E dimmi che non vuoi morire: il mito di Niobe

© Ph. Quirino Berti per Istituto Villa Adriana e Villa d'Este

 

Dal 06 Luglio 2018 al 23 Settembre 2018

Tivoli | Roma

Luogo: Santuario di Ercole Vincitore

Indirizzo: via degli Stabilimenti 5

Curatori: Andrea Bruciati, Micaela Angle

Enti promotori:

  • Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo

Costo del biglietto: Santuario di Ercole Vincitore: intero € 8, ridotto € 5.50; mostra e Villa Adriana intero € 15, ridotto € 7.50. Gratuità secondo normativa vigente

Telefono per prevendita: +39 0639967900

E-Mail info: va-ve@beniculturali.it

Sito ufficiale: http://www.villaadriana.beniculturali.it/



L’Istituto Villa Adriana e Villa d’Este è lieto di presentare la mostra E dimmi che non vuoi morire: il mito di Niobe, con cui il 6 luglio 2018 inaugura la prima stagione espositiva nelle vesti di nuovo organismo autonomo del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo. Ideato in occasione dell’anniversario della morte del poeta Ovidio, il progetto espositivo si sviluppa nell’Antiquarium del Santuario di Ercole Vincitore, dove sarà allestito un gruppo scultoreo di Niobì di rinvenuto nei pressi di Ciampino nel 2012.

In questa occasione le statue vengono presentate per la prima volta al pubblico dopo complesse operazioni di restauro. Partendo proprio dal gruppo di Ciampino, l’esposizione esplora il mito di Niobe all’interno della tradizione attraverso un’attenta analisi dell’evoluzione e della fortuna di esso nei secoli: dall’iconografia della violenza nel Rinascimento si passa al XX secolo e si arriva fino al nuovo millennio, quando il tema è declinato in stilemi e rappresentazioni figurative che interessano l’attualità, come il genocidio e la guerra. Se uno degli obiettivi del progetto scientifico è quello di celebrare Ovidio, si vuole però qui vivificare, attraverso l’analisi di un episodio delle Metamorfosi, un racconto lungo oltre duemila anni, dove l’interpretazione e l’eredità del mito vengono intesi quasi come storytelling mutante e impressivo.

Inserita in spazi generalmente adibiti all’arte antica, la mostra infrange la divisione tra passato e contemporaneo così come quello tra esposizione temporanea e collezione permanente, ipotizzando una commistione trasversale di questi logoi che metta in luce le caratteristiche intrinseche ai siti che compongono il nuovo Istituto. Interamente modellato attraverso piattaforme diacroniche di pensiero, il progetto propone infatti un percorso non soltanto visivo, ma anche letterario, immaginario e musicale, ispirandosi alla poesia stessa del grande poeta romano. Oltre al gruppo scultoreo centrale, l’esposizione presenta un ampio panorama di capolavori che nei secoli hanno riguardato la vicenda di Niobe. Il progetto espositivo si compone infatti di pregiate ceramiche antiche a figure rosse, come quella del Pittore di Arpi rappresentante Andromeda e Niobe, insieme ai marmi bianchi proveniente dai secoli successivi e ai fregi rinascimentali realizzati da Polidoro da Caravaggio, fino al celebre Nudo e Albero firmato da Mario Sironi degli anni ’30 del ‘900 e alRed Carpet di Giulio Paolini che esprime l’atrocità della strage in chiave contemporanea.

All’iniziativa espositiva si integra una pubblicazione capace di offrire una panoramica esaustiva a livello iconografico in cui il mito viene approfondito attraverso le indagini più recenti che riguardano tutto il settore dei beni culturali, legate all’affascinante storia di Niobe.
Il progetto intende affrontare un tema iconografico poco indagato dalla storia dell’arte occidentale, riflettendo in parallelo alla riattualizzazione di concetti come quelli di «mito» e di «classico» alla luce di una sensibilità tutta contemporanea. Il racconto di Niobe, nella sua articolata declinazione, ben si collega infatti ad una realtà anche oggi di difficile decifrazione e dove il rimando alle fonti può costituire un canale esegetico privilegiato.

Analizzare le elaborazioni figurali e narrative in un ampio arco diacronico, indagandone i confini culturali, psicologici ed antropologici, oltre ad approfondire una ricerca di ordine scientifico, alimenta una sorta di inedita tensione intellettuale per il visitatore che si relaziona a vicende misconosciute ai più.

Seguendo modalità museografiche eterodosse, essendo inserita in spazi generalmente adibiti a deposito di reperti archeologici, la mostra infrange pertanto la divisione fra passato e presente così come quello fra esposizione temporanea e collezione permanente, ipotizzando una commistione trasversale di questi logoi e mettendo in luce le caratteristiche intrinseche ai siti che compongono il dna del nuovo Istituto. Interamente modellata attraverso piattaforme di pensiero trasversali, il progetto propone infatti un percorso non limitato all’esperienza visiva ma che si arricchisce di addentellati letterari, musicali, simbolici ispirandosi alla poesia stessa di Ovidio secondo modalità osmotiche totalizzanti che ne fanno una sorta di opera d’arte totale contemporanea, dalle radici antiche.

Andrea Bruciati
Il mito, inteso come narrazione investita di sacralità, può “spiegare” l’ordine profondo che regola l’esistenza, come la vita e la morte, i successi e le sconfitte, la natura e i fenomeni che ci circondano, tutto ciò che è accaduto e che accadrà.
Attraverso gli intermediari con il mondo divino - sacerdoti, celebranti e ogni ministro del culto - il mito aiuta ed indirizza nell’interpretazione della realtà, cercando di superare e risolvere le contraddizioni della natura o della società.
I racconti mitici appartengono, quindi, al patrimonio collettivo dei popoli: sono “luoghi” esemplari della cultura, espressioni archetipe, tipologie dense di riferimenti culturali, religiosi, morali e sociali, celati dietro immagini e simboli. “Lingua, mito, musica, matematica: tutto è un procedimento di simbolizzazione, che dunque può essere decriptato, fatto divenire modello conscio anziché inconscio. Perciò non è reale la distinzione tra pensiero mitico e pensiero scientifico, né la contrapposizione tra «primitivo» e «civilizzato»”

L’eccidio dei regali Niobidi da parte degli dei e la successiva trasformazione della madre addolorata in roccia, da cui sgorga una fonte d’acqua, offre diversi gradi di lettura; la vicenda dei Niobidi può essere scomposta in più mitemi: la presenza di un regno (Tebe), i suoi legittimi sovrani (Anfione e Niobe), la fortuna del regno (espressa dalla prolificità dei regnanti), l’eliminazione della stirpe e dei regnanti.
Un secondo tema, che può essere considerato del tutto separato, è la manifestazione del dolore e, invece della morte, la trasformazione in roccia e in fonte d’acqua perenne: la metamorfosi di Niobe descritta da Ovidio.
La prima parte del mito è fortemente legata all’importanza dellapolis di Tebe, e al ruolo e alla posizione dei regnanti. L’arroganza della regina Niobe che avoca a sé, per merito di prolificità, onori e beni destinati agli dei è il pretesto della strage dei suoi figli. La casata reale perde, quindi, la sua discendenza e pertanto non potrà trasmettere, legittimamente, l’autorità e il potere di governare il regno.
La morte violenta dei discendenti è un elemento mitico e narrativo diffuso, laddove si riscontri una lotta tra poteri: basti pensare
alla decima piaga d’Egitto (morte di tutti i primogeniti maschi, compreso il figlio del Faraone), alla strage degli Innocenti (morte dei bambini maschi, voluta da Erode), ai diversi martirologi ebraici e cristiani come i Sette Maccabei e i Sette figli di Santa Sinforosa.

Osservando le dinamiche delle strutture politiche e sociali dell’antichità vedremo come gli imperi orientali, compreso l’Egitto abbiano costruito la legittimazione del potere attraverso la discendenza diretta. Mentre le città stato greche e il mondo romano non sono mai riusciti a dare continuità alla discendenza del sangue, utilizzando - di volta in volta - strutture diverse (come la parentela incrociata o l’adozione).
Ma sempre il sistema fallisce, perché sovvertito dalla categoria aristocratica. Le vicende tebane descrivono una continua alternanza di sovrani che non riescono a mantenere, per più di una generazione, il potere.

La rappresentazione artistica della vicenda mitologica invia, quindi, un feroce monito ai rappresentanti della regalità o di un potere egemonico.

Micaela Angle   Il gruppo scultoreo scoperto nel 2012 a Ciampino (Roma), durante ricerche archeologiche eseguite dall’allora Soprintendenza per i Beni Archeologici del Lazio, viene esposto in questa mostra per la prima volta al pubblico, dopo complesse operazioni di restauro.

I Niobidi di Ciampino sono stati recuperati all’interno di una piscina annessa ad una villa di prima età imperiale (fine I sec. a. C. – II sec. d. C.). Le statue facevano parte di un gruppo, probabilmente replica di un originale più antico. Solo alcune delle 13 o 15 sculture marmoree originariamente presenti, sono state rinvenute: quelle dei figli potevano verosimilmente essere allestite attorno alla piscina, mentre Niobe, di cui si è preservata solo la testa, doveva occupare un basamento in peperino al centro della medesima vasca. In tal modo, la madre, per sempre fissata nella pietra come nel racconto della tradizione, alimentava idealmente con le proprie lacrime la piscina, in un gioco di rimandi tra il mito e la sua rappresentazione. Non erano probabilmente rappresentati Apollo e Artemide, artefici dell’eccidio, la cui invisibilità doveva accrescere la drammaticità della scena, ben esprimendo l’imperscrutabilità del volere e della punizione divina.
L’interesse del ciclo deriva proprio dalla possibilità di coglierne il contesto, che ne amplifica i significati, sebbene, sulla base dei più recenti restauri, la sistemazione delle statue attorno alla piscina paia essere stata adottata per queste sculture solo in seconda battuta.

Il restauro
Il restauro del gruppo statuario dei Niobidi, rinvenuto nella piscina di una villa d’età romana a Ciampino (RM), è stato di particolare impegno a causa dell’avanzato stato di corrosione del marmo. Le superfici delle sculture erano di difficile lettura perché rivestite da uno spesso strato di terra che non era possibile rimuovere senza asportare grani di marmo. Anche nelle zone con meno incrostazioni era evidente un’avanzata corrosione della pietra che aveva perso la superficie originaria e si presentava erosa e disgregata.

Al momento della campionatura, il terreno di giacitura risultava composto di quarzo, pirosseno, analcime, feldspati e biotite. Anche se le analisi non attestano la presenza di composizioni aggressive, il marmo, che appare macroscopicamente a grana grossa, ha subito in prima istanza danni derivati da sbalzi termici, quando le statue erano ancora sistemate attorno alla piscina. Successivamente si è aggiunto un degrado di tipo chimico nel momento in cui il gruppo, ormai in disuso, è rimasto interrato nella vasca. Il fenomeno della disgregazione del marmo è stato accentuato dalla presenza della terra argillosa che si è andata ad inserire all’interno dei cristalli liberi, determinandone la colorazione bruna. Il problema più urgente era quello di fermare il degrado, consolidando il marmo, ma eliminando più terra possibile prima di effettuare tale consolidamento.  
Un primo intervento di restauro, curato dalla CBC Conservazione Beni Culturali e finanziato dall’allora Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici del Lazio, è consistito pertanto nella rimozione della terra, eseguita dapprima con mezzi meccanici e poi con laser. Si è effettuato l’incollaggio di piccoli frammenti non eccessivamente pesanti mediante apposita combinazione di resina e silice, senza necessità di perni.

Un secondo intervento, finalizzato alla ricomposizione, allo studio e alla realizzazione dei supporti per la staticità e la movimentazione, è stato affidato alla Ditta Carlo Usai e finanziato dalla Confederazione Elvetica, nel quadro di un accordo bilaterale Italia-Svizzera. In questa fase sono stati ricomposti dei frammenti ritenuti pertinenti ad alcune sculture. L’eventuale spazio tra i frammenti è stato colmato da integrazioni in malta o resina, secondo le necessità. Per risolvere tecnicamente il problema della stabilità delle opere sono stati realizzati inoltre appositi supporti, parzialmente vincolati alle basi nella superficie d’appoggio. Tale intervento è stato anche l’occasione per effettuare delle osservazioni sull’originario allestimento dei componenti del gruppo, in relazione al grado di inclinazione delle basi antiche.    Niobe, regina di Tebe, sarebbe stata la più fortunata delle madri, se tale non fosse sembrata a se stessa. «Sono felice; chi potrebbe negarlo? L’abbondanza di figli mi rese sicura. Immaginate che si sottragga qualche parte a questa moltitudine; benché privata, non mi ridurrò al numero di due, che è la prole di Latona.»
La dea si indigna e si rivolge ai figli, Apollo e Artemide, per essere vendicata.
Vicino alle mura di Tebe, in un campo pianeggiante, i figli maschi di Niobe si esercitano a cavallo. Lì, i gemelli divini fanno strage dei fanciulli con arco e frecce.
La notizia della sciagura e il dolore del popolo raggiungono Niobe, la quale si stupisce che gli dèi abbiano potuto ciò e si adira che abbiano osato: «Godi, crudele Latona, del mio dolore e sazia il cuore; son portata alla tomba da queste morti. A me infelice, però, restano più figli che a te; anche dopo tante morti sono superiore».
Ha appena finito di parlare che risuona dall’arco la corda che atterrisce tutti, eccetto Niobe, sfrontata anche nella sventura. Dopo che sei figlie sono state uccise, resta l’ultima; la madre, ricoprendola con il corpo dice: «Una sola, la più piccola, lasciamene; di molte te ne chiedo una sola».
E mentre prega, quella cade.
Privata della famiglia si accascia e diviene di pietra; l’aria non muove i capelli, il colore del viso è esangue, gli occhi sono immoti nel volto, niente di vivo è nel suo aspetto. Anche la lingua nel palato si irrigidisce e i polsi cessano di battere; il collo non può piegarsi, né le braccia muoversi, né i piedi camminare; anche le viscere sono pietra. Avvolta in un turbine di vento, viene trasportata nella sua patria e, sulla vetta di un monte, si stempera in pianto.
Tuttora il marmo stilla lacrime.

(liberamente tratto da OVIDIO, Metamorfosi, VI, 146-312)

Andrea Bruciati
Storico dell’arte, ha all’attivo numerosi progetti curatoriali e collabora attivamente con riviste di settore quali Flash Art, Artribune, Exibart e Cura.magazine. Ha diretto la Galleria Comunale d’Arte Contemporanea di Monfalcone dal 2002 al 2012. Grazie a quest’esperienza e a quella di direttore artistico della fiera ArtVerona e della Biennale di Giovani creativi dell’Europa 2015 (BJCEM 2015), è identificato come un promotore militante della ricerca contemporanea emergente.
Dal 2017 è alla guida del neo Istituto di Villa Adriana e Villa d’Este a Tivoli, a seguito della selezione pubblica internazionale indetta nel 2016 dal Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo.  
Micaela Angle
Specializzata in archeologia preistorica, è nell’organico del Ministero dei Beni Culturali dal 1981, presso la ex Soprintendenza per i Beni Archeologici del Lazio prima, e come funzionario responsabile del complesso monumentale del Santuario di Ercole Vincitore, successivamente.
Dal 1988 collabora con la Missione Archeologica Italiana in Turchia di Arslantepe e con il C.N.R.–Istituto per le Tecnologie Applicate
ai Beni Culturali. Dal 2001 svolge attività didattica nell’ambito di istituzioni scolastiche e universitarie tramite docenze, seminari e correlazioni, e coordina congressi e convegni annuali, curando la redazione degli atti relativi, tra cui “Museo e Territorio”.  
Orario: tutti i giorni 10-19; la domenica fino alle 22. La biglietteria chiude un'ora prima

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