Daniel Buren. Una cosa tira l'altra, lavori in situ e situati, 1965-2015 / Josè Yaque. Scavare
Dal 21 Febbraio 2015 al 11 Aprile 2015
San Gimignano | Siena
Luogo: Galleria Continua
Indirizzo: via del Castello 11
Orari: da lunedì a sabato 10-13 / 14-19
Telefono per informazioni: +39 0577 943134
E-Mail info: info@galleriacontinua.com
Sito ufficiale: http://www.galleriacontinua.com
Daniel Buren. Una cosa tira l’altra, lavori in situ e situati, 1965-2015
Il percorso espositivo si compone di un nutrito numero di quadri storici allestiti nelle sale al primo piano della galleria e di un’opera inedita, di grandi dimensioni, che l’artista concepisce appositamente per la platea dell’ex cinema teatro.
Daniel Buren comincia la sua carriera negli anni Sessanta sviluppando da subito una pittura che tende sia all’abbandono intenzionale dell’emotività, che all’indifferenza per il soggetto narrativo e che radicalizza l’opera in un puro rapporto tra il supporto e la forma.
A partire dal 1965 Buren comincia ad utilizzare una stoffa da tende rigata, le cui componenti diventano base della sua grammatica visiva: strisce verticali alternate bianche e colorate, larghe 8,7 cm. Nel 1967 inizia ad esplorare le potenzialità delle strisce a contrasto come segno, passando così dall’oggetto-pittura a ciò che l’artista stesso definisce "uno strumento visivo", e fa stampare la carta a strisce. Un motivo fabbricato industrialmente che risponde al suo desiderio di oggettività e con il quale sottolinea le superfici più varie.
Nel campo delle arti plastiche, Daniel Buren inventa la nozione di “in situ” per caratterizzare una pratica intrinsecamente legata alle specificità topologiche e culturali dei luoghi dove le opere sono presentate.
Colori primari, piatti, lisci, senza accenni a sfumature. Geometria e astrazione. Buren utilizza questa semplificazione di dispositivi in un gran numero di opere “in situ”. Le sue strisce, declinate in colori e materiali diversi, abbandonano il terreno di una pura dichiarazione per approdare a una ridefinizione dello spazio pubblico o privato. Interprete attento della dimensione spazio-temporale con la quale l’opera dialoga, l’artista scompone e ricrea una collezione infinita di nuovi mondi riverberati ed astratti.
L’opera di Daniel Buren propone una lettura critica dell’oggetto d’arte affrontando tematiche relative alla visibilità dell’opera e alla definizione del suo statuto. Al centro della sua ricerca la volontà di rovesciare i modelli dati, mediante la moltiplicazione dei punti di vista ma anche il capovolgimento delle prospettive attraverso interferenze visive.
L’impalcatura che Buren realizza con tubi metallici nella platea del cinema teatro, apre a letture imprevedibili dello spazio, le strisce a contrasto disegnano un camminamento aereo che offre nuove prospettive di osservazione: un affaccio a dir poco inusuale su “Planes with Broken Bands of Color (San Gimignano)”, il walldrawing progettato da Sol Lewitt per la platea nel 2004 e realizzato nel 2009, così come una serie di punti d’approdo visivi che offrono nuove prospettive sulle altre opere in mostra. La passerella che Daniel Buren concepisce per la platea raggiunge, dunque, diversi punti di quello che in origine era lo spazio dedicato alla galleria e ai palchi, creando non solo un nuovo modo di percorrere lo spazio ma anche inattesi punti di vista all’interno dello stesso. L’intenzione di Buren come artista è quella di rendere il contesto dell'opera visibile allo spettatore: lo spazio, la luce, ma anche risvegliare la coscienza di chi guarda e creare consapevolezza nel senso più ampio possibile.
Il lavoro di Daniel Buren ridefinisce il luogo in cui si verifica l'opera d'arte, dimostrando la complessità e un approccio ideologico all'arte e di ogni forma di esperienza. Con questo gesto, Buren sposta i confini dell'arte visiva, e apre la strada a una nuova interazione tra arte e vita.
Daniel Buren vanta attività nei più famosi centri di arte contemporanea del mondo. Nato a Boulone-Billancourt (Parigi) il 25.03.38, ama ridurre la propria biografia affermando che “vive e lavora in situ”.
Nel 1986, su commissione del Presidente della Repubblica Francese Mitterrand, l’artista realizza nel cortile d'onore del Palais Royal la sua opera permanente più discussa "Le Deux Plateaux”. Nello stesso anno rappresenta la Francia al Padiglione dei Giardini della Biennale di Venezia, vincendo il Leone d'Oro. Musei come il Beaubourg Centre Pompidou di Parigi, nel 2002, o il Guggenheim di New York, nel 2005, gli hanno dedicato ampie mostre personali e la sua presenza non manca nelle più accreditate collezioni pubbliche e private di tutto il mondo. Nel 2007 è stato insignito del prestigioso Praemium Imperiale. Nel 2012 ha esposto al Gran Palais di Parigi in occasione della quinta edizione di Monumenta.
Josè Yaque. Scavare
Scavare - questo è il titolo della personale che concepisce per San Gimignano - è la prima mostra che l’artista realizza in Italia. José Yaque si confronta con la peculiarità degli spazi della galleria realizzando due opere site specific e presentando una serie di dipinti inediti.
L’intimo legame che per José Yaque tiene insieme arte e vita permette all’artista di stabilire un collegamento continuo tra arte, individuo e natura. La sua opera è il racconto di una visione: quella dell’incontro tra l’uomo e l’universo.
I quadri che l’artista presenta all’Arco dei Becci sono come grandi finestre aperte su un paesaggio; materici, vibranti, sono roccia fusa che si attacca alla tela e acquisisce nuova forma. La forza e la sensualità della tecnica pittorica che Yaque utilizza per realizzare i suoi dipinti potrebbe essere paragonata alla pittura gestuale; in realtà l’artista entra in una nuova forma dialettica con la tela vuota, mettendo in atto una sorta di azione performativa che non si manifesta come parte del lavoro ma che certamente è determinante nel risultato. José Yaque usa esclusivamente le mani per mescolare i colori e per stenderli sulla tela. Scava per arrivare alla fonte, per trovare la fonte della vita raggiungendo una trasposizione sensoriale che si trasmette sulle tele con un processo metodico, quasi rituale. I colori si fondono, creano linee discontinue, formano un magma che viene nuovamente trasformato quando l’artista avvolge i quadri con una pellicola di plastica. Terminato il processo di essiccazione, rimuove lo strato protettivo e il risultato è una pittura erosa, la plastica esercita sulla tela lo stesso effetto che vento e acqua esercitano sulla superficie terrestre.
Parlando del titolo della mostra, Scavare, Yaque afferma: “Ho in mente questo titolo da parecchio tempo. Scavare, nel senso di far emergere ciò che è occulto, celato, è un’espressione che definisce in questo momento il mio processo creativo o le cose che mi interessano in questo processo”. L’artista interviene nel giardino della galleria con un’istallazione che dialoga idealmente con l’altra opera site specific che realizza all’interno del cinema-teatro, nello spazio torre. L’elemento poetico e simbolico che mette in atto il passaggio tra dentro e fuori è la finestra. “Penso che l’installazione di una finestra aperta sul suolo rappresenti la necessità di portar fuori qualcosa da un luogo nascosto. In quest’ottica vedo anche tutte le altre opere che ho scelto di presentare a questa mostra. Anche da un punto di vista più ampio, la mia pratica artistica è un tentativo di rispondere ad una chiamata, che sta sempre alla base del mio operare. Ad esempio, in questo momento l’invito che mi ha rivolto Galleria Continua è come un appello, una chiamata che proviene da ciò che non conosco. La galleria è come una finestra aperta che mi permette di entrare in contatto con la terra ma anche di abbandonare ciò che è nascosto per uscire fuori”.
José Yaque nasce a Manzanillo, Cuba, nel 1985. Vive e lavora a L’Avana. Dal 2004 fino al 2009 espone in numerose mostre collettive e personali all’Avana, nel 2010 partecipa alla prima Biennale di Arte Contemporanea del Portogallo ed espone al Wasps Artists’ Studios, a Glasgow in Inghilterra. L’anno successivo prende parte ad una mostra collettiva a Madrid, nel 2012 è nuovamente a Glasgow per il Festival Internazionale di Arte Visiva. Nello stesso anno vince una residenza a Varsavia; in Polonia l’artista espone all’interno della Zacheta Project Room della Galleria Nazionale d’Arte di Varsavia nella mostra collettiva “Fragmentos” e realizza, presso la Galleria Nazionale d’Arte Zacheta, la sua prima personale fuori dai confini nazionali. In questa mostra, dal titolo dal “Wisla”, espone una serie di disegni di grande formato ed un video che hanno come soggetto Wisla, il fiume che attraversa Varsavia. Nel 2013 prende parte alla mostra collettiva “Senderos de Bosque” presso l’Emerson College/ Ruskin East G. Floor a Forest Row in Inghilterra. Da questa esperienza, unitamente al lavoro elaborato a Varsavia, nasce il ciclo di disegni Millennium Bridge.
Il percorso espositivo si compone di un nutrito numero di quadri storici allestiti nelle sale al primo piano della galleria e di un’opera inedita, di grandi dimensioni, che l’artista concepisce appositamente per la platea dell’ex cinema teatro.
Daniel Buren comincia la sua carriera negli anni Sessanta sviluppando da subito una pittura che tende sia all’abbandono intenzionale dell’emotività, che all’indifferenza per il soggetto narrativo e che radicalizza l’opera in un puro rapporto tra il supporto e la forma.
A partire dal 1965 Buren comincia ad utilizzare una stoffa da tende rigata, le cui componenti diventano base della sua grammatica visiva: strisce verticali alternate bianche e colorate, larghe 8,7 cm. Nel 1967 inizia ad esplorare le potenzialità delle strisce a contrasto come segno, passando così dall’oggetto-pittura a ciò che l’artista stesso definisce "uno strumento visivo", e fa stampare la carta a strisce. Un motivo fabbricato industrialmente che risponde al suo desiderio di oggettività e con il quale sottolinea le superfici più varie.
Nel campo delle arti plastiche, Daniel Buren inventa la nozione di “in situ” per caratterizzare una pratica intrinsecamente legata alle specificità topologiche e culturali dei luoghi dove le opere sono presentate.
Colori primari, piatti, lisci, senza accenni a sfumature. Geometria e astrazione. Buren utilizza questa semplificazione di dispositivi in un gran numero di opere “in situ”. Le sue strisce, declinate in colori e materiali diversi, abbandonano il terreno di una pura dichiarazione per approdare a una ridefinizione dello spazio pubblico o privato. Interprete attento della dimensione spazio-temporale con la quale l’opera dialoga, l’artista scompone e ricrea una collezione infinita di nuovi mondi riverberati ed astratti.
L’opera di Daniel Buren propone una lettura critica dell’oggetto d’arte affrontando tematiche relative alla visibilità dell’opera e alla definizione del suo statuto. Al centro della sua ricerca la volontà di rovesciare i modelli dati, mediante la moltiplicazione dei punti di vista ma anche il capovolgimento delle prospettive attraverso interferenze visive.
L’impalcatura che Buren realizza con tubi metallici nella platea del cinema teatro, apre a letture imprevedibili dello spazio, le strisce a contrasto disegnano un camminamento aereo che offre nuove prospettive di osservazione: un affaccio a dir poco inusuale su “Planes with Broken Bands of Color (San Gimignano)”, il walldrawing progettato da Sol Lewitt per la platea nel 2004 e realizzato nel 2009, così come una serie di punti d’approdo visivi che offrono nuove prospettive sulle altre opere in mostra. La passerella che Daniel Buren concepisce per la platea raggiunge, dunque, diversi punti di quello che in origine era lo spazio dedicato alla galleria e ai palchi, creando non solo un nuovo modo di percorrere lo spazio ma anche inattesi punti di vista all’interno dello stesso. L’intenzione di Buren come artista è quella di rendere il contesto dell'opera visibile allo spettatore: lo spazio, la luce, ma anche risvegliare la coscienza di chi guarda e creare consapevolezza nel senso più ampio possibile.
Il lavoro di Daniel Buren ridefinisce il luogo in cui si verifica l'opera d'arte, dimostrando la complessità e un approccio ideologico all'arte e di ogni forma di esperienza. Con questo gesto, Buren sposta i confini dell'arte visiva, e apre la strada a una nuova interazione tra arte e vita.
Daniel Buren vanta attività nei più famosi centri di arte contemporanea del mondo. Nato a Boulone-Billancourt (Parigi) il 25.03.38, ama ridurre la propria biografia affermando che “vive e lavora in situ”.
Nel 1986, su commissione del Presidente della Repubblica Francese Mitterrand, l’artista realizza nel cortile d'onore del Palais Royal la sua opera permanente più discussa "Le Deux Plateaux”. Nello stesso anno rappresenta la Francia al Padiglione dei Giardini della Biennale di Venezia, vincendo il Leone d'Oro. Musei come il Beaubourg Centre Pompidou di Parigi, nel 2002, o il Guggenheim di New York, nel 2005, gli hanno dedicato ampie mostre personali e la sua presenza non manca nelle più accreditate collezioni pubbliche e private di tutto il mondo. Nel 2007 è stato insignito del prestigioso Praemium Imperiale. Nel 2012 ha esposto al Gran Palais di Parigi in occasione della quinta edizione di Monumenta.
Josè Yaque. Scavare
Scavare - questo è il titolo della personale che concepisce per San Gimignano - è la prima mostra che l’artista realizza in Italia. José Yaque si confronta con la peculiarità degli spazi della galleria realizzando due opere site specific e presentando una serie di dipinti inediti.
L’intimo legame che per José Yaque tiene insieme arte e vita permette all’artista di stabilire un collegamento continuo tra arte, individuo e natura. La sua opera è il racconto di una visione: quella dell’incontro tra l’uomo e l’universo.
I quadri che l’artista presenta all’Arco dei Becci sono come grandi finestre aperte su un paesaggio; materici, vibranti, sono roccia fusa che si attacca alla tela e acquisisce nuova forma. La forza e la sensualità della tecnica pittorica che Yaque utilizza per realizzare i suoi dipinti potrebbe essere paragonata alla pittura gestuale; in realtà l’artista entra in una nuova forma dialettica con la tela vuota, mettendo in atto una sorta di azione performativa che non si manifesta come parte del lavoro ma che certamente è determinante nel risultato. José Yaque usa esclusivamente le mani per mescolare i colori e per stenderli sulla tela. Scava per arrivare alla fonte, per trovare la fonte della vita raggiungendo una trasposizione sensoriale che si trasmette sulle tele con un processo metodico, quasi rituale. I colori si fondono, creano linee discontinue, formano un magma che viene nuovamente trasformato quando l’artista avvolge i quadri con una pellicola di plastica. Terminato il processo di essiccazione, rimuove lo strato protettivo e il risultato è una pittura erosa, la plastica esercita sulla tela lo stesso effetto che vento e acqua esercitano sulla superficie terrestre.
Parlando del titolo della mostra, Scavare, Yaque afferma: “Ho in mente questo titolo da parecchio tempo. Scavare, nel senso di far emergere ciò che è occulto, celato, è un’espressione che definisce in questo momento il mio processo creativo o le cose che mi interessano in questo processo”. L’artista interviene nel giardino della galleria con un’istallazione che dialoga idealmente con l’altra opera site specific che realizza all’interno del cinema-teatro, nello spazio torre. L’elemento poetico e simbolico che mette in atto il passaggio tra dentro e fuori è la finestra. “Penso che l’installazione di una finestra aperta sul suolo rappresenti la necessità di portar fuori qualcosa da un luogo nascosto. In quest’ottica vedo anche tutte le altre opere che ho scelto di presentare a questa mostra. Anche da un punto di vista più ampio, la mia pratica artistica è un tentativo di rispondere ad una chiamata, che sta sempre alla base del mio operare. Ad esempio, in questo momento l’invito che mi ha rivolto Galleria Continua è come un appello, una chiamata che proviene da ciò che non conosco. La galleria è come una finestra aperta che mi permette di entrare in contatto con la terra ma anche di abbandonare ciò che è nascosto per uscire fuori”.
José Yaque nasce a Manzanillo, Cuba, nel 1985. Vive e lavora a L’Avana. Dal 2004 fino al 2009 espone in numerose mostre collettive e personali all’Avana, nel 2010 partecipa alla prima Biennale di Arte Contemporanea del Portogallo ed espone al Wasps Artists’ Studios, a Glasgow in Inghilterra. L’anno successivo prende parte ad una mostra collettiva a Madrid, nel 2012 è nuovamente a Glasgow per il Festival Internazionale di Arte Visiva. Nello stesso anno vince una residenza a Varsavia; in Polonia l’artista espone all’interno della Zacheta Project Room della Galleria Nazionale d’Arte di Varsavia nella mostra collettiva “Fragmentos” e realizza, presso la Galleria Nazionale d’Arte Zacheta, la sua prima personale fuori dai confini nazionali. In questa mostra, dal titolo dal “Wisla”, espone una serie di disegni di grande formato ed un video che hanno come soggetto Wisla, il fiume che attraversa Varsavia. Nel 2013 prende parte alla mostra collettiva “Senderos de Bosque” presso l’Emerson College/ Ruskin East G. Floor a Forest Row in Inghilterra. Da questa esperienza, unitamente al lavoro elaborato a Varsavia, nasce il ciclo di disegni Millennium Bridge.
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