Gerardo Di Fiore. O mythos deloi oti
Dal 12 Settembre 2013 al 11 Ottobre 2013
Napoli
Luogo: Museo Archeologico Nazionale
Indirizzo: piazza Museo Nazionale 19
Orari: 9-19.30; chiuso martedì
Curatori: Marco De Gemmis
Telefono per informazioni: +39 081 4422149
E-Mail info: ssba-na@beniculturali.it
Sito ufficiale: http://cir.campania.beniculturali.it/museoarcheologiconazionale/
Divinità pagane ed eroi della mitologia classica trovano odierna sepoltura per volontà di Gerardo Di Fiore. Il quale ha costruito un cimitero – luogo per custodire e ricordare e onorare i morti – dentro un altro luogo della memoria come il museo, e, con pertinenza, in un museo di cose antiche: sede in cui è consueto, più che nei libri o a teatro, andare a trovare quei personaggi: ma, diversamente che per le visite ai santi nelle chiese, è per la qualità artistica e l’interesse documentario delle loro rappresentazioni che ci si va, perché per nessuno, ormai, quei dei e quegli eroi sono oggetto di culto. È passato il loro tempo, da quel punto di vista.
Quelle di Di Fiore sono sepolture “monumentali” – perché hanno lapidi e nomi –, e poste, per giunta, al centro di un edificio, a sua volta monumentale, occupato da un celeberrimo istituto: un’invidiabile visibilità, se non un’apoteosi: non siamo quindi al cospetto d’una replica dell’affossamento degli dei greci e romani voluto da una cultura nuova e vincente; non è la pena della damnatio memoriae da scontare in un’anonima fossa comune.
Anche se qui Di Fiore seppellisce – e quindi si può pensare voglia sottolineare la fine di quelle mitiche creazioni dell’uomo –, esse restano comunque energie non esaurite: sono morti importanti e ingombranti, degni di stare al centro, archetipici enti di continuo evocati nelle quotidiane come nelle tecniche conversazioni, presenze capillarmente diffuse da celebrare. Con cui noi in qualche modo dobbiamo, e talvolta vogliamo, fare tuttora i conti: e Di Fiore nel suo lungo percorso artistico senz’altro lo ha voluto, chiedendo ripetutamente prestiti a quell’immenso repertorio.
Forse, quindi, questa installazione ci consegna un messaggio lusinghiero per i personaggi sepolti, che, grazie a magnifiche prove artistiche e letterarie dei secoli loro e di quelli successivi, sono sopravvissuti giganteggiando e con brillante freschezza ai logoramenti di una storia tanto lunga, e sono ritenuti degni ancora – in giorni che tutto sembrano minimizzare e divorare – di tante visite e rivisitazioni.
Eppure… Già, questo cimitero è comunque un’opera di opere in gommapiuma, la magnifica perché personalissima materia di Di Fiore: materia cui egli affida il compito di rappresentare il proprio coraggio di non durare troppo a lungo, di sintetizzare un tempo incerto e precario, di veicolare un linguaggio che dice nello stesso momento solennità e ironia, memoria di antiche forme e necessità di stravolgerle. L’artista crea, insomma, la sua ennesima creatura contraddittoria, in bilico fra solennità e leggerezza, magniloquenza e fragilità.
Di Fiore è ben consapevole dell’apertura della sua opera, visto che ci ha detto che "la ricerca del suo senso indurrà chi guarda a scavare, a estrarne un significato dopo l’altro come se fossero nascosti in scatole cinesi”. Possiamo e dobbiamo pensare, davanti a essa, in molteplici direzioni: altro che un’univoca “morale”, altro che “il racconto dimostra che…”!
Non si mette a fuoco un pensiero, non si fissa una buona volta un significato, che subito un altro ne viene a galla: è uno dei meriti delle opere d’arte.
Quelle di Di Fiore sono sepolture “monumentali” – perché hanno lapidi e nomi –, e poste, per giunta, al centro di un edificio, a sua volta monumentale, occupato da un celeberrimo istituto: un’invidiabile visibilità, se non un’apoteosi: non siamo quindi al cospetto d’una replica dell’affossamento degli dei greci e romani voluto da una cultura nuova e vincente; non è la pena della damnatio memoriae da scontare in un’anonima fossa comune.
Anche se qui Di Fiore seppellisce – e quindi si può pensare voglia sottolineare la fine di quelle mitiche creazioni dell’uomo –, esse restano comunque energie non esaurite: sono morti importanti e ingombranti, degni di stare al centro, archetipici enti di continuo evocati nelle quotidiane come nelle tecniche conversazioni, presenze capillarmente diffuse da celebrare. Con cui noi in qualche modo dobbiamo, e talvolta vogliamo, fare tuttora i conti: e Di Fiore nel suo lungo percorso artistico senz’altro lo ha voluto, chiedendo ripetutamente prestiti a quell’immenso repertorio.
Forse, quindi, questa installazione ci consegna un messaggio lusinghiero per i personaggi sepolti, che, grazie a magnifiche prove artistiche e letterarie dei secoli loro e di quelli successivi, sono sopravvissuti giganteggiando e con brillante freschezza ai logoramenti di una storia tanto lunga, e sono ritenuti degni ancora – in giorni che tutto sembrano minimizzare e divorare – di tante visite e rivisitazioni.
Eppure… Già, questo cimitero è comunque un’opera di opere in gommapiuma, la magnifica perché personalissima materia di Di Fiore: materia cui egli affida il compito di rappresentare il proprio coraggio di non durare troppo a lungo, di sintetizzare un tempo incerto e precario, di veicolare un linguaggio che dice nello stesso momento solennità e ironia, memoria di antiche forme e necessità di stravolgerle. L’artista crea, insomma, la sua ennesima creatura contraddittoria, in bilico fra solennità e leggerezza, magniloquenza e fragilità.
Di Fiore è ben consapevole dell’apertura della sua opera, visto che ci ha detto che "la ricerca del suo senso indurrà chi guarda a scavare, a estrarne un significato dopo l’altro come se fossero nascosti in scatole cinesi”. Possiamo e dobbiamo pensare, davanti a essa, in molteplici direzioni: altro che un’univoca “morale”, altro che “il racconto dimostra che…”!
Non si mette a fuoco un pensiero, non si fissa una buona volta un significato, che subito un altro ne viene a galla: è uno dei meriti delle opere d’arte.
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