Giuseppe Capogrossi. Catalogo ragionato. Tomo primo (1924-1949)
Dal 09 Ottobre 2013 al 09 Ottobre 2013
Roma
Luogo: Galleria nazionale d'arte moderna
Indirizzo: viale delle Belle Arti 131
Orari: dalle 17.30
Curatori: Guglielmo Capogrossi
Telefono per informazioni: +39 06 32298221/ 06 32298328
E-Mail info: s-gnam.uffstampa@beniculturali.it
Sito ufficiale: http://www.gnam.beniculturali.it
Mercoledì 9 ottobre 2013, ore 17.30
alla Galleria nazionale d’arte moderna di Roma sarà presentato il volume:
Giuseppe Capogrossi. Catalogo ragionato. Tomo primo (1924-1949), pubblicato daSkira editore. Introduce: Maria Vittoria Marini Clarelli. Intervengono: Valerio Rivosecchi, Carla Fendi, Bruno Mantura. Saranno inoltre presenti i curatori del catalogo.
Questo tomo del Catalogo ragionato dell’opera di Giuseppe Capogrossi (Roma 1900-1972) - voluto dalla Fondazione Archivio Capogrossi - è curato da Guglielmo Capogrossi, Presidente della Fondazione Archivio Capogrossi e da Francesca Romana Morelli, docente di Storia dell’Arte Contemporanea presso l’Accademia di Belle Arti di Napoli, membro del Comitato scientifico della Fondazione. Il volume è stato realizzato anche grazie al contributo di Fendi, che continua così quel suo legame con Capogrossi, di cui acquistò l’opera Il temporale (in copertina), poi donata alla Galleria nazionale d’arte moderna. Quella per Capogrossi, allora e oggi, è per Fendi una “scelta sentimentale”, per la profonda consonanza con un artista che ha saputo rappresentare e interpretare Roma, la vita del tempo, le luci, il fiume, con spirito nuovo e idealmente affine alla ricerca che l’azienda ha intrapreso fin dal 1925.
Il volume raccoglie per la prima volta in modo esaustivo la ricerca del pittore dai suoi esordi fino al 1949, cioè fino alla nascita del segno. Si scopre, leggendo il saggio introduttivo, che questa conquista iconografica è stata preceduta da una lenta e travagliata crisi artistica durata una decina di anni. Il volume mostra come l’artista - fin dalla formazione avvenuta negli anni venti- metta a punto in maniera innata quegli strumenti e quelle scelte operative di fondo, che lo porteranno a diventare uno dei massimi esponenti della corrente informale in campo internazionale.
Nel volume sono catalogati, insieme ai lavori più conosciuti, anche numerosissimi inediti e opere finora disperse, che hanno permesso di ricostruire il percorso di acquisizione da parte dell’artista di una propria identità figurativa, che lo ha reso una delle figure di maggiore rilevanza nell’ambito della Scuola romana e più in generale del panorama artistico italiano, in un diretto confronto con la cultura parigina degli anni Trenta. Non meno importante è il successivo periodo, iniziato alla fine dello stesso decennio, quando l’artista avverte la necessità interiore di sperimentare nuove strade per il suo linguaggio: “Al principio ho usato immagini naturali, paragoni o affinità derivate dal mondo visibile – dichiarerà più tardi Capogrossi – poi ho cercato di esprimere direttamente il senso dello spazio che era dentro di me e che realizzavo compiendo gli atti di ogni giorno”. Negli anni Quaranta il tema delle “ballerine”, insieme ad articolate nature morte, si declina infine in un gruppo di opere che rielaborano i moduli figurativi in una direzione sempre più astratta, fino all’invenzione del suo famoso “segno”.
Nel Catalogo sono presentate circa 600 opere ordinate cronologicamente e suddivise per tecnica (dipinti, opere su carta, grafica), ciascuna corredata da una dettagliata scheda tecnico-critica. Completano lo studio saggi critici dei due autori e un’introduzione di Bruno Mantura al quale si deve la riscoperta, negli anni settanta, del Capogrossi figurativo, in occasione della grande mostra personale dell’artista alla Galleria nazionale d’arte moderna (1974-1975).
A conclusione, un esteso regesto biografico e una bibliografia con pretesa di completezza, in modo che il catalogo possa rivelarsi un utile strumento di lavoro per gli studiosi, gli addetti ai lavori, ma anche per gli appassionati.
GIUSEPPE CAPOGROSSI (Roma, 1900-1972)
Il padre appartiene a un'antica e nobile famiglia romana, quella dei conti Capogrossi Guarna. Una figura determinante per l'artista è un fratello della madre, Pietro Tacchi Venturi, segretario generale della Compagnia del Gesù, che tiene i rapporti tra il Vaticano e Mussolini ed è un autorevole storico delle religioni. Dopo gli studi classici, nel 1918 combatte sull'Adamello (Trentino). Nel 1922 consegue la laurea in giurisprudenza, ma, nonostante le reticenze della famiglia, alla fine intraprende la strada dell’arte. Nel 1923 passa nella Scuola di Nudo di Felice Carena, a Roma tra le più accreditate. Qui diventa amico del pugliese Emanuele Cavalli e di Fausto Pirandello, figlio del celebre commediografo. Intorno al 1925 frequenta la Casa d’Arte Bragaglia. Esordisce nel 1927 in una collettiva con Cavalli e Francesco Di Cocco, allestita nell’Hotel Dinesen. Tra il 1927 e il 1931 soggiorna più volte a Parigi, anche se tuttora rimane scarsa la documentazione. Nel 1931 stringe un sodalizio con Cavalli e Corrado Cagli, sostenuto da Pier Maria Bardi, intelligente e lungimirante direttore della Galleria di Roma, che cercherà con un abile programma di portarlo al successo a Parigi. Nel 1933 a Milano il sodalizio è presentato come "Gruppo dei nuovi pittori romani" nella Galleria del Milione, cuore dell’astrattismo italiano. In ottobre i tre decidono di stilare il Manifesto del Primordialismo Plastico, ma a causa di divergenze teoriche sciolgono il sodalizio. In dicembre a Parigi Capogrossi espone tuttavia con Cagli, Cavalli all’Exposition des Peintres Romains nella Galerie Jacques Bonjean, presentati dal potente critico Waldemar George come École de Rome.
Nel 1935 a Roma alla II Quadriennale presenta un gruppo di opere, tra cui Giocatoredi ping-pong (1932-‘33; Galleria d'Arte Moderna di Roma Capitale), Ritratto muliebre (1932 circa; Galleria Nazionale d'Arte Moderna, Roma) e Piena sul Tevere (1934, collezione privata) tra i suoi capolavori del periodo tonale, insieme pure a Ballo sul fiume, inviato alla Biennale di Venezia del 1936. La critica lo riconosce tra i protagonisti del rinnovamento della pittura romana. Nel 1937 è presente in tre mostre internazionali: nel The 1937 International Exhibition of Paintings di Pittsburgh, (USA) nell’Anthology of Contemporary Italian Painting della Cometa Art Gallery di New York e una rassegna di arte italiana nell'Akademie der Kunste di Berlino. Nel 1939 ha una sala personale alla III Quadriennale di Roma. Nel 1942 vince un premio al IV Premio Bergamo. Avvia una trasformazione nella sua pittura (riflettendo anche su Cézanne): la pennellata si anima e il colore si accende nelle gamme dei rossi, viola e arancio. Nel 1946 inaugura nella Galleria San Marco la suo prima personale, a carattere antologico. Dal 1947 torna spesso sulle montagne austriache (Lienz), dove disegna aspetti della realtà circostante, che gli ispirano forme sempre più geometrizzate. Nel 1948 alla Biennale veneziana presenta Le due chitarre (1948; Galleria Nazionale d'Arte Moderna, Roma) un’opera cerniera tra la fase figurativa e quella astratta. Nel 1950 a Roma esordisce con il segno nella Galleria del Secolo, suscitando scandalo tra la critica. Nel 1964 Capogrossi dichiarerà di essere semplicemente in una fase più avanti del figurativo, in cui le forme naturali non sono più imitate ma assimilate.
alla Galleria nazionale d’arte moderna di Roma sarà presentato il volume:
Giuseppe Capogrossi. Catalogo ragionato. Tomo primo (1924-1949), pubblicato daSkira editore. Introduce: Maria Vittoria Marini Clarelli. Intervengono: Valerio Rivosecchi, Carla Fendi, Bruno Mantura. Saranno inoltre presenti i curatori del catalogo.
Questo tomo del Catalogo ragionato dell’opera di Giuseppe Capogrossi (Roma 1900-1972) - voluto dalla Fondazione Archivio Capogrossi - è curato da Guglielmo Capogrossi, Presidente della Fondazione Archivio Capogrossi e da Francesca Romana Morelli, docente di Storia dell’Arte Contemporanea presso l’Accademia di Belle Arti di Napoli, membro del Comitato scientifico della Fondazione. Il volume è stato realizzato anche grazie al contributo di Fendi, che continua così quel suo legame con Capogrossi, di cui acquistò l’opera Il temporale (in copertina), poi donata alla Galleria nazionale d’arte moderna. Quella per Capogrossi, allora e oggi, è per Fendi una “scelta sentimentale”, per la profonda consonanza con un artista che ha saputo rappresentare e interpretare Roma, la vita del tempo, le luci, il fiume, con spirito nuovo e idealmente affine alla ricerca che l’azienda ha intrapreso fin dal 1925.
Il volume raccoglie per la prima volta in modo esaustivo la ricerca del pittore dai suoi esordi fino al 1949, cioè fino alla nascita del segno. Si scopre, leggendo il saggio introduttivo, che questa conquista iconografica è stata preceduta da una lenta e travagliata crisi artistica durata una decina di anni. Il volume mostra come l’artista - fin dalla formazione avvenuta negli anni venti- metta a punto in maniera innata quegli strumenti e quelle scelte operative di fondo, che lo porteranno a diventare uno dei massimi esponenti della corrente informale in campo internazionale.
Nel volume sono catalogati, insieme ai lavori più conosciuti, anche numerosissimi inediti e opere finora disperse, che hanno permesso di ricostruire il percorso di acquisizione da parte dell’artista di una propria identità figurativa, che lo ha reso una delle figure di maggiore rilevanza nell’ambito della Scuola romana e più in generale del panorama artistico italiano, in un diretto confronto con la cultura parigina degli anni Trenta. Non meno importante è il successivo periodo, iniziato alla fine dello stesso decennio, quando l’artista avverte la necessità interiore di sperimentare nuove strade per il suo linguaggio: “Al principio ho usato immagini naturali, paragoni o affinità derivate dal mondo visibile – dichiarerà più tardi Capogrossi – poi ho cercato di esprimere direttamente il senso dello spazio che era dentro di me e che realizzavo compiendo gli atti di ogni giorno”. Negli anni Quaranta il tema delle “ballerine”, insieme ad articolate nature morte, si declina infine in un gruppo di opere che rielaborano i moduli figurativi in una direzione sempre più astratta, fino all’invenzione del suo famoso “segno”.
Nel Catalogo sono presentate circa 600 opere ordinate cronologicamente e suddivise per tecnica (dipinti, opere su carta, grafica), ciascuna corredata da una dettagliata scheda tecnico-critica. Completano lo studio saggi critici dei due autori e un’introduzione di Bruno Mantura al quale si deve la riscoperta, negli anni settanta, del Capogrossi figurativo, in occasione della grande mostra personale dell’artista alla Galleria nazionale d’arte moderna (1974-1975).
A conclusione, un esteso regesto biografico e una bibliografia con pretesa di completezza, in modo che il catalogo possa rivelarsi un utile strumento di lavoro per gli studiosi, gli addetti ai lavori, ma anche per gli appassionati.
GIUSEPPE CAPOGROSSI (Roma, 1900-1972)
Il padre appartiene a un'antica e nobile famiglia romana, quella dei conti Capogrossi Guarna. Una figura determinante per l'artista è un fratello della madre, Pietro Tacchi Venturi, segretario generale della Compagnia del Gesù, che tiene i rapporti tra il Vaticano e Mussolini ed è un autorevole storico delle religioni. Dopo gli studi classici, nel 1918 combatte sull'Adamello (Trentino). Nel 1922 consegue la laurea in giurisprudenza, ma, nonostante le reticenze della famiglia, alla fine intraprende la strada dell’arte. Nel 1923 passa nella Scuola di Nudo di Felice Carena, a Roma tra le più accreditate. Qui diventa amico del pugliese Emanuele Cavalli e di Fausto Pirandello, figlio del celebre commediografo. Intorno al 1925 frequenta la Casa d’Arte Bragaglia. Esordisce nel 1927 in una collettiva con Cavalli e Francesco Di Cocco, allestita nell’Hotel Dinesen. Tra il 1927 e il 1931 soggiorna più volte a Parigi, anche se tuttora rimane scarsa la documentazione. Nel 1931 stringe un sodalizio con Cavalli e Corrado Cagli, sostenuto da Pier Maria Bardi, intelligente e lungimirante direttore della Galleria di Roma, che cercherà con un abile programma di portarlo al successo a Parigi. Nel 1933 a Milano il sodalizio è presentato come "Gruppo dei nuovi pittori romani" nella Galleria del Milione, cuore dell’astrattismo italiano. In ottobre i tre decidono di stilare il Manifesto del Primordialismo Plastico, ma a causa di divergenze teoriche sciolgono il sodalizio. In dicembre a Parigi Capogrossi espone tuttavia con Cagli, Cavalli all’Exposition des Peintres Romains nella Galerie Jacques Bonjean, presentati dal potente critico Waldemar George come École de Rome.
Nel 1935 a Roma alla II Quadriennale presenta un gruppo di opere, tra cui Giocatoredi ping-pong (1932-‘33; Galleria d'Arte Moderna di Roma Capitale), Ritratto muliebre (1932 circa; Galleria Nazionale d'Arte Moderna, Roma) e Piena sul Tevere (1934, collezione privata) tra i suoi capolavori del periodo tonale, insieme pure a Ballo sul fiume, inviato alla Biennale di Venezia del 1936. La critica lo riconosce tra i protagonisti del rinnovamento della pittura romana. Nel 1937 è presente in tre mostre internazionali: nel The 1937 International Exhibition of Paintings di Pittsburgh, (USA) nell’Anthology of Contemporary Italian Painting della Cometa Art Gallery di New York e una rassegna di arte italiana nell'Akademie der Kunste di Berlino. Nel 1939 ha una sala personale alla III Quadriennale di Roma. Nel 1942 vince un premio al IV Premio Bergamo. Avvia una trasformazione nella sua pittura (riflettendo anche su Cézanne): la pennellata si anima e il colore si accende nelle gamme dei rossi, viola e arancio. Nel 1946 inaugura nella Galleria San Marco la suo prima personale, a carattere antologico. Dal 1947 torna spesso sulle montagne austriache (Lienz), dove disegna aspetti della realtà circostante, che gli ispirano forme sempre più geometrizzate. Nel 1948 alla Biennale veneziana presenta Le due chitarre (1948; Galleria Nazionale d'Arte Moderna, Roma) un’opera cerniera tra la fase figurativa e quella astratta. Nel 1950 a Roma esordisce con il segno nella Galleria del Secolo, suscitando scandalo tra la critica. Nel 1964 Capogrossi dichiarerà di essere semplicemente in una fase più avanti del figurativo, in cui le forme naturali non sono più imitate ma assimilate.
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