Lugo ai tempi del colera. Testimonianze archeologiche e fonti documentarie sull'epidemia del 1855
Dal 12 Aprile 2014 al 22 Gennaio 2014
Lugo | Ravenna
Luogo: Manica Lunga dell'ex Convento del Carmine
Indirizzo: piazza Trisi 4
Orari: da lunedì a venerdì 9-12
Curatori: Chiara Guarnieri, Claudia Tempesta, Antonio Curzi
Costo del biglietto: ingresso gratuito
Telefono per informazioni: +39 054 538488
E-Mail info: claudia.tempesta-01@beniculturali.it
Sito ufficiale: http://www.archeobologna.beniculturali.it
Un nome, una data, a volte solo un’iniziale, il segno che si è esistiti e, quel che è peggio, passati da lì. Figli di un reato minore, certo, sennò finivano nel carcere di Ferrara, ma comunque galeotti, rinchiusi per furto, ricettazione, simpatie patriottiche.
Ci sono casi in cui, se piove, diluvia: alcuni di loro hanno dovuto patire due volte, la gattabuia e il vibrione. Che c’è di meglio di una cella umida, malsana, sovraffollata e promiscua per soccombere al contagio? Eppure, ironia della sorte, proprio il colera li ha sottratti all’oblio.
Gli scavi archeologici effettuati nella Rocca di Lugo hanno portato in luce il condotto usato come immondezzaio delle prigioni pontificie ubicate nel torrione detto “Mastio di Uguccione”. Da questo scarico provengono i reperti protagonisti, con documenti e lettere d’archivio, della mostra “Lugo ai tempi del colera”, allestita nella Manica Lunga dell'ex Convento del Carmine, in Piazza Trisi 4 a Lugo, fino al 22 gennaio 2015.
Promossa dal Comune di Lugo e dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia-Romagna, in collaborazione con il Comitato per lo studio e la tutela dei beni storici di Lugo, l'esposizione propone circa 150 oggetti usati dai detenuti e buttati in occasione dell’epidemia di colera del 1855. Si tratta per lo più di brocche, catini, ciotole, piatti in ceramica ingobbiata ed invetriata, fiasche, pitali, pentole e pedine da gioco, manufatti quasi tutti ottocenteschi, salvo un’esigua selezione di materiali dei secoli precedenti (XVII-XVIII) tra cui pentole da fuoco in ceramica invetriata e piatti in smaltata bianca o azzurra, tipo “Senigallia”.
L’interesse di questo materiale sta nei graffiti incisi dai carcerati, talora il nome, la provenienza, segni devozionali come piccole croci, a volte solo una tacca, a volte il lento scorrere degli anni di detenzione, 1835, 1836, 1837 ..., con il 1854 terminus post quem.
Ricerche d’archivio su queste incisioni hanno permesso di ricostruire le vicende personali e giudiziarie di alcuni detenuti, fornendo al tempo stesso uno spaccato di vita lughese alla vigilia dell’annessione al Regno di Sardegna.
I documenti raccontano molto di Stefano Ponzi, detto Massagnino, di professione “fachino”: accusato di ricettazione e recluso per oltre un anno, fu rilasciato nel 1855 nonostante la fama di sovversivo e di sicuro non è morto in carcere. Di “Nicola Belletti di San Lorenzo”, detenuto nel 1854, dicono solo che era nato il 26 giugno 1800 da tali Giuseppe e Santa Selva ma né di lui, né di Domenico Fenati e Luigi Caravita, Gaetano, Sante, Marcozzi, E.G., G.S. e gli altri incisori di nomi, croci, lettere e date sapremo forse mai le traversie umane e detentive.
In una mostra che parla di morti, galeotti e colera, va registrato il curioso caso di Francesco Scardovi, uno dei due medici attivi nel lazzaretto di Lugo dove, come recita la sua lapide nel cimitero monumentale, “con eroico zelo, tutto si diede al sollievo dei malati mentre qui infieriva il morbo”: il buon dottore non solo non è perito nel contagio ma è campato fino alla veneranda età di quasi 103 anni.
La mostra, curata dalle archeologhe della Soprintendenza per i Beni Archeologici dell'Emilia-Romagna, Chiara Guarnieri e Claudia Tempesta, e da Antonio Curzi del Comune di Lugo, rientra nell'iniziativa "Quante storie nella Storia" promossa dalla Soprintendenza Archivistica per l'Emilia-Romagna dal 5 all'11 maggio 2014.
Ci sono casi in cui, se piove, diluvia: alcuni di loro hanno dovuto patire due volte, la gattabuia e il vibrione. Che c’è di meglio di una cella umida, malsana, sovraffollata e promiscua per soccombere al contagio? Eppure, ironia della sorte, proprio il colera li ha sottratti all’oblio.
Gli scavi archeologici effettuati nella Rocca di Lugo hanno portato in luce il condotto usato come immondezzaio delle prigioni pontificie ubicate nel torrione detto “Mastio di Uguccione”. Da questo scarico provengono i reperti protagonisti, con documenti e lettere d’archivio, della mostra “Lugo ai tempi del colera”, allestita nella Manica Lunga dell'ex Convento del Carmine, in Piazza Trisi 4 a Lugo, fino al 22 gennaio 2015.
Promossa dal Comune di Lugo e dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia-Romagna, in collaborazione con il Comitato per lo studio e la tutela dei beni storici di Lugo, l'esposizione propone circa 150 oggetti usati dai detenuti e buttati in occasione dell’epidemia di colera del 1855. Si tratta per lo più di brocche, catini, ciotole, piatti in ceramica ingobbiata ed invetriata, fiasche, pitali, pentole e pedine da gioco, manufatti quasi tutti ottocenteschi, salvo un’esigua selezione di materiali dei secoli precedenti (XVII-XVIII) tra cui pentole da fuoco in ceramica invetriata e piatti in smaltata bianca o azzurra, tipo “Senigallia”.
L’interesse di questo materiale sta nei graffiti incisi dai carcerati, talora il nome, la provenienza, segni devozionali come piccole croci, a volte solo una tacca, a volte il lento scorrere degli anni di detenzione, 1835, 1836, 1837 ..., con il 1854 terminus post quem.
Ricerche d’archivio su queste incisioni hanno permesso di ricostruire le vicende personali e giudiziarie di alcuni detenuti, fornendo al tempo stesso uno spaccato di vita lughese alla vigilia dell’annessione al Regno di Sardegna.
I documenti raccontano molto di Stefano Ponzi, detto Massagnino, di professione “fachino”: accusato di ricettazione e recluso per oltre un anno, fu rilasciato nel 1855 nonostante la fama di sovversivo e di sicuro non è morto in carcere. Di “Nicola Belletti di San Lorenzo”, detenuto nel 1854, dicono solo che era nato il 26 giugno 1800 da tali Giuseppe e Santa Selva ma né di lui, né di Domenico Fenati e Luigi Caravita, Gaetano, Sante, Marcozzi, E.G., G.S. e gli altri incisori di nomi, croci, lettere e date sapremo forse mai le traversie umane e detentive.
In una mostra che parla di morti, galeotti e colera, va registrato il curioso caso di Francesco Scardovi, uno dei due medici attivi nel lazzaretto di Lugo dove, come recita la sua lapide nel cimitero monumentale, “con eroico zelo, tutto si diede al sollievo dei malati mentre qui infieriva il morbo”: il buon dottore non solo non è perito nel contagio ma è campato fino alla veneranda età di quasi 103 anni.
La mostra, curata dalle archeologhe della Soprintendenza per i Beni Archeologici dell'Emilia-Romagna, Chiara Guarnieri e Claudia Tempesta, e da Antonio Curzi del Comune di Lugo, rientra nell'iniziativa "Quante storie nella Storia" promossa dalla Soprintendenza Archivistica per l'Emilia-Romagna dal 5 all'11 maggio 2014.
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