NON C’È + NESSUN VIRGILIO A GUIDARCI NELL’INFERNO
Dal 26 Ottobre 2021 al 30 Gennaio 2022
Treviso
Luogo: Opendream
Indirizzo: Via Noalese 94
Orari: venerdì, sabato e domenica 16.00 – 19.00 oppure su appuntamento
Curatori: Martina Cavallarin
Enti promotori:
- Con il patrocinio della Città di Treviso
Prolungata: fino al 30 gennaio 2022
Telefono per informazioni: +39 345.5831512
E-Mail info: info@opendream.it
Sito ufficiale: http://www.opendream.it/contemporaryart
“C’è una fantasia che non può che supportare tutti coloro che della struttura si vogliono non-zimbelli, ed è questa: la loro vita non è altro che un viaggio. La vita è quella del viator. Sono quelli che, in questo mondo, dicono, sono stranieri.” (1.)
Con il patrocinio della Città di Treviso, NON C’È + NESSUN VIRGILIO A GUIDARCI NELL’INFERNO è un progetto corale per voci sole costruito durante l’anno dantesco su richiesta di Opendream, area multidisciplinare e transculturale che occupa gli affascinanti spazi dell’archeologia industriale delle Ex Ceramiche Pagnossin a Treviso. Luogo che era spazio di lavoro, e che è ora possibile rivedere in qualità di spazio pubblico polifunzionale, destinato a molteplici usi. Opendream è un importante polo attrattivo con notevoli flussi turistici di qualità e portata culturale ed esperienziale. Snodo di accorta gestione del territorio green e sostenibile, e autorevole centro congressuale grazie alla sua vocazione imprenditoriale, storica e attuale, vive dell’accelerazione di idee e progetti tra competenza pubblica ed energia privata.
NON C’È + NESSUN VIRGILIO A GUIDARCI NELL’INFERNO prende spunto dall’immensa metafora dantesca e ci invita a entrare e transitare, alla ricerca di una guida che sappiamo non esserci, non hic et nunc. Gli stessi processi partecipativi messi in atto dal gesto artistico e dalla presenza dell’opera, tentano di ridefinire la percezione comune del nostro stare nel mondo, rideterminandone gli equilibri - fuori e dentro lo spazio-mostra - tra gli interessi dei diversi attori in gioco: attivi come gli artisti; voyeristici come coloro che scelgono di essere solo spettatori; moltiplicativi per coloro che vivono l’esperienza, dell’arte e della vita tutta, pronti a mettersi in gioco, abbandonando le certezze, analizzando i fatti, aprendosi alle diversità. Si tratta di proporre multiformi pratiche attive dell’Arte Contemporanea: azione, postproduzione, riutilizzazione, riqualificazione in un luogo differente da ogni altro spazio pubblico e per questo elemento accrescitivo e dispositivo straordinario atto a unire il centro storico alla periferia fabrile, le strade cittadine all’area aeroportuale, la pista green alla magnifica campagna trevigiana arrivando e partendo da Venezia, come da Padova, Trieste o Cortina d’Ampezzo.
«Diventare, in mezzo alla finitezza, una cosa sola con l’Infinito ed essere eterni in un momento del tempo, questo impegno verso di sé nell’al di qua, nessuna remissione all’al di là – «è l’immortalità della religione», (2.)
IL PERCORSO ESPOSITIVO
La mostra si propone come un percorso individuale, perché quello tra esistenza e individualità è un confronto che, ieri come oggi, e più che mai oggi, si sta perpetrando. Individualità dell’artista e la sua opera nello spazio di un progetto e nell’epifania della mostra, e quella dello spettatore che viene richiamato da una curiosità e nell’inciampo con l’opera d’arte deve cercarsi e ritrovarsi. Perché siamo, tutti, individui soli in un viaggio nel tempo sospeso nel quale la mancanza di certezze e l’assenza di una guida sono gli unici pilastri che edificano il presente. L’esperienza che ci propone NON C’È + NESSUN VIRGILIO A GUIDARCI NELL’INFERNO, con il segno + che sostituisce la parola, urbanizzando la locuzione come la scritta a spray su muro da cui è stata presa, è un’immersione in un viaggio intrapreso un passo alla volta. Ciascun Passo è cadenzato da alcune componenti peculiari e uniche, per un viaggio solitario, differente ma complementare.
Gli artisti invitati a creare un'architettura ulteriore rispetto al piano curatoriale, lavorano tra griglie orizzontali e verticali confrontandosi ed esprimendosi mediante pittura, scultura, fotografia, installazione e azione, per un’esperienza pluridisciplinare, vero nutrimento atto a donarci gli strumenti di reazione a questo tempo sospeso: analisi, adattamento all’ambiente, abbandono delle certezze, partecipazione collettiva di organismi singoli, crescita nelle differenze, predisposizione allo stupore.
Il Passo 1 si compie appena varcata la soglia d’ingresso. Una traiettoria nell’abisso dell’individualità, quella imperante dell’oggi, nella quale viviamo un rapporto immediato e diretto con l’infinito: un’unità irripetibile di finito e non finito che non si lascia assorbire in alcun sistema di ordine razionale e totalizzante, ma che l’esperienza dell’Arte aiuta a rendere colma di bellezza e intensità di senso. Muovere i propri passi sul tappeto di cenere di Maria Elisabetta Novello significa sancire la propria apparizione: IO SONO QUI è asserzione dell’artista, ma anche asserzione dell’opera e asserzione di chi ci cammina sopra. Calpestarla significa entrare nella sfera personale dell’altro, provocare qualcosa forzando l’ordine delle cose, mettendo disordine, entrando in stretto contatto con l’opera fino a provocarne la sparizione. Una telecamera a circuito chiuso riprenderà le fasi di allestimento del lavoro e il passaggio degli spettatori per un’operazione di documentazione che lavora su tempo e spazio senza ammettere repliche.
Il Passo 2 è un’immersione nella pittura italiana, qui rappresentata da punti ciano, rappresentazioni storiche e brani di anatomia dei piccoli superbi dittici di Giuseppe Ciracì e dai dipinti di grandi dimensioni, 3 metri per 2, del talentuoso Giulio Malinverni che ci costringe a un’apnea in atmosfere surreali tra paesaggi primordiali e contemporaneità.
Il Passo 3 è concentrazione dello sguardo in senso orizzontale, prima entrando nella stanza semibuia che stimola la nostra percezione grazie al dispositivo artistico di Boris Contarin, e tornando indietro analizzando i grandi tavoli da lavoro abitati dalla vegetazione tra naturale e artificiale di Marie Denis. Con un altro passo si arriva alla selva matrigna di Francesco Bocchini, intrico di foglie e spine metalliche di 5 metri di lunghezza per 3.5 di altezza; le sensuali sculture dipinte di Alice Biba sono sosta tra morbidezza della forma e fierezza della materia.
Il Passo 4 è un viaggio tra installazioni dalla geometria e dall’assetto verticale, dall’alto verso il basso e viceversa. Il manto d’oro, come il vello del Crisomallo che presta il titolo al lavoro è il grande monotipo xerografico su carta velina fustellata a mano di Gianni Moretti; nel Forno Hoffman la Ferula di Ludovico Bomben è ieratica apparizione luminosa che dialoga con la fotografia della performance eseguita in collaborazione con Michele Tajariol nella quale compaiono le loro due figure dal mistico sapore. Il vestito appeso di Silvia Levenson e la sua casetta in plexiglass segnano un passaggio straniante che ci trascina a crede qualcosa che non è mai come sembra. Blackcircuit di Michelangelo Penso è una sorta di macchina medievale, un nero oggetto appeso, alienante e potente, uno stargate che ci traduce in uno stupefacente viaggio. E cosa può il viandante chiedersi nel terminare il suo quarto passo se non dove lo possano condurre gli animali e le vespe senza capo né coda di Antonio Riello? Il Passo 5 è accesso alla grande sala post industriale nella quale le sculture tra legno, corde, ferro e collage di Romano Abate sono totem arcaici, salti tra passato e presente, giganti che si stagliano possenti davanti a noi.
Il viaggio nella mostra è costellato dall’incontro con i pannelli dalle frasi lapidarie di Giorgio Cassone, tra i quali il lavoro che dà il titolo al progetto, citazione di una frase letta dall’autore sul muro di una casa popolare nel sestiere veneziano di Cannaregio e quindi ripresa e riportata con altro stile. Le tavole di legno industriale sono combinazioni di decine di ritagli di giornale impressi in negativo e sormontati da proposizioni e interrogativi costanti sulla nostra condizione personale e collettiva. Ogni spettatore è invitato a sfogliare le tavole impilate come fossero in un deposito e scegliere quella con la frase che ritiene più vicina al suo pensiero, o più stridente, poco importa, per un meccanismo partecipativo, un atto di presenza assertivo sempre implicito nel fare e nel guardare all’opera d’arte.
Scrive Gilles Deleuze a proposito dell’interesse di Carmelo Bene per ciò che è un personaggio minore o maggiore: “Il divenire, il movimento, la velocità, il turbine, si trovano in mezzo. L’interessante è in mezzo, ciò che succede nel mezzo (au milieu). Il mezzo non è un media, è invece un eccesso. Le cose crescono nel mezzo. Era questa l’idea di Virginia Woolf. E il mezzo non vuol dire affatto essere nel proprio tempo, essere del proprio tempo, essere storico; al contrario. È ciò per cui i tempi più diversi comunicano”. (3.)
1. Jacques Lacan, Les non-dupes errent (1973, 1974).
2. Schleiermacher: «questa» – 94 F. D. E. Schleiermacher, Über die Religion (1799), cit., p. 247. 3. Carmelo Bene, Gilles Deleuze, Sovrapposizioni. Quodlibet, 2002, p. 92. Titolo originale del testo di Gilles Deleuze: Un manifeste de moins, traduzione di Jean Paul Manganaro. Versione riveduta e corretta © 1979 Les Éditions de Minuit.
Con il patrocinio della Città di Treviso, NON C’È + NESSUN VIRGILIO A GUIDARCI NELL’INFERNO è un progetto corale per voci sole costruito durante l’anno dantesco su richiesta di Opendream, area multidisciplinare e transculturale che occupa gli affascinanti spazi dell’archeologia industriale delle Ex Ceramiche Pagnossin a Treviso. Luogo che era spazio di lavoro, e che è ora possibile rivedere in qualità di spazio pubblico polifunzionale, destinato a molteplici usi. Opendream è un importante polo attrattivo con notevoli flussi turistici di qualità e portata culturale ed esperienziale. Snodo di accorta gestione del territorio green e sostenibile, e autorevole centro congressuale grazie alla sua vocazione imprenditoriale, storica e attuale, vive dell’accelerazione di idee e progetti tra competenza pubblica ed energia privata.
NON C’È + NESSUN VIRGILIO A GUIDARCI NELL’INFERNO prende spunto dall’immensa metafora dantesca e ci invita a entrare e transitare, alla ricerca di una guida che sappiamo non esserci, non hic et nunc. Gli stessi processi partecipativi messi in atto dal gesto artistico e dalla presenza dell’opera, tentano di ridefinire la percezione comune del nostro stare nel mondo, rideterminandone gli equilibri - fuori e dentro lo spazio-mostra - tra gli interessi dei diversi attori in gioco: attivi come gli artisti; voyeristici come coloro che scelgono di essere solo spettatori; moltiplicativi per coloro che vivono l’esperienza, dell’arte e della vita tutta, pronti a mettersi in gioco, abbandonando le certezze, analizzando i fatti, aprendosi alle diversità. Si tratta di proporre multiformi pratiche attive dell’Arte Contemporanea: azione, postproduzione, riutilizzazione, riqualificazione in un luogo differente da ogni altro spazio pubblico e per questo elemento accrescitivo e dispositivo straordinario atto a unire il centro storico alla periferia fabrile, le strade cittadine all’area aeroportuale, la pista green alla magnifica campagna trevigiana arrivando e partendo da Venezia, come da Padova, Trieste o Cortina d’Ampezzo.
«Diventare, in mezzo alla finitezza, una cosa sola con l’Infinito ed essere eterni in un momento del tempo, questo impegno verso di sé nell’al di qua, nessuna remissione all’al di là – «è l’immortalità della religione», (2.)
IL PERCORSO ESPOSITIVO
La mostra si propone come un percorso individuale, perché quello tra esistenza e individualità è un confronto che, ieri come oggi, e più che mai oggi, si sta perpetrando. Individualità dell’artista e la sua opera nello spazio di un progetto e nell’epifania della mostra, e quella dello spettatore che viene richiamato da una curiosità e nell’inciampo con l’opera d’arte deve cercarsi e ritrovarsi. Perché siamo, tutti, individui soli in un viaggio nel tempo sospeso nel quale la mancanza di certezze e l’assenza di una guida sono gli unici pilastri che edificano il presente. L’esperienza che ci propone NON C’È + NESSUN VIRGILIO A GUIDARCI NELL’INFERNO, con il segno + che sostituisce la parola, urbanizzando la locuzione come la scritta a spray su muro da cui è stata presa, è un’immersione in un viaggio intrapreso un passo alla volta. Ciascun Passo è cadenzato da alcune componenti peculiari e uniche, per un viaggio solitario, differente ma complementare.
Gli artisti invitati a creare un'architettura ulteriore rispetto al piano curatoriale, lavorano tra griglie orizzontali e verticali confrontandosi ed esprimendosi mediante pittura, scultura, fotografia, installazione e azione, per un’esperienza pluridisciplinare, vero nutrimento atto a donarci gli strumenti di reazione a questo tempo sospeso: analisi, adattamento all’ambiente, abbandono delle certezze, partecipazione collettiva di organismi singoli, crescita nelle differenze, predisposizione allo stupore.
Il Passo 1 si compie appena varcata la soglia d’ingresso. Una traiettoria nell’abisso dell’individualità, quella imperante dell’oggi, nella quale viviamo un rapporto immediato e diretto con l’infinito: un’unità irripetibile di finito e non finito che non si lascia assorbire in alcun sistema di ordine razionale e totalizzante, ma che l’esperienza dell’Arte aiuta a rendere colma di bellezza e intensità di senso. Muovere i propri passi sul tappeto di cenere di Maria Elisabetta Novello significa sancire la propria apparizione: IO SONO QUI è asserzione dell’artista, ma anche asserzione dell’opera e asserzione di chi ci cammina sopra. Calpestarla significa entrare nella sfera personale dell’altro, provocare qualcosa forzando l’ordine delle cose, mettendo disordine, entrando in stretto contatto con l’opera fino a provocarne la sparizione. Una telecamera a circuito chiuso riprenderà le fasi di allestimento del lavoro e il passaggio degli spettatori per un’operazione di documentazione che lavora su tempo e spazio senza ammettere repliche.
Il Passo 2 è un’immersione nella pittura italiana, qui rappresentata da punti ciano, rappresentazioni storiche e brani di anatomia dei piccoli superbi dittici di Giuseppe Ciracì e dai dipinti di grandi dimensioni, 3 metri per 2, del talentuoso Giulio Malinverni che ci costringe a un’apnea in atmosfere surreali tra paesaggi primordiali e contemporaneità.
Il Passo 3 è concentrazione dello sguardo in senso orizzontale, prima entrando nella stanza semibuia che stimola la nostra percezione grazie al dispositivo artistico di Boris Contarin, e tornando indietro analizzando i grandi tavoli da lavoro abitati dalla vegetazione tra naturale e artificiale di Marie Denis. Con un altro passo si arriva alla selva matrigna di Francesco Bocchini, intrico di foglie e spine metalliche di 5 metri di lunghezza per 3.5 di altezza; le sensuali sculture dipinte di Alice Biba sono sosta tra morbidezza della forma e fierezza della materia.
Il Passo 4 è un viaggio tra installazioni dalla geometria e dall’assetto verticale, dall’alto verso il basso e viceversa. Il manto d’oro, come il vello del Crisomallo che presta il titolo al lavoro è il grande monotipo xerografico su carta velina fustellata a mano di Gianni Moretti; nel Forno Hoffman la Ferula di Ludovico Bomben è ieratica apparizione luminosa che dialoga con la fotografia della performance eseguita in collaborazione con Michele Tajariol nella quale compaiono le loro due figure dal mistico sapore. Il vestito appeso di Silvia Levenson e la sua casetta in plexiglass segnano un passaggio straniante che ci trascina a crede qualcosa che non è mai come sembra. Blackcircuit di Michelangelo Penso è una sorta di macchina medievale, un nero oggetto appeso, alienante e potente, uno stargate che ci traduce in uno stupefacente viaggio. E cosa può il viandante chiedersi nel terminare il suo quarto passo se non dove lo possano condurre gli animali e le vespe senza capo né coda di Antonio Riello? Il Passo 5 è accesso alla grande sala post industriale nella quale le sculture tra legno, corde, ferro e collage di Romano Abate sono totem arcaici, salti tra passato e presente, giganti che si stagliano possenti davanti a noi.
Il viaggio nella mostra è costellato dall’incontro con i pannelli dalle frasi lapidarie di Giorgio Cassone, tra i quali il lavoro che dà il titolo al progetto, citazione di una frase letta dall’autore sul muro di una casa popolare nel sestiere veneziano di Cannaregio e quindi ripresa e riportata con altro stile. Le tavole di legno industriale sono combinazioni di decine di ritagli di giornale impressi in negativo e sormontati da proposizioni e interrogativi costanti sulla nostra condizione personale e collettiva. Ogni spettatore è invitato a sfogliare le tavole impilate come fossero in un deposito e scegliere quella con la frase che ritiene più vicina al suo pensiero, o più stridente, poco importa, per un meccanismo partecipativo, un atto di presenza assertivo sempre implicito nel fare e nel guardare all’opera d’arte.
Scrive Gilles Deleuze a proposito dell’interesse di Carmelo Bene per ciò che è un personaggio minore o maggiore: “Il divenire, il movimento, la velocità, il turbine, si trovano in mezzo. L’interessante è in mezzo, ciò che succede nel mezzo (au milieu). Il mezzo non è un media, è invece un eccesso. Le cose crescono nel mezzo. Era questa l’idea di Virginia Woolf. E il mezzo non vuol dire affatto essere nel proprio tempo, essere del proprio tempo, essere storico; al contrario. È ciò per cui i tempi più diversi comunicano”. (3.)
1. Jacques Lacan, Les non-dupes errent (1973, 1974).
2. Schleiermacher: «questa» – 94 F. D. E. Schleiermacher, Über die Religion (1799), cit., p. 247. 3. Carmelo Bene, Gilles Deleuze, Sovrapposizioni. Quodlibet, 2002, p. 92. Titolo originale del testo di Gilles Deleuze: Un manifeste de moins, traduzione di Jean Paul Manganaro. Versione riveduta e corretta © 1979 Les Éditions de Minuit.
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