Ugo Attardi. Eros
Dal 29 Maggio 2014 al 27 Settembre 2014
Roma
Luogo: Ulisse Gallery Contemporary Art
Indirizzo: via Capo le Case 32
Orari: dal lunedì al venerdì 11-19
Curatori: Carlo Ciccarelli, Gianluca Ciccarelli, Silvia Pegoraro
Costo del biglietto: ingresso gratuito
Telefono per informazioni: +39 06 69380596
E-Mail info: info@ulissegallery.com
Sito ufficiale: http://www.ulissegallery.com
Giovedì 29 maggio 2014, alle ore 18, la Ulisse Gallery Contemporary Art inaugurerà la nuova prestigiosa sede di Via Capo le Case 32 in Roma, in cui si è da poco trasferita, con la mostra UGO ATTARDI - EROS (a cura di Carlo Ciccarelli, Gianluca Ciccarelli e Silvia Pegoraro), che sarà visitabile sino al 27 settembre 2014: una cinquantina di opere tra dipinti, sculture e disegni, tutte facenti parte dell’Archivio Storico Ugo Attardi di Roma (di cui Carlo Ciccarelli è procuratore e del cui consiglio direttivo fa parte Andrea Attardi, figlio dell’artista). Si tratta di un affascinante percorso antologico attraverso uno dei temi in cui meglio si è manifestata la potente e “perturbante” vena espressiva del grande artista di origini siciliane: il tema dell’erotismo. In esposizione, fra l’altro, alcuni capolavori storici come i dipinti Gli amanti di via Flaminia (1955) o Rosea nella vaga luce (1955), o le monumentali sculture lignee La vuelta de Cristobál Colón (1980) (con l’omologo, splendido dipinto La vuelta del ’79) e La Donna Cantante (1984), qui di nuovo visibile dopo molti anni di assenza dalla scena delle mostre. Una posizione da protagonista assumerà anche la dimensione intima e raffinata del disegno, che mette in luce nei dettagli la tecnica personalissima di Attardi, insieme istintiva e profondamente concettuale. Sarà presente anche una serie di disegni di argomento erotico assolutamente inediti, di grande impatto emotivo e forza provocatoria, realizzati da Attardi nell’ultimo periodo della sua vita.
In occasione della mostra, la Ulisse Gallery e la Comunità di Sant’Egidio, supportate dalle società sportive A.S. Roma e la S.S. Lazio, hanno organizzato un evento benefico, i cui proventi saranno devoluti a favore dell’attività di assistenza svolta dalla stessa Comunità di Sant’Egidio. La A.S. Roma e la S.S. Lazio hanno aderito entusiasticamente al progetto, e all’inaugurazione della mostra saranno presenti significative personalità in loro rappresentanza.
Ugo Attardi, dopo le prime ricerche astratte del periodo della sua partecipazione a Forma 1, approda a una figurazione nutrita da una potente vena narrativa e descrittiva – in qualche modo “letteraria”- per esprimere una sorta di realismo visionario. Prende le mosse da una bruciante realtà referenziale, da un vissuto individuale o collettivo, venato di problematiche etiche e morali, per dare poi vita a uno spazio onirico in cui mito e realtà si annodano inscindibilmente, dramma e sogno si snodano reciprocamente. La visione secondo la quale esperisce il mondo, Attardi la imbeve della propria esperienza, e, per usare un termine da lui coniato e a lui assai caro, la “esistenzia” in una crisi. "Crisi" equivale etimologicamente a "trapasso", "passaggio": il trapassare delle forme le une nelle altre, degli eventi gli uni negli altri. Krisis come passaggio del colore nello spessore, della linea nella materia, della forma nel "fantasma", della "carne del mondo" (Merleau-Ponty) nel miraggio onirico. I lavori di Attardi presentano così sempre un doppio registro: hanno una base accessibile a una percezione "referenziale" della realtà, e un punto di fuga, un vortice che risucchia l'immagine in un "altrove": così, nello spazio della composizione, il reperto fisico perde i connotati del reale per assumere valori altri, paradigmatici, originari, fantastico-mitologici, surreale. Cifra stilistica inconfondibile della sua arte diventa ben presto la presenza centrale di corpi umani ben torniti, “scolpiti”, classicheggianti, ma anche allungati in slanci manieristi o tormentati da taglienti tratti espressionisti (evidenti soprattutto nel disegno e nell’incisione) su sfondi spesso surreali o tendenti all’astrazione, fatti di geometrie imperfette e come liquefatte.
Infatti i corpi umani dipinti sin dalla sua prima fase figurativa esprimono una sorta di inarginabile “nostalgia” per la scultura, di desiderio indomabile per la corporeità fisica della terza dimensione. E un corpo solido e conturbante conquisteranno a partire dal 1967, negli splendidi gruppi scultorei lignei di Attardi, e più tardi anche nelle sue sculture in bronzo e in marmo.
In un saggio famoso, Jean Clair scrive che “è fuor di dubbio che l’occhio, se da una parte ha a che vedere con la legge, la regola, il nomos, dall’altra ha a che fare anche con il desiderio, la sregolatezza e il disordine. In virtù di questo fatto, uno dei temi forse più sensibili nell’ambito del quale si è esercitata la sua attività, è stato, da sempre, il tema del nudo.” E il nudo, Attardi lo affronta spesso con la crudele tenerezza di un Egon Schiele, o con la malinconia che confina sempre col grottesco di Goya… Ci dice che arte è ciò che rivela lo skandalon, ovvero l’insidia, gli inganni, le trappole del reale, mettendo in discussione, del reale stesso, la facile riconoscibilità e la trasparenza. Rigore e istinto, esattezza e immediatezza si mescolano in una forte tensione nei confronti della realtà, una realtà che prende forma fisica nei corpi attraverso un tormento interiore infinito . Attardi sembra “orientare” il corpo in due direzioni opposte: all’una attribuisce purezza, divinità, immortalità; all’altra contaminazione, animalità, corrutibilità. L'eros è il nodo cruciale di queste due direzioni. Per questo la visione erotica di Attardi sposta continuamente il baricentro dell’interpretazione dal piacere al dolore, dalla tenerezza al sadismo, dal languido abbandono alla crudele aggressività. Dalla bellezza senza difese di Paolo e Francesca alla minacciosa bestialità di John Hawkins. Dall’incanto estatico all’ossessione e al delirio.
Quel che è certo è che Attardi non subisce il mondo, lo sfida. La sua scultura è la manifestazione più alta di questa sfida: le sculture di Attardi riportano sempre all’intuizione vitale e tragica della forza che le ha originate, di un’energia che si pone in lotta perenne con la processualità tecnica.
Talora - come nella formidabile La vuelta de Cristobál Colón, 1980 - l'artista scava la materia-carne, fino a prosciugarne le compagini strutturali, come se "scorticasse" le sue figure per conservarne solo l'essenza: la struttura dinamica, il circuito energetico. Un’impressione che danno anche molte delle sue figure disegnate su carta, in particolare a matita e a china. Soprattutto i disegni erotici – protagonisti di questa mostra - nelle loro molteplici varianti, non di rado crude, inquietanti e provocatorie. In questo senso le opere su carta di Attardi costituiscono il vero punto critico della sua arte: quel punto di passaggio, di trasformazione, tra passato e futuro, tra realtà e allucinazione, tra classicismo ed espressionismo.
Nato presso Genova da genitori siciliani, all’età di un anno si trasferisce con loro a Palermo, dove il regime fascista li costringe a tornare, a causa dell’attività sindacale del padre. Fondamentale nel suo percorso d’artista l’approdo a Roma, nel 1945, dove frequenta lo studio di Guttuso, e già nel 1947 entra nel vivo del dibattito artistico partecipando (insieme ad Accardi, Consagra, Dorazio, Guerrini, Perilli, Sanfilippo e Turcato) alla fondazione di “Forma 1”, il primo gruppo astrattista italiano del secondo dopoguerra. Poco dopo avverte però un rinnovato impulso verso la figurazione, sia pure visionaria e problematica, e si allontana definitivamente dall’esperienza astratta, senza tuttavia dimenticarne alcune conquiste formali: dà vita a una personale poetica “classico-espressionista”, fondata su una drammatica compresenza degli opposti: bellezza “classica” e deformità, tenerezza e violenza, fisicità e onirismo.
A partire dagli anni Cinquanta partecipa più volte alla Biennale di Venezia e alla Quadriennale di Roma, e tiene grandi mostre personali nei più importanti spazi espositivi italiani. Nel 1961 aderisce al gruppo “Il Pro e il Contro”, accanto a Calabria, Farulli, Gianquinto, Guccione e Vespignani. Scrive il romanzo L’erede selvaggio, pubblicato nel 1970, e per il quale ottiene nel 1971 il Premio Viareggio per la narrativa. Nel 1967 avvia una fervida attività di scultore e nascono, dopo L' Addio Che Guevara del 1968, alcuni gruppi lignei tra cui L'Arrivo di Pizarro del 1969-71, e bronzi improntati a forte sensualità.
Sue sculture monumentali sono collocate nelle principali capitali europee e mondiali. Fra di esse Il Vascello della Rivoluzione (1988), a Roma, presso il Palazzo dello Sport; Nelle Americhe, del 1992, a Buenos Aires; il celebre Ulisse, del 1996, a New York; Enea (2004), presso il porto della Valletta (Malta). Il grande Cristo del 2002 è entrato a far parte delle collezioni dei Musei Vaticani.
Nel 2006 l’artista riceve dal Presidente Carlo Azeglio Ciampi il titolo di Grand’Ufficiale della Repubblica, per i suoi meriti artistici e per aver saputo diffondere e valorizzare in tutto il mondo il genio e la creatività italiani. Muore a Roma il 21 luglio dello stesso anno.
In occasione della mostra, la Ulisse Gallery e la Comunità di Sant’Egidio, supportate dalle società sportive A.S. Roma e la S.S. Lazio, hanno organizzato un evento benefico, i cui proventi saranno devoluti a favore dell’attività di assistenza svolta dalla stessa Comunità di Sant’Egidio. La A.S. Roma e la S.S. Lazio hanno aderito entusiasticamente al progetto, e all’inaugurazione della mostra saranno presenti significative personalità in loro rappresentanza.
Ugo Attardi, dopo le prime ricerche astratte del periodo della sua partecipazione a Forma 1, approda a una figurazione nutrita da una potente vena narrativa e descrittiva – in qualche modo “letteraria”- per esprimere una sorta di realismo visionario. Prende le mosse da una bruciante realtà referenziale, da un vissuto individuale o collettivo, venato di problematiche etiche e morali, per dare poi vita a uno spazio onirico in cui mito e realtà si annodano inscindibilmente, dramma e sogno si snodano reciprocamente. La visione secondo la quale esperisce il mondo, Attardi la imbeve della propria esperienza, e, per usare un termine da lui coniato e a lui assai caro, la “esistenzia” in una crisi. "Crisi" equivale etimologicamente a "trapasso", "passaggio": il trapassare delle forme le une nelle altre, degli eventi gli uni negli altri. Krisis come passaggio del colore nello spessore, della linea nella materia, della forma nel "fantasma", della "carne del mondo" (Merleau-Ponty) nel miraggio onirico. I lavori di Attardi presentano così sempre un doppio registro: hanno una base accessibile a una percezione "referenziale" della realtà, e un punto di fuga, un vortice che risucchia l'immagine in un "altrove": così, nello spazio della composizione, il reperto fisico perde i connotati del reale per assumere valori altri, paradigmatici, originari, fantastico-mitologici, surreale. Cifra stilistica inconfondibile della sua arte diventa ben presto la presenza centrale di corpi umani ben torniti, “scolpiti”, classicheggianti, ma anche allungati in slanci manieristi o tormentati da taglienti tratti espressionisti (evidenti soprattutto nel disegno e nell’incisione) su sfondi spesso surreali o tendenti all’astrazione, fatti di geometrie imperfette e come liquefatte.
Infatti i corpi umani dipinti sin dalla sua prima fase figurativa esprimono una sorta di inarginabile “nostalgia” per la scultura, di desiderio indomabile per la corporeità fisica della terza dimensione. E un corpo solido e conturbante conquisteranno a partire dal 1967, negli splendidi gruppi scultorei lignei di Attardi, e più tardi anche nelle sue sculture in bronzo e in marmo.
In un saggio famoso, Jean Clair scrive che “è fuor di dubbio che l’occhio, se da una parte ha a che vedere con la legge, la regola, il nomos, dall’altra ha a che fare anche con il desiderio, la sregolatezza e il disordine. In virtù di questo fatto, uno dei temi forse più sensibili nell’ambito del quale si è esercitata la sua attività, è stato, da sempre, il tema del nudo.” E il nudo, Attardi lo affronta spesso con la crudele tenerezza di un Egon Schiele, o con la malinconia che confina sempre col grottesco di Goya… Ci dice che arte è ciò che rivela lo skandalon, ovvero l’insidia, gli inganni, le trappole del reale, mettendo in discussione, del reale stesso, la facile riconoscibilità e la trasparenza. Rigore e istinto, esattezza e immediatezza si mescolano in una forte tensione nei confronti della realtà, una realtà che prende forma fisica nei corpi attraverso un tormento interiore infinito . Attardi sembra “orientare” il corpo in due direzioni opposte: all’una attribuisce purezza, divinità, immortalità; all’altra contaminazione, animalità, corrutibilità. L'eros è il nodo cruciale di queste due direzioni. Per questo la visione erotica di Attardi sposta continuamente il baricentro dell’interpretazione dal piacere al dolore, dalla tenerezza al sadismo, dal languido abbandono alla crudele aggressività. Dalla bellezza senza difese di Paolo e Francesca alla minacciosa bestialità di John Hawkins. Dall’incanto estatico all’ossessione e al delirio.
Quel che è certo è che Attardi non subisce il mondo, lo sfida. La sua scultura è la manifestazione più alta di questa sfida: le sculture di Attardi riportano sempre all’intuizione vitale e tragica della forza che le ha originate, di un’energia che si pone in lotta perenne con la processualità tecnica.
Talora - come nella formidabile La vuelta de Cristobál Colón, 1980 - l'artista scava la materia-carne, fino a prosciugarne le compagini strutturali, come se "scorticasse" le sue figure per conservarne solo l'essenza: la struttura dinamica, il circuito energetico. Un’impressione che danno anche molte delle sue figure disegnate su carta, in particolare a matita e a china. Soprattutto i disegni erotici – protagonisti di questa mostra - nelle loro molteplici varianti, non di rado crude, inquietanti e provocatorie. In questo senso le opere su carta di Attardi costituiscono il vero punto critico della sua arte: quel punto di passaggio, di trasformazione, tra passato e futuro, tra realtà e allucinazione, tra classicismo ed espressionismo.
Nato presso Genova da genitori siciliani, all’età di un anno si trasferisce con loro a Palermo, dove il regime fascista li costringe a tornare, a causa dell’attività sindacale del padre. Fondamentale nel suo percorso d’artista l’approdo a Roma, nel 1945, dove frequenta lo studio di Guttuso, e già nel 1947 entra nel vivo del dibattito artistico partecipando (insieme ad Accardi, Consagra, Dorazio, Guerrini, Perilli, Sanfilippo e Turcato) alla fondazione di “Forma 1”, il primo gruppo astrattista italiano del secondo dopoguerra. Poco dopo avverte però un rinnovato impulso verso la figurazione, sia pure visionaria e problematica, e si allontana definitivamente dall’esperienza astratta, senza tuttavia dimenticarne alcune conquiste formali: dà vita a una personale poetica “classico-espressionista”, fondata su una drammatica compresenza degli opposti: bellezza “classica” e deformità, tenerezza e violenza, fisicità e onirismo.
A partire dagli anni Cinquanta partecipa più volte alla Biennale di Venezia e alla Quadriennale di Roma, e tiene grandi mostre personali nei più importanti spazi espositivi italiani. Nel 1961 aderisce al gruppo “Il Pro e il Contro”, accanto a Calabria, Farulli, Gianquinto, Guccione e Vespignani. Scrive il romanzo L’erede selvaggio, pubblicato nel 1970, e per il quale ottiene nel 1971 il Premio Viareggio per la narrativa. Nel 1967 avvia una fervida attività di scultore e nascono, dopo L' Addio Che Guevara del 1968, alcuni gruppi lignei tra cui L'Arrivo di Pizarro del 1969-71, e bronzi improntati a forte sensualità.
Sue sculture monumentali sono collocate nelle principali capitali europee e mondiali. Fra di esse Il Vascello della Rivoluzione (1988), a Roma, presso il Palazzo dello Sport; Nelle Americhe, del 1992, a Buenos Aires; il celebre Ulisse, del 1996, a New York; Enea (2004), presso il porto della Valletta (Malta). Il grande Cristo del 2002 è entrato a far parte delle collezioni dei Musei Vaticani.
Nel 2006 l’artista riceve dal Presidente Carlo Azeglio Ciampi il titolo di Grand’Ufficiale della Repubblica, per i suoi meriti artistici e per aver saputo diffondere e valorizzare in tutto il mondo il genio e la creatività italiani. Muore a Roma il 21 luglio dello stesso anno.
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