Reflecting Reality
Dal 18 Maggio 2020 al 30 Settembre 2020
Roma
Luogo: Galleria Valentina Bonomo
Indirizzo: via del Portico d'Ottavia 13
Orari: su appuntamento
Il progetto Reflecting Reality presenta le opere di undici artisti di diverse generazioni e provenienza che dialogano fra loro attraverso la propria indagine artistica sulla realtà contemporanea e sulle sue direzioni. Accomunati da un interesse verso la materialità del nostro tempo e le sue forme, gli artisti in mostra decodificano e sperimentano gli stimoli sensoriali esterni traducendoli in opere realizzate con tecniche diverse, dalle più tradizionali come la pittura e la scultura a quelle più peculiari. Ne emerge una forma di “nuovo impressionismo” in cui volti e oggetti, protagonisti di questa collettiva, vengono estrapolati dal contesto quotidiano e tradotti come immagini riflesso della realtà e della memoria personale degli artisti.
“Nelle pieghe della materia. L’arte all’epoca del coronavirus”
di Valentino Catricalà
C’è un “effetto realtà” che torna e ritorna nell’arte contemporanea. Quell’effetto di cui parla anche il critico d’arte americano Hal Foster e che riemerge ogni volta che “una cultura visiva è sempre più amministrata da un mondo dell'arte dominato da figure promozionali con scarso spirito critico, e da un mondo mediale di aziende di comunicazione e intrattenimento che non ha alcun interesse per qualsivoglia analisi critica”. E’ ciò che abbiamo sentito tante volte nel mondo dell’arte globalizzato, un mondo finanziario, in apparenza scollegato da qualsiasi forma di contenuto artistico. Tutto questo prima del cosiddetto coronavirus, della pandemia che ha svuotato un sistema capitalistico globale.
Ed eccoci qui, noi, immersi in una nuova situazione esistenziale che ha improvvisamente bloccato e cambiato gli elementi caratterizzanti ben descritti nella frase di Foster. Quella cultura mediale da azienda di comunicazione e intrattenimento, quelle figure promozionali con le quali l’arte sembrava sempre più connessa oggi vacillano davanti a una emergenza sanitaria senza precedenti. È in questi casi che il bisogno di “realtà” torna a presentarsi come elemento principale. Un bisogno che si presenta come rapporto con la materia, sia dei materiali stessi che compongono l’opera, sia della matericità dei soggetti.
Riflettere sulla realtà, mentre la realtà si riflette nella nostra contemporaneità, una nuova consapevolezza con cui guardare all’arte: è questo verso cui la mostra si orienta. Una mostra non a caso ideata in questo periodo e pensata per questo periodo. Non ci saranno opening, infatti, o eventi paralleli, ma sarà sperimentato una integrazione tra fisicità della mostra e fisicità virtuale del web.
Ed ecco che, una volta entrati nella sala, un volto ci appare. In apparenza un volto perché, a ben guardare, più che un volto è una testa rigirata. Una testa non rivolta verso di noi, ma verso la direzione opposta, verso un ipotetico orizzonte al di là del quadro. E’ l’opera di Julian Opie che sembra già indicarci una direzione concettuale della mostra: niente volti, nessuna introspezione psicologica, solo la materialità più radicale della materia.
Il volto è presente in questa mostra attraverso anche le opere di Stephan Balkenhol e M’Barek Bouhchichi, due artisti che indagano in modo diverso il volto come membrana, come linea di separazione tra mondo interiore, psicologico, ed esteriore, sociale. Più che andare verso l’espressività interiore, entrambi ci portano nell’uomo come animale sociale, alla continua ricerca di un nuovo ambiente da abitare. Il volto, così, diventa oggetto, non c’è la possibilità di una introspezione, fisica o psicologica. Lo vediamo nelle opere qui esposte di Miltos Manetas dove i corpi scompaiono dietro cavi, computer, schermi, dove l’oggetto in se stesso diventa corpo, protagonista della composizione espositiva. Nessun volto è riconoscibile, nessuna personalità.
E’ la rappresentazione di una umanità che cambia. Questa nostra condizione ci sta facendo ripensare ai nostri bisogni primari, ci sta facendo esseri in ricerca di una nuova matericità. Come nelle opere di Alonso Cedillo Mata, dove a essere protagonisti sono gli oggetti tecnologici, principali rappresentanti della nostra attuale condizione.
Ed ecco che appare un tubetto di ketchup decontestualizzato dal suo luogo “naturale” – la tavola, la cucina – per entrare nell’immaginario più naturale di tutti, il giardino come luogo floreale, un luogo dove There is Beuty in Everything, come scritto sul tubetto stesso nell’opera di Florence Di Benedetto. O l’oggetto ripreso come in una natura morta nella sua fisicità più radicale come nelle opere Serge De Vries; o ricontestualizzato nei mondi magici di Emiliano Maggi.
Ironicamente Franco Dellerba oggettualizza non solo il nostro mondo sociale, ma anche quello animale, nei suoi “teatrini” ispirati alla tradizione pugliese. Così come Edison Paskaj spezzetta la realtà in tanti frammenti, rimontati, come in una pellicola cinematografica, come in una continua ricerca nei meandri della materia.
Oggi più che mai il concetto di "realtà" torna ad essere fondamentale per la comprensione del nostro quotidiano.Una realtà che si presenta in tutta la sua forza materica, come impressione di un nuovo ambiente di vita da abitare. E' questo ambiente che gli artisti cercano di comprendere in un tempo di sospensione e di incertezza come quello che stiamo vivendo. Ed è in questa sospensione che si torna a guardare a elementi che ci sembravano marginali e secondari, agli elementi che compongo i nostri ambienti di vita, come facce, oggetti, corpi, estrapolati dal loro contesto e ricontestualizzati in nuovi ambienti. Questa forse è l'importanza di questa mostra: riflettere sul presente e, allo stesso tempo, esserne riflessi, l'arte alla ricerca di una nuova realtà in tempo di crisi.
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