Davide Calandra/ Helena Hladilova. Vitrine - 270°/ Pietro Gallina. Ombre, profili, impronte
Dal 17 Gennaio 2013 al 24 Febbraio 2013
Torino
Luogo: Galleria d'Arte Moderna - GAM
Indirizzo: via Magenta 31
Orari: da martedì a domenica 10-18
Curatori: Virginia Bertone, Stefano Collicelli Cagol, Maria Teresa Roberto
Costo del biglietto: intero € 10, ridotto € 8, gratuito ragazzi fino ai 18 anni (gratuita mostra Vitrine - 270°)
Telefono per informazioni: +39 011 4429518
E-Mail info: gam@fondazionetorinomusei.it
Sito ufficiale: http://www.gamtorino.it/
A partire dal 17 gennaio 2013, in attesa del prossimo appuntamento dedicato ad opere preziose di Giovanni Migliara, Wunderkammer diviene lo spazio dove accogliere e valorizzare un’importante opera di Davide Calandra rientrata da un lungo periodo di restauro: si tratta del gesso L’aratro, il cui bronzo si trova alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma.
Protagonista di una delle carriere più fortunate nel panorama della scultura italiana tra Otto e Novecento, Davide Calandra (Torino 1856 – 1915) si formò all’Accademia Albertina di Torino sotto la guida di Enrico Gamba e Odoardo Tabacchi: un’educazione che sarebbe stata completata da un soggiorno a Parigi nel 1881 con il fratello Edoardo.
Il suo lungo e importante impegno nel campo della scultura monumentale prese avvio da una produzione decorativa e di genere, in cui Calandra sperimentò varie possibilità espressive sulla scia della tarda Scapigliatura milanese. Una sensibilità che si intrecciò a suggestioni tardo romantiche, filtrate anche dalla narrativa, ravvisabili in opere come Cuor sulle spine (1882) o Fior di chiostro (1884) entrambe nelle collezioni della GAM.
A segnare una svolta breve, ma significativa nella produzione giovanile dello scultore torinese fu l’adesione, intorno al 1888, ad un verismo legato a temi rustici e campestri di cui è principale testimonianza il gesso qui esposto, L’aratro, cui l’anno dopo si affiancherà, Attraverso i campi, conservato alla Gipsoteca di Savigliano.
Giunto nelle collezioni del Museo nel 1922 attraverso la donazione di Giorgio Calandra, il modello in gesso descrive senza abbellimenti il procedere di un contadino che dissoda con l’aratro il terreno per prepararlo alla semina: una scelta che introduceva in scultura un soggetto che aveva salde radici nella pittura piemontese, da Antonio Fontanesi a Carlo Pittara.
In quello stesso 1888 il gesso fu tradotto nel bronzo che Calandra presentò all’esposizione della Società Promotrice delle Belle Arti di Torino. Noto anche come Il primo solco, il bronzo fu nuovamente esposto a Brera nel 1891 e infine all’Esposizione Nazionale di Palermo del 1891-1892, dove fu acquistato per le collezioni della Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma, un lusinghiero riconoscimento che avrebbe contribuito a consolidare la carriera dello scultore torinese.
La breve stagione di questi temi agresti ha suggerito che essa abbia rappresentato per Calandra soprattutto un significativo aggiornamento in direzione antiromantica, in stretto parallelo con le scelte letterarie del fratello Edoardo. In questa prospettiva il modello conservato alla GAM rappresenta un primo, originale esito di una ricerca che sarebbe proseguita sino a condurre lo scultore a maturare una peculiare cultura eclettica capace di coniugare un colto storicismo con le eleganti cadenze fin de siècle, la cifra che avrebbe improntato la sua grande scultura celebrativa e di cui è nobile esempio Il conquistatore, posto nel giardino del Museo.
La scultura in gesso è stata restaurata dal laboratorio Nicola Restauri ad Aramengo (AT).
I modelli in gesso del braccio sinistro e della mano destra del contadino, che erano compromessi sul gesso originale, sono stati ripristinati eseguendo un calco direttamente sulla scultura bronzea conservata alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma. Il gesso si presentava inoltre con una tonalità tendente al grigio a causa della polvere che si era depositata nel corso degli anni, così come un alone giallastro era stato provocato dall’ossidazione dei materiali. Tramite un’accurata pulitura eseguita agendo sotto aspirazione, è stato possibile riportarlo alla sua tonalità originaria.
Helena Hladilova. Vitrine - 270°
a cura di Stefano Collicelli Cagol
Prosegue alla GAM - Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea di Torino la seconda edizione di Vitrine, il progetto dedicato alla giovane ricerca artistica sviluppata in Piemonte.
L’edizione di quest’anno è stata affidata a Stefano Collicelli Cagol che ha selezionato cinque artiste legate in modi diversi al Piemonte, nate tra gli anni Settanta e Ottanta: Paola Anziché (1975), Helena Hladilova (1983), Sara Enrico (1979), Ludovica Carbotta (1982) e Dafne Boggeri (1975).
Dopo il primo appuntamento con Paola Anziché, la seconda artista selezionata è Helena Hladilova che presenta un lavoro inedito visibile alla GAM dal 16 gennaio al 24 febbraio 2013.
Come spesso accade nel suo lavoro, Helena Hladilova reagisce al contesto istituzionale e espositivo in cui è invitata a operare.
Nel caso di 270°, l’artista ha preso spunto dal tema del secondo ciclo di Vitrine che invita a confrontarsi con uno spazio determinato, caratterizzato da un angolo di 90° posto nell’atrio della GAM e ha creato così una scultura mobile, pensata per essere presentata inizialmente nell’angolo e in un secondo momento in altre zone dell’atrio del museo.
Eliminato il plinto, il basamento tradizionale per esporre una scultura, Helena Hladilova munisce l’opera di piccole ruote in modo da consentirle una mobilità all’interno dell’ingresso della GAM mettendo così in discussione il legame tra l’immobilità tradizionalmente riferita a una scultura e l’area espositiva a cui viene assegnata.
Negando all’opera un display definitivo, Hladilova interroga il ruolo giocato dall’allestimento nella comprensione della scultura, pone l’accento sulla relazione tra artista e istituzione e propone allo spettatore una diversa esperienza dell’opera ogni qualvolta entrerà nello spazio del museo.
Attivando l’attenzione dei visitatori e giocando sulla tensione creata tra spazio destinato all’allestimento lasciato vuoto e l’iterazione dell’opera con i nuovi spazi in cui si viene a trovare, Hladilova stravolge l’abituale relazione tra spazio museale e esperienza dell’opera d’arte.
L’opera, costruita in plastilina, è destinata a modificarsi leggermente nel tempo, a causa della pressione delle mani di chi la sposterà.
Helena Hladilova – Biografia
Nata a Krom??íž, Repubblica Ceca, nel 1983, Helena Hladilova vive e lavora a Torino.
Si forma alla Facoltà di Belle Arti dell'Università VUT, Brno; all'Accademia di Belle Arti di Brera, Milano, e all'Accademia di Belle Arti di Carrara. Dal 2008 è co-fondatore e co-curatore dello spazio espositivo GUM studio a Torino.
Ha tenuto personali come NaCI, L'a projectspace, insieme con Namsal Siedlecki, Palermo, 2012; Barega, Giuseppe Frau Gallery, Gonnesa 2012; m.odla gallery, Prague, 2012. Nel 2012 ha esposto nelle mostre collettive: RECORD, Fondazione Bevilacqua la Masa, Piazza San Marco, Venezia; Sotto la Strada, la Spiaggia, Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, Torino; III Moscow International Biennale for Young Art, Mosca; Carte Blanche#6, UniCredit Studio, Milano; Madeinfilandia, Pieve a Presciano; Roma supporta Cripta 747, Fondazione Pastificio Cerere, Roma.
Ha partecipato all'Advanced Course in Visual Arts, Fondazione Antonio Ratti, Como e Fondazione Spinola Banna per l'arte, Workshop breve, Poirino.
Nel 2013 sarà in residenza all’ Art Quarter Budapest, Budapest.
Le artiste selezionate per la seconda edizione di Vitrine sono: Paola Anziché (Milano, 1975, vive e lavora a Torino, Helena Hladilova (Krom??íž, Repubblica Ceca, 1983, vive e lavora a Torino), Sara Enrico (Biella, 1979, vive e lavora a Torino), Ludovica Carbotta (Torino, 1982, vive e lavora a Torino), Dafne Boggeri (Tortona, 1975, vive e lavora tra Milano e Torino).
Pietro Gallina. Ombre, profili, impronte
Mercoledì 16 gennaio inaugura alla GAM il secondo appuntamento di Surprise, progetto espositivo che concentra l’attenzione su aspetti specifici del contesto artistico torinese tra gli anni Sessanta e Settanta, in cui si intersecarono discipline diverse, dall’architettura al design, dalla moda alla grafica, dalla musica alle arti visive e performative gettando in questo modo le basi per il riconoscimento artistico di Torino a livello internazionale.
A curare il primo ciclo di appuntamenti, che prosegue per tutto il 2013, è Maria Teresa Roberto, docente di Storia dell’Arte Contemporanea presso l’Accademia Albertina di Torino. Al progetto è dedicata la sala espositiva della GAM adiacente all’Exhibition Area. Al centro dell’attenzione sono poste di volta in volta opere, tracce di percorsi espositivi, progetti inediti, riferimenti a contesti extra-artistici; si tratta di frammenti eterogenei ma accomunati dal senso di stupore e meraviglia e di intensificazione delle energie vitali tipico di quegli anni.
Dopo la mostra dedicata ad Ugo Nespolo, il protagonista del secondo appuntamento è Pietro Gallina (Torino, 1937), che esordì nel 1967 con una personale alla galleria La Bertesca di Genova, avendo avviato da qualche tempo una originale ricerca incentrata sulla rappresentazione di figure umane e animali.
L’ombra e il profilo sono stati da lui utilizzati come metonimie della figura umana, e in queste icone bidimensionali si condensa una ricchezza di osservazioni e particolari che rendono attuale il loro abitare lo spazio espositivo. Presenze diverse – gli archetipi della madre e del bambino, alcuni ritratti (inedito quello di Aldo Passoni), un uomo specchiante, l’ombra di una giovane donna seduta (donata dall’artista alla GAM nel 1967 per il Museo di Arte Sperimentale) e quella di una scultura di Giacometti – dialogano in mostra tra loro e con i riguardanti, o riflettono e inquadrano l’ambiente che le incornicia.
Dopo aver lavorato sul tema della silhouette, Gallina affrontò il paradosso dell’impronta, nella serie effimera delle Nevigrafie e, per contrasto, nell’opera in bronzo del 1970 presentata qui per la prima volta, in cui è fissata per sempre la traccia di un suo passo.
Si ringraziano per la collaborazione alla mostra Paola e Giorgio De Ferrari, il Corso di Laurea in Conservazione e Restauro dei Beni Culturali dell’Università di Torino e la Scuola di Alta Formazione e Studio Centro di Conservazione e Restauro “La Venaria Reale”.
Protagonista di una delle carriere più fortunate nel panorama della scultura italiana tra Otto e Novecento, Davide Calandra (Torino 1856 – 1915) si formò all’Accademia Albertina di Torino sotto la guida di Enrico Gamba e Odoardo Tabacchi: un’educazione che sarebbe stata completata da un soggiorno a Parigi nel 1881 con il fratello Edoardo.
Il suo lungo e importante impegno nel campo della scultura monumentale prese avvio da una produzione decorativa e di genere, in cui Calandra sperimentò varie possibilità espressive sulla scia della tarda Scapigliatura milanese. Una sensibilità che si intrecciò a suggestioni tardo romantiche, filtrate anche dalla narrativa, ravvisabili in opere come Cuor sulle spine (1882) o Fior di chiostro (1884) entrambe nelle collezioni della GAM.
A segnare una svolta breve, ma significativa nella produzione giovanile dello scultore torinese fu l’adesione, intorno al 1888, ad un verismo legato a temi rustici e campestri di cui è principale testimonianza il gesso qui esposto, L’aratro, cui l’anno dopo si affiancherà, Attraverso i campi, conservato alla Gipsoteca di Savigliano.
Giunto nelle collezioni del Museo nel 1922 attraverso la donazione di Giorgio Calandra, il modello in gesso descrive senza abbellimenti il procedere di un contadino che dissoda con l’aratro il terreno per prepararlo alla semina: una scelta che introduceva in scultura un soggetto che aveva salde radici nella pittura piemontese, da Antonio Fontanesi a Carlo Pittara.
In quello stesso 1888 il gesso fu tradotto nel bronzo che Calandra presentò all’esposizione della Società Promotrice delle Belle Arti di Torino. Noto anche come Il primo solco, il bronzo fu nuovamente esposto a Brera nel 1891 e infine all’Esposizione Nazionale di Palermo del 1891-1892, dove fu acquistato per le collezioni della Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma, un lusinghiero riconoscimento che avrebbe contribuito a consolidare la carriera dello scultore torinese.
La breve stagione di questi temi agresti ha suggerito che essa abbia rappresentato per Calandra soprattutto un significativo aggiornamento in direzione antiromantica, in stretto parallelo con le scelte letterarie del fratello Edoardo. In questa prospettiva il modello conservato alla GAM rappresenta un primo, originale esito di una ricerca che sarebbe proseguita sino a condurre lo scultore a maturare una peculiare cultura eclettica capace di coniugare un colto storicismo con le eleganti cadenze fin de siècle, la cifra che avrebbe improntato la sua grande scultura celebrativa e di cui è nobile esempio Il conquistatore, posto nel giardino del Museo.
La scultura in gesso è stata restaurata dal laboratorio Nicola Restauri ad Aramengo (AT).
I modelli in gesso del braccio sinistro e della mano destra del contadino, che erano compromessi sul gesso originale, sono stati ripristinati eseguendo un calco direttamente sulla scultura bronzea conservata alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma. Il gesso si presentava inoltre con una tonalità tendente al grigio a causa della polvere che si era depositata nel corso degli anni, così come un alone giallastro era stato provocato dall’ossidazione dei materiali. Tramite un’accurata pulitura eseguita agendo sotto aspirazione, è stato possibile riportarlo alla sua tonalità originaria.
Helena Hladilova. Vitrine - 270°
a cura di Stefano Collicelli Cagol
Prosegue alla GAM - Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea di Torino la seconda edizione di Vitrine, il progetto dedicato alla giovane ricerca artistica sviluppata in Piemonte.
L’edizione di quest’anno è stata affidata a Stefano Collicelli Cagol che ha selezionato cinque artiste legate in modi diversi al Piemonte, nate tra gli anni Settanta e Ottanta: Paola Anziché (1975), Helena Hladilova (1983), Sara Enrico (1979), Ludovica Carbotta (1982) e Dafne Boggeri (1975).
Dopo il primo appuntamento con Paola Anziché, la seconda artista selezionata è Helena Hladilova che presenta un lavoro inedito visibile alla GAM dal 16 gennaio al 24 febbraio 2013.
Come spesso accade nel suo lavoro, Helena Hladilova reagisce al contesto istituzionale e espositivo in cui è invitata a operare.
Nel caso di 270°, l’artista ha preso spunto dal tema del secondo ciclo di Vitrine che invita a confrontarsi con uno spazio determinato, caratterizzato da un angolo di 90° posto nell’atrio della GAM e ha creato così una scultura mobile, pensata per essere presentata inizialmente nell’angolo e in un secondo momento in altre zone dell’atrio del museo.
Eliminato il plinto, il basamento tradizionale per esporre una scultura, Helena Hladilova munisce l’opera di piccole ruote in modo da consentirle una mobilità all’interno dell’ingresso della GAM mettendo così in discussione il legame tra l’immobilità tradizionalmente riferita a una scultura e l’area espositiva a cui viene assegnata.
Negando all’opera un display definitivo, Hladilova interroga il ruolo giocato dall’allestimento nella comprensione della scultura, pone l’accento sulla relazione tra artista e istituzione e propone allo spettatore una diversa esperienza dell’opera ogni qualvolta entrerà nello spazio del museo.
Attivando l’attenzione dei visitatori e giocando sulla tensione creata tra spazio destinato all’allestimento lasciato vuoto e l’iterazione dell’opera con i nuovi spazi in cui si viene a trovare, Hladilova stravolge l’abituale relazione tra spazio museale e esperienza dell’opera d’arte.
L’opera, costruita in plastilina, è destinata a modificarsi leggermente nel tempo, a causa della pressione delle mani di chi la sposterà.
Helena Hladilova – Biografia
Nata a Krom??íž, Repubblica Ceca, nel 1983, Helena Hladilova vive e lavora a Torino.
Si forma alla Facoltà di Belle Arti dell'Università VUT, Brno; all'Accademia di Belle Arti di Brera, Milano, e all'Accademia di Belle Arti di Carrara. Dal 2008 è co-fondatore e co-curatore dello spazio espositivo GUM studio a Torino.
Ha tenuto personali come NaCI, L'a projectspace, insieme con Namsal Siedlecki, Palermo, 2012; Barega, Giuseppe Frau Gallery, Gonnesa 2012; m.odla gallery, Prague, 2012. Nel 2012 ha esposto nelle mostre collettive: RECORD, Fondazione Bevilacqua la Masa, Piazza San Marco, Venezia; Sotto la Strada, la Spiaggia, Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, Torino; III Moscow International Biennale for Young Art, Mosca; Carte Blanche#6, UniCredit Studio, Milano; Madeinfilandia, Pieve a Presciano; Roma supporta Cripta 747, Fondazione Pastificio Cerere, Roma.
Ha partecipato all'Advanced Course in Visual Arts, Fondazione Antonio Ratti, Como e Fondazione Spinola Banna per l'arte, Workshop breve, Poirino.
Nel 2013 sarà in residenza all’ Art Quarter Budapest, Budapest.
Le artiste selezionate per la seconda edizione di Vitrine sono: Paola Anziché (Milano, 1975, vive e lavora a Torino, Helena Hladilova (Krom??íž, Repubblica Ceca, 1983, vive e lavora a Torino), Sara Enrico (Biella, 1979, vive e lavora a Torino), Ludovica Carbotta (Torino, 1982, vive e lavora a Torino), Dafne Boggeri (Tortona, 1975, vive e lavora tra Milano e Torino).
Pietro Gallina. Ombre, profili, impronte
Mercoledì 16 gennaio inaugura alla GAM il secondo appuntamento di Surprise, progetto espositivo che concentra l’attenzione su aspetti specifici del contesto artistico torinese tra gli anni Sessanta e Settanta, in cui si intersecarono discipline diverse, dall’architettura al design, dalla moda alla grafica, dalla musica alle arti visive e performative gettando in questo modo le basi per il riconoscimento artistico di Torino a livello internazionale.
A curare il primo ciclo di appuntamenti, che prosegue per tutto il 2013, è Maria Teresa Roberto, docente di Storia dell’Arte Contemporanea presso l’Accademia Albertina di Torino. Al progetto è dedicata la sala espositiva della GAM adiacente all’Exhibition Area. Al centro dell’attenzione sono poste di volta in volta opere, tracce di percorsi espositivi, progetti inediti, riferimenti a contesti extra-artistici; si tratta di frammenti eterogenei ma accomunati dal senso di stupore e meraviglia e di intensificazione delle energie vitali tipico di quegli anni.
Dopo la mostra dedicata ad Ugo Nespolo, il protagonista del secondo appuntamento è Pietro Gallina (Torino, 1937), che esordì nel 1967 con una personale alla galleria La Bertesca di Genova, avendo avviato da qualche tempo una originale ricerca incentrata sulla rappresentazione di figure umane e animali.
L’ombra e il profilo sono stati da lui utilizzati come metonimie della figura umana, e in queste icone bidimensionali si condensa una ricchezza di osservazioni e particolari che rendono attuale il loro abitare lo spazio espositivo. Presenze diverse – gli archetipi della madre e del bambino, alcuni ritratti (inedito quello di Aldo Passoni), un uomo specchiante, l’ombra di una giovane donna seduta (donata dall’artista alla GAM nel 1967 per il Museo di Arte Sperimentale) e quella di una scultura di Giacometti – dialogano in mostra tra loro e con i riguardanti, o riflettono e inquadrano l’ambiente che le incornicia.
Dopo aver lavorato sul tema della silhouette, Gallina affrontò il paradosso dell’impronta, nella serie effimera delle Nevigrafie e, per contrasto, nell’opera in bronzo del 1970 presentata qui per la prima volta, in cui è fissata per sempre la traccia di un suo passo.
Si ringraziano per la collaborazione alla mostra Paola e Giorgio De Ferrari, il Corso di Laurea in Conservazione e Restauro dei Beni Culturali dell’Università di Torino e la Scuola di Alta Formazione e Studio Centro di Conservazione e Restauro “La Venaria Reale”.
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