meravigliosamente nel caleidoscopio.
Strumento fluido e creativo il caleidoscopio genera senza fine immagini sorprendenti ottenute dal movimento di frammenti singoli che si intersecano, si sovrappongono, si specchiano nel cilindro cannocchiale, una metafora che calza perfettamente con la scelta degli artisti in mostra, in cui il filo conduttore è quello delle forme e delle cromie dominanti in ciascuno dei protagonisti.
Centrale in questa esposizione in corso fino a gennaio 2016 è l’opera di Andrea Facco RDP, un tondo multicolore e dinamico, un vortice di colori diversi che ruota su se stesso espandendo pura energia. L’opera è realizzata con i resti di nastro adesivo che l’artista recupera dalle schermature usate nella lavorazione degli altri dipinti. L’approccio di Facco è da tempo ritenuto uno dei più interessanti nella odierna concezione della pittura, un concettuale recupero degli strumenti e delle abilità speciali del Pittore, per farne con ironia e spirito critico, un mezzo di indagine metalinguistica.
Da questo centrale lavoro “manifesto” la mostra si srotola in una carrellata di autori e opere dai quali emergono sontuosi i rossi del Teatro alla Scala nelle fotografie di Lelli e Masotti, da anni interpreti attenti e colti del mondo teatrale e musicale, e i gialli degli scoppi di Dalmine di Paola Mattioli, che ha ritratto con lucidità il processo di fusione della centrale siderurgica insieme ai suoi artefici. Un reportage privo di retorica, ma epico.
La tematica espositiva ci conduce a ritrovare due Principi del monocromo, Lucio Fontana nato in Argentina e Jorge Eielson di origine peruviana; Pierre Restany dichiarava in un testo degli anni novanta in cui trattava dei due artisti a lui cari: “collocati fianco a fianco sullo stesso piano, un “quipus” e un “taglio” possono in effetti apparire come il positivo e il negativo dell’unico gesto d’intervento concepibile (moralmente) nello spazio monocromo infinito di Yves Klein”. Il nodo di Eielson e il taglio di Fontana sono elementi esclusivi di un linguaggio che sintetizza la forma assoluta nel colore.
Dal grado zero di questi due punti fermi l’esposizione si apre in un ventaglio di variabili stilistiche e di ricerca: la gestualità pittorica e il sentimento di Arcangelo si imprimono forti sulla grande tela grigia “Viaggio di luna”, un concentrato di arcaica poesia che sfida una seconda opera di importanti dimensioni come “Il lago, la montagna e la luna”, in cui domina, profondo, terribile, il nero di Ferdinando Greco.
La sala risuona di clangori di una battaglia fra titani del fare pittorico, che si stempera e si rasserena nelle trasparenze liquide di due artisti dell’informale lirico come Franco Marrocco del quale sono in mostra tipici suoi blu marini e Alessandro Savelli che presenta una composizione di carte in cui il colore esprime le sue più felici modulazioni. Si inserisce in questo momento di distensione il Rosa, tenue, spirituale, del maestro del Chiarismo Francesco De Rocchi, che ha usato, nei primi del novecento, una materia pittorica che è una materia-luce biancorosata, raddensata in una fitta stenografia che non dimentica tematiche esistenziali.
Il fronte concettuale di questa mostra che si snoda per tappe cromatiche è rappresentato dal verde inteso come verde pubblico di Ugo La Pietra: i fotomontaggi, gli acquerelli e le ceramiche della serie “il verde risolve” presentata in primavera proprio nelle sale del chiostro, ci indicano una strada critica - e ironica - per comprendere come il verde, nelle sue forme impreviste e spontanee, ci sveli la natura del luogo, di uno spazio, la sua tavolozza cromatica, insieme ai reali processi formali dell’uomo. Nelle interpretazioni dell’artista si configurano nuovi paesaggi plastici e nuovi traguardi visivi perché il tema della trasformazione nella città contemporanea (e del suo declino) è un tema importante. Lo stesso scelto da Uliano Lucas, che per questa occasione ha selezionato alcuni scatti tra i più celebri del suo archivio. In questa mostra dedicata al colore non poteva mancare, infatti, uno dei cavalieri del bianco e nero di reportage. Una sequenza di opere di giovani artisti completa questo percorso in cui visioni inaspettate emergono dalle opere: così è nelle valigie con spioncino di Marco Di Giovanni,o nelle superfici di Jorunn Monrad, che riprende ossessivamente un modulo (una lucertola stilizzata, tipica delle leggende norvegesi) che genera e si rigenera, muovendosi sinuosamente sulla superficie del quadro, così che l’azione dell’artista è da paragonare alla ricerca informatica circa i pixel grafici o i files di un software pirata. Proprio i pixel si dilatano nei ritratti di criminali che Debora Hirsch ha ripreso dalle schede della polizia brasiliana; ne derivano immagini astratte, in cui i soggetti non esistono, sono "persi", sono ragazzi"perduti".
La vibrazione della superficie digitale si ritrova anche nei paesaggi onirici del peruviano Christian Quijada, che punteggia le sue vedute di elementi mobili: tutte le opere si allontanano dalla staticità di una pittura tradizionale e diventano qualcosa di diverso, definendo un linguaggio fluido, liquido, così che Iaia Filiberti sceglie per questa mostra una sua Pepita, in versione Ofelia, che emerge dall’acqua tinta di rosso sangue, con boccaglio e maschera “ salvavita”, una figura mitica, sprezzante, ironica E MAI rassegnata alla minaccia degli squali che intorno le nuotano.La mostra trova la sua ideale chiusura e soluzione in una delle composizioni fotografiche di Davide Bramante, primo e straordinario interprete della multipla esposizione, capace di unire in una sola immagine numerosi particolari, dove dettagli di centri abitati, vedute urbane e prospettive aeree sono sovrapposti e assemblati con naturalezza in differenti prospettive. Ogni fotografia ne racchiude un’altra, e un’altra ancora, in una visione simultanea e sincronica, dove il particolare si perde nell’universale e viceversa, per sovrapporsi e confondersi all’infinito.
Strumento fluido e creativo il caleidoscopio genera senza fine immagini sorprendenti ottenute dal movimento di frammenti singoli che si intersecano, si sovrappongono, si specchiano nel cilindro cannocchiale, una metafora che calza perfettamente con la scelta degli artisti in mostra, in cui il filo conduttore è quello delle forme e delle cromie dominanti in ciascuno dei protagonisti.
Centrale in questa esposizione in corso fino a gennaio 2016 è l’opera di Andrea Facco RDP, un tondo multicolore e dinamico, un vortice di colori diversi che ruota su se stesso espandendo pura energia. L’opera è realizzata con i resti di nastro adesivo che l’artista recupera dalle schermature usate nella lavorazione degli altri dipinti. L’approccio di Facco è da tempo ritenuto uno dei più interessanti nella odierna concezione della pittura, un concettuale recupero degli strumenti e delle abilità speciali del Pittore, per farne con ironia e spirito critico, un mezzo di indagine metalinguistica.
Da questo centrale lavoro “manifesto” la mostra si srotola in una carrellata di autori e opere dai quali emergono sontuosi i rossi del Teatro alla Scala nelle fotografie di Lelli e Masotti, da anni interpreti attenti e colti del mondo teatrale e musicale, e i gialli degli scoppi di Dalmine di Paola Mattioli, che ha ritratto con lucidità il processo di fusione della centrale siderurgica insieme ai suoi artefici. Un reportage privo di retorica, ma epico.
La tematica espositiva ci conduce a ritrovare due Principi del monocromo, Lucio Fontana nato in Argentina e Jorge Eielson di origine peruviana; Pierre Restany dichiarava in un testo degli anni novanta in cui trattava dei due artisti a lui cari: “collocati fianco a fianco sullo stesso piano, un “quipus” e un “taglio” possono in effetti apparire come il positivo e il negativo dell’unico gesto d’intervento concepibile (moralmente) nello spazio monocromo infinito di Yves Klein”. Il nodo di Eielson e il taglio di Fontana sono elementi esclusivi di un linguaggio che sintetizza la forma assoluta nel colore.
Dal grado zero di questi due punti fermi l’esposizione si apre in un ventaglio di variabili stilistiche e di ricerca: la gestualità pittorica e il sentimento di Arcangelo si imprimono forti sulla grande tela grigia “Viaggio di luna”, un concentrato di arcaica poesia che sfida una seconda opera di importanti dimensioni come “Il lago, la montagna e la luna”, in cui domina, profondo, terribile, il nero di Ferdinando Greco.
La sala risuona di clangori di una battaglia fra titani del fare pittorico, che si stempera e si rasserena nelle trasparenze liquide di due artisti dell’informale lirico come Franco Marrocco del quale sono in mostra tipici suoi blu marini e Alessandro Savelli che presenta una composizione di carte in cui il colore esprime le sue più felici modulazioni. Si inserisce in questo momento di distensione il Rosa, tenue, spirituale, del maestro del Chiarismo Francesco De Rocchi, che ha usato, nei primi del novecento, una materia pittorica che è una materia-luce biancorosata, raddensata in una fitta stenografia che non dimentica tematiche esistenziali.
Il fronte concettuale di questa mostra che si snoda per tappe cromatiche è rappresentato dal verde inteso come verde pubblico di Ugo La Pietra: i fotomontaggi, gli acquerelli e le ceramiche della serie “il verde risolve” presentata in primavera proprio nelle sale del chiostro, ci indicano una strada critica - e ironica - per comprendere come il verde, nelle sue forme impreviste e spontanee, ci sveli la natura del luogo, di uno spazio, la sua tavolozza cromatica, insieme ai reali processi formali dell’uomo. Nelle interpretazioni dell’artista si configurano nuovi paesaggi plastici e nuovi traguardi visivi perché il tema della trasformazione nella città contemporanea (e del suo declino) è un tema importante. Lo stesso scelto da Uliano Lucas, che per questa occasione ha selezionato alcuni scatti tra i più celebri del suo archivio. In questa mostra dedicata al colore non poteva mancare, infatti, uno dei cavalieri del bianco e nero di reportage. Una sequenza di opere di giovani artisti completa questo percorso in cui visioni inaspettate emergono dalle opere: così è nelle valigie con spioncino di Marco Di Giovanni,o nelle superfici di Jorunn Monrad, che riprende ossessivamente un modulo (una lucertola stilizzata, tipica delle leggende norvegesi) che genera e si rigenera, muovendosi sinuosamente sulla superficie del quadro, così che l’azione dell’artista è da paragonare alla ricerca informatica circa i pixel grafici o i files di un software pirata. Proprio i pixel si dilatano nei ritratti di criminali che Debora Hirsch ha ripreso dalle schede della polizia brasiliana; ne derivano immagini astratte, in cui i soggetti non esistono, sono "persi", sono ragazzi"perduti".
La vibrazione della superficie digitale si ritrova anche nei paesaggi onirici del peruviano Christian Quijada, che punteggia le sue vedute di elementi mobili: tutte le opere si allontanano dalla staticità di una pittura tradizionale e diventano qualcosa di diverso, definendo un linguaggio fluido, liquido, così che Iaia Filiberti sceglie per questa mostra una sua Pepita, in versione Ofelia, che emerge dall’acqua tinta di rosso sangue, con boccaglio e maschera “ salvavita”, una figura mitica, sprezzante, ironica E MAI rassegnata alla minaccia degli squali che intorno le nuotano.La mostra trova la sua ideale chiusura e soluzione in una delle composizioni fotografiche di Davide Bramante, primo e straordinario interprete della multipla esposizione, capace di unire in una sola immagine numerosi particolari, dove dettagli di centri abitati, vedute urbane e prospettive aeree sono sovrapposti e assemblati con naturalezza in differenti prospettive. Ogni fotografia ne racchiude un’altra, e un’altra ancora, in una visione simultanea e sincronica, dove il particolare si perde nell’universale e viceversa, per sovrapporsi e confondersi all’infinito.
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