Aulo Pedicini: il percorso dell’anima
Dal 12 Marzo 2016 al 26 Marzo 2016
Pozzuoli | Napoli
Luogo: Atelier Controsegno
Indirizzo: via Napoli 201
Orari: dal martedì al sabato 10-14 / 16-20; domenica 16-19.30. Lunedì e festivi chiuso
Curatori: Veronica Longo
Telefono per informazioni: +39 339 8735267
E-Mail info: controsegno@libero.it
Sito ufficiale: http://www.controsegno.com
Sabato 12 marzo 2016, alle ore 18.00, si inaugura l’esposizione dell’artista Aulo Pedicini, a cura di Veronica Longo, all’Atelier Controsegno, in Via Napoli 201, Pozzuoli, Napoli (lungomare Bagnoli, nei pressi della stazione Cumana Dazio).
Per questa speciale occasione saranno proiettate delle diapositive storiche che mostrano il percorso del Maestro e ci sarà una dimostrazione di stampa con una sua lastra originale.
Alcuni viaggi terminano in fretta, altri sono infiniti perché riguardano il percorso dell’anima… e come Ulisse alla ricerca della sua Itaca, così Pedicini si dedica incessantemente al suo tragitto.
Le sue opere, senza dubbio, hanno tanti legami con l’atavica cultura classica: sculture acefale o alate dai fluttuanti pepli, colonne ioniche, forme taurine che ci riportano al Minotauro e i labirinti di Cnosso; tutto ci riconduce al binomio inscindibile tra l’uomo e la donna, il bene e il male, la luce e l’ombra…
Aulo Pedicini, di origine beneventana, classe 1942, ha una formazione davvero imponente: nel 1960 si diploma all’Istituto Statale d’Arte Filippo Palizzi, nel 1962 consegue il diploma di Magistero in Scultura, dal 1960 al ’64 frequenta il corso della Scuola Libera del Nudo con Spinosa, nel 1967 consegue il diploma accademico in Scultura presso l’Accademia di Belle Arti di Napoli, ma già dal 1970 è titolare di cattedra di Figura e Ornato Modellato presso il Liceo Artistico Statale di Napoli. Ma questa è solo una brevissima citazione da un curriculum immenso che vanta nomine accademiche (1970), partecipazione alle prestigiose Quadriennali romane (1975), Biennali veneziane (1976), Festival Dada a Los Angeles (1979) e tantissimi premi e riconoscimenti. Sono questi, tempi di grande impeto, in cui Aulo si esprime anche con performances di forte impatto, come quella svolta presso l’Ospedale Psichiatrico Frullone di Napoli (Il malato, 1975) in cui testimonia tutto il senso di vuoto e solitudine di persone a cui è stata negata ogni forma di libertà.
Scultore, pittore, grafico, il suo studio è una miniera preziosa, ricca di ogni tipo di manufatto, dalle invetriate realizzate personalmente con il vetro cattedrale e il piombo, alle ceramiche o maioliche dalle forme e colori sfavillanti: cassetti, cartelle, ogni cosa raccoglie periodi di alacre produzione perfettamente catalogata e archiviata.
Generalmente, chi si dedica a più forme artistiche finisce per non eccellere particolarmente in nessuna di queste: non è il caso di Pedicini che, invece, restando coerente con la sua ricerca, si esprime sempre al massimo della sua potenzialità. Esordisce negli anni ’50 con una pittura di tipo informale per poi dedicarsi, nel decennio successivo, prevalentemente alla scultura con opere apparentemente “non finite”, tremule, dalle vaghe reminiscenze a Medardo Rosso (Figura che si pettina, 1963). Si tratta di ricerche che, nel tempo, lasciano lo spazio a opere di grandi dimensioni che si impongono con la forza del bronzo in tutta la loro maestosità: spesso sono figure di donna, la cui testa viene sostituita da altri elementi come asparagi (Il mito della terra, 2001) o membri maschili (Glorificazione del sesso, 1975), a simboleggiare la perdita di una femminilità, soprattutto a partire dagli anni della contestazione. Anche per questo, la donna non può che generare volatili che librano lontano verso il cielo con rami di olivo nel becco, perché qualcosa è ormai distrutto all’origine (Colombe cinesi, 1969). Tuttavia, nonostante la delusione per la perdita di questo ruolo, Aulo ama profondamente il gentil sesso, che torna costantemente nei dipinti o nelle grafiche dai corpi piacenti e procaci: hanno pelli vellutate, forme sinuose e invitanti, ma sebbene mostrino la loro nudità, appaiono sempre estremamente eleganti. Si tratta di figure in cui si evidenzia un aspetto “duplice” (Ruotava, allegra, triste, la mia anima, 2015) o si denuncia la mercificazione del corpo a fini pubblicitari (Il tempo non cancella, 2015), ma sono anche volti frammentati che nascondono un dolore dietro a banali gesti quotidiani, come quello di sollevare una tazzina (Dissolvenza 1, 2015).
Di notevole interesse è poi l’inserimento di alcuni elementi ricorrenti nelle sue opere: occhi e bocche che, ovviamente, fanno riferimento a due dei sensi più importanti: la vista e il gusto. Talvolta, però, queste labbra sono cucite (Serrate restano, 2009), negando la loro funzione primaria, ossia, quella della comunicazione e così, la parola, come verbo scritto e visuale, se da un canto si mostra nella bellezza dei font, dall’altro, ne esprime pure il contenuto in maniera esplicita… Altra simbologia significativa nei quadri, nelle sculture o nelle installazioni singole (I savi, 2000), è quella delle orecchie, che fanno riferimento all’udito e alla mancanza di ascolto che contraddistingue la nostra società. Aulo osserva il mondo con estrema attenzione e ne ritrae i contenuti senza menzogne, in maniera “spietata”, per questo, persino i caratteri e le scritture si presentano per ribadire il suo messaggio (Apocalisse ultimo atto, 2014). I suoi “personaggi”, se da un canto si mostrano, dall’altro si mascherano o nascondono (L’anima vostra!, 2015), altre volte sono “attraversati” da figure geometriche impossibili (Denuncio tutta la gente che io non ho l’altra metà, 2015), a ricordarci la contraddittorietà della condizione umana.
Sono, prevalentemente, opere a tecnica mista su carta indiana o Amatruda intelata, di dimensione 700 x 500 mm o di grande formato, per lo più 1000 x 700 mm, in cui tutta la sua conoscenza pittorica e grafica ritornano e si mostrano al pubblico. Inoltre, non trascurabile, è anche la sua produzione incisoria che, come quella pittorica, si mostra varia e prolifica con diverse acqueforti e acquetinte in cui il tema del mito continua a ritornare, in lastre di zinco inchiostrate a più colori con la tecnica del poupée (Sembra che il vento si sia alzato sul tempio, 2012). Destano attenzione anche gli schizzi da lui realizzati a Parigi nel 1999: si tratta di grafiti rapide ed energiche, con caldi gialli e che richiamano ricordi colti all’istante. D’altronde, Pedicini, incessante disegnatore, durante tutta la sua carriera artistica ha sempre tenuto dei taccuini di viaggio, una sorta di diario di bordo del capitano, in cui ogni giorno segnare con attenzione gli eventi più significativi. Sono album di studi pregiati, con fogli di carta Amalfi rilegati a mano, dal formato stretto e lungo, in cui pensieri, parole e impressioni, restano immortalati grazie alla china e all’acquerello.
Artista senza dubbio poliedrico, dall’occhio vispo e furbo, con uno sguardo profondo che osserva lontano, lineamenti decisi e barba lunga, Pedicini è davvero l’Ulisse dei nostri tempi, che si interroga e confronta con se stesso e il tema della morte, messo in scena diverse volte con la presenza dei teschi (Cupi pensieri, 2015). Non pago della ricerca e delle nuove sfide da affrontare, Aulo continua incessantemente il suo cammino, alla ricerca di un mistero arcano o di un sogno utopistico: il tragitto dell’inconscio e il raggiungimento del traguardo più importante, quello della vita, in cui essere e apparire, amare e odiare non saranno più antitesi, ma complementi di un unico volere perché, il percorso nei meandri dell’anima è infinito e non avrà mai fine…
Testo critico di Veronica Longo - Rassegna stampa a cura di Rosalba Volpe
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