I folli anni Venti
Dal 07 Maggio 2021 al 19 Settembre 2021
Bilbao | Mondo
Luogo: Museo Guggenheim Bilbao
Indirizzo: Abandoibarra Etorb. 2
Curatori: Petra Joos
E-Mail info: informacion@guggenheim-bilbao.eus
Sito ufficiale: http://https://www.guggenheim-bilbao.eus
Il Museo Guggenheim Bilbao presenta I folli anni Venti. La mostra trasporterà il visitatore del Museo a città europee come Berlino, Parigi, Vienna e Zurigo, dove si verificarono grandi cambiamenti e progressi in tutti i campi, molti dei quali sono in vigore ancora oggi. Anche se non si può equiparare il decennio attuale a quello degli anni ‘20, vi si riscontrano dei parallelismi sorprendenti. La società di un secolo fa visse dominata dal trauma di una pandemia e sprofondata in una grande recessione economica dopo la Guerra Mondiale, ma allo stesso tempo fu un decennio di progresso, di esplosione della creatività e di liberazione, per cui questo sguardo sul passato offre spunti stimolanti e ispirazione per il futuro.
Come valore distintivo rispetto ad altre mostre dedicate a questa epoca, l’esposizione I folli anni Venti riflette, nel corso di sette capitoli narrativi, lo scambio tra diversi movimenti progressisti come la Bauhaus, il Dadaismo e la Nuova oggettività, e include icone dell’architettura e del design che rivelano la diversità formale caratteristica di quegli anni di trasformazione. La mostra va oltre i cliché del decennio degli anni ‘20 per esplorare quei movimenti estetici che furono così influenti e importanti da essere ancora validi tutt’oggi, anche se non ce ne rendiamo conto. In essa è inclusa inoltre l’opera di artisti contemporanei che impiegano espressamente il linguaggio formale e i temi del decennio degli anni ‘20, ricollegandosi così al momento presente.
Un’altra delle novità principali di questa mostra è la pioniera collaborazione tra il Museo Guggenheim Bilbao e il noto drammaturgo e regista teatrale Calixto Bieito, che si occupa della scenografia dando luogo a un ricco dialogo tra le arti plastiche e le arti performative. L’attuale direttore artistico del Teatro Arriaga di Bilbao e direttore residente del Teatro di Basilea, oltre ad avere una brillante carriera internazionale nel corso della quale ha diretto più di 80 opere e opere teatrali, è un profondo conoscitore dell’epoca; ciò consente di apportare all’esposizione una concezione scenica al contempo intellettuale ed emozionante.
Si tratta, quindi, di una mostra che sorprenderà il pubblico, in cui non si vuole ricostruire o ricordare in modo nostalgico, bensì conservare nella memoria ed evidenziare sensorialmente le nostre origini culturali, sottolineando come distinte fasi della storia siano simili e diverse allo stesso tempo.
Con le parole della curatrice della mostra di Bilbao, Petra Joos, “gli anni Venti del secolo scorso hanno significato un’esplosione di creatività, liberazione erotica, pulsione sessuale e femminismo, ma anche di trauma, lotta ed economia selvaggia e spietata. E tutta questa ‘follia’ si riflette nel Museo Guggenheim Bilbao in un modo molto speciale, grazie alla regia della scenografia di Calixto Bieito”. Il prestigioso direttore scenografico della mostra propone una sfida, un appello: “Sfruttiamo l’esperienza dei ‘folli anni Venti’ per affidarci alla libertà creativa e non cadere negli errori che fecero sprofondare il mondo in una delle sue maggiori catastrofi. Che i nostri anni Venti del XXI secolo non diventino un Infinite Jest (scherzo infinito)”.
PERCORSO ALL’INTERNO DELL’ESPOSIZIONE
Gli anni ‘20 furono un decennio caratterizzato dalle difficoltà, ma allo stesso tempo dal progresso: le città crebbero a una velocità vertiginosa, il concetto patriarcale di famiglia fu messo in discussione e trasformato e i gruppi sociali svantaggiati fecero sentire la loro voce nella cultura e nella politica. D’altro canto, i miglioramenti delle condizioni dei lavoratori si ebbero parallelamente a una crescente industria dell’intrattenimento, e uno spirito innovativo alimentava l’arte, in cui la sperimentazione comprese tutte le discipline.
Sala 205. Addio al trauma della guerra
L’assenza di un nemico visibile, il logoramento di una guerra interminabile e l’anonima capacità di distruzione delle armi fabbricate in massa traumatizzarono la società. Allora, quando il conflitto era ancora in atto, un virus influenza a cui venne dato ingiustamente il nome di “influenza spagnola” (chiamato così perché la stampa spagnola, non soggetta a censura, fu la prima a fornire informazioni al riguardo) si propagò in tutto il mondo portandosi via milioni di persone, in una pandemia che si diffuse tra il 1918 e il 1920.
Questo periodo fu caratterizzato da una sensazione di realtà determinata da un mondo sempre più frammentato e accelerato; come il pittore Fernand Léger descrisse nel 1924: “Non ci fu mai un’epoca così avida di spettacolo come la nostra. […] Questo fanatismo, questa necessità di distrazione a ogni costo, sono la reazione necessaria contro questa vita che facciamo, dura e piena di privazioni”.
Una scoperta importante che si riflette nella mostra fu la meccanica quantistica, un campo profondamente influenzato dalle idee di Werner Heisenberg, Max Born e Niels Bohr che ottennero il Premio Nobel. In seguito a queste conoscenze, l’importante non è più la costruzione dell’atomo, bensì i processi che l’accompagnano. Come conseguenza, i concetti fino ad allora statici di identità, causalità e oggettività fanno strada a quelli di ambivalenza, caso e incertezza, in costante movimento.
Sala 206. Nuovi ruoli, nuovi modelli
Le nuove idee sui nuovi ruoli sociali dell’uomo e della donna sono strettamente legati alla Prima Guerra Mondiale e alle sue conseguenze. Dato che gli uomini combattevano al fronte, le donne reclamarono e acquisirono nuove libertà, sia a livello lavorativo che familiare, e con esse, una certa autonomia. L’introduzione graduale del suffragio femminile in molte parti d’Europa a partire dal 1918 ne fu la manifestazione più potente.
Questa trasformazione può ritrovarsi chiaramente nelle mode dell’epoca. Tra gli uomini, la barba lasciò spazio al volto rasato e ai capelli impomatati, la bombetta sostituì il cilindro, mentre l’abito più informale e l’elegante cravatta sostituirono la rigida redingote. In quanto alle donne, i capelli corti fecero furore, accanto ai vestiti fino alle ginocchia e dal taglio dritto, o la sigaretta occasionale che fumavano in pose eleganti. In tutta Europa, i romanzi e la ricerca sfidavano le abitudini sessuali convenzionali e rompevano i tabù che avvolgevano determinate “perversioni”. A Parigi nel 1922 venne pubblicato il best-seller di Victor Margueritte La Garçonne (la maschietta), con illustrazioni di Kees van Dongen nel 1925, mentre allo stesso tempo a Berlino si pubblicava Wege der Liebe (le strade dell’amore) di Aleksandra Kollontaj. Per questa autrice, la passione e l’amore definiscono alcune fasi più specifiche che continuative nella vita della “donna moderna e lavoratrice”, e naturalmente, una donna poteva essere madre senza dover essere sposata. Sorsero nuove professioni, come il segretariato, mentre si metteva in discussione il contenuto di determinati posti di lavoro; alcuni vengono qui analizzati più dettagliatamente.
Sala 207. Nuovi modi di vedere
Quando parliamo di “nuovi modi di vedere”, solitamente pensiamo al decennio degli anni 70, quando la televisione divenne l’oggetto quotidiano nelle case occidentali. Tuttavia, negli anni Venti, la velocità, che si manifestava sotto forma di maggiore mobilità (l’automobile), i nuovi metodi di lavoro nelle fabbriche (la catena di montaggio) e i nuovi modi di trasmettere le informazioni (la radio) stavano già trasformando la maniera in cui la gente vedeva le cose.
Il cinema e la fotografia, discipline che fino ad allora erano state ignorate in gran parte dal mondo artistico, acquisiscono maggiore riconoscimento da parte di artisti come Hans Richter e Fernand Léger e, al contempo, un carattere sempre più sperimentale. Il dibattito tra i difensori dell’arte figurativa/Nuova oggettività da un lato, e quelli dell’astrazione/Costruttivismo dall’altro giunse al termine, o almeno a una fase di pausa, fino agli inizi degli anni 30. Nel 1920 il regista Walter Ruttmann affermava: “[La] specificità del tempo deriva fondamentalmente dalla ‘velocità’ della nostra epoca […]. Così, il soggetto della nostra riflessione è ora l’evoluzione temporanea nella fisionomia della curva, che è sottoposta a una trasformazione continua, e non la rigida giustapposizione di punti isolati”.
Le sperimentazioni più audaci nel campo della fotografia si ebbero grazie a Man Ray e László Moholy-Nagy, attraverso, per esempio, i fotogrammi unici (fotografie senza macchina fotografica), o la mostra intitolata Film und Foto (FiFo), di cui Moholy-Nagy fu uno dei commissari e che, dopo l’apertura a Stoccarda nel 1929, andò, passando da Zurigo, a Berlino, Danzica, Vienna, Zagabria, Monaco di Baviera, Tokyo e Osaka. La rilevanza di questa mostra risiede nel fatto che fu la prima a presentare insieme al cinema e alla fotografia, un parallelismo che oggi, nell’era dell’ubiquità dello smartphone sembra ovvio.
Sala 202. La rivoluzione della moda
Questa sezione analizza come i cambiamenti nell’autopercezione di uomini e donne di cui si è parlato si espressero attraverso il prisma della moda. Fino ad oggi, il “piccolo vestito nero” di Coco Chanel che nasce intorno al 1927, continua ad essere l'espressione più atemporale dell’emancipazione della donna, che diventa visibile nella moda. L’abbigliamento diventa più funzionale, mentre la silhouette acquista maggiore protagonismo.
La nuova donna, garçonne o flapper, diventa una consumatrice entusiasta dei prodotti della moderna industria cosmetica, sperimentando anche la chirurgia estetica, che passa dalla ricostruzione dei volti sfigurati dei feriti di guerra alla ricerca degli ideali di bellezza. Nel 1927 il creatore di moda Lucien Lelong scrisse: “La dieta, l’esercizio, le macchine e i trattamenti riducenti, la diffusione degli sport all’aria aperta – o questo dice l’opinione generale – ci sono riusciti. La donna moderna è diventata l’architetto della propria figura. È riuscita a rifarsi secondo il suo ideale [...]. Oggi le donne sono giovani anche a quarant’anni”.
Nell’industria della moda, il settore della seta acquisisce una grande importanza come fornitore. Nel 1920, la Svizzera era sinonimo di industria della seta, trattandosi della più grande in Europa e con succursali anche negli USA. In questa sezione, alcuni esempi storicamente significativi testimoniano la vasta gamma di prodotti in seta e la sinergia esistente tra gli artisti e l’industria. Questo settore, oggi dimenticato, fu fondamentale per l’auge economica e per il consolidamento di una Svizzera moderna e florida.
Sala 203. Lavoro e intrattenimento
Le icone del design e dell’architettura degli anni 20 sono entrate con forza nel nostro immaginario dell’epoca. La vita raffinata era possibile fondamentalmente grazie ai cambiamenti nel mondo del lavoro. Indubbiamente, la trasformazione più profonda per la vita quotidiana della gente fu l’introduzione della catena di montaggio nelle fabbriche. Oltre a permettere la produzione in massa di beni di consumo, ridusse anche le ore di lavoro degli operai, dando luogo a una fiorente industria dell’intrattenimento.
La scuola di design “Bauhaus”, fondata a Weimar nel 1919 e a Dessau nel 1925, si consacrò a costruire una società migliore e più democratica a partire dall’educazione e la cultura. Nel 1928 Josef Albers diceva che la professione di artista poteva inserirsi perfettamente nella società: “Ci troviamo in un’epoca orientata verso l’economia. […] Sperimentare è più importante che studiare e un inizio ludico suscita forza. Per questo non iniziamo con un’introduzione teorica: al principio c’è solo la materialità”. Nel 1928 si inaugurò il Congrès Internationaux d’Architecture Moderne (CIAM, 1928–56) nel castello di Hélène de Mandrot a La Sarraz, una località della Svizzera francese; nei loro primi incontri, alcuni partecipanti, come Karl Moser (primo presidente), Le Corbusier, Walter Gropius e Gerrit T. Rietveld proclamarono niente meno che un’architettura socialmente responsabile che rappresentasse lo spirito dell’epoca. Questo aspetto toccò anche la sfera del design, come si nota nelle sedie dal design iconico qui presentate.
Sala 208. Nuove nozioni sul corpo
In questa sala lo spettatore incontra le nuove percezioni e forme di danza, attraverso figure sfolgoranti come Suzanne Perrottet e Rudolf von Laban, che furono i precursori della danza espressionista in Germania, oltre a Valeska Gert, Mary Wigman, Anita Berber e Gret Palucca. Su quest’ultima, il fotografo e pittore Moholy-Nagy affermò con grande entusiasmo nel 1927: “Cerchiamo di formulare una nuova estetica, e ci mancano ancora le basi elementari […]. Il corpo di Palucca, lei stessa, è un mezzo di rappresentazione della più pura espressione di una nuova cultura della danza”. Questo periodo vide anche l’arrivo del jazz in Europa dagli Stati Uniti, portando con sé suoni con un’espressività particolarmente potente e vibrante che cambiavano la percezione del tempo.
Una delle grandi sfide del decennio degli anni 2020 è come raggiungere l’equilibrio tra il corpo, la mente e la società. La danza è una metafora valida di questo desiderio, sia negli anni Venti sia attualmente. Si dice che la generazione del ‘68 fece strada a una rivoluzione della fisicità, che emarginò i modelli tradizionali a favore di una coscienza più ampia e assertiva del corpo. Come vediamo, la stessa cosa potrebbe dirsi del 1920. In questa sezione, artisti contemporanei come Rashid Johnson e Shirana Shahbazi espongono l’attualità di questi discorsi oggigiorno.
Sala 209. Desiderio
La quintessenza dei “folli anni ‘20” è costituita dai balli notturni, estatici e carichi di sensualità, di Montmartre e Montparnasse a Parigi o del Moka Efti a Berlino. L’esposizione conclude con la manifestazione esplosiva di uno stile di vita emancipato e sensuale, in cui la figura più celebre è la ballerina Josephine Baker. Fu la prima persona di colore a diventare una star dello spettacolo, ottenendo il successo in Europa invece che negli Stati Uniti, suo paese d’origine, a causa della segregazione e della proibizione nel suo paese.
A Josephine Baker viene attribuita l’introduzione e il successo del charleston in Europa. La sua influenza fu tale che le donne parigine, dalla caratteristica carnagione bianca, si mettevano creme per scurire la pelle e assomigliare all’imponente ballerina, conosciuta come la “Venere d’ebano”. Grazie alla sua carismatica personalità, talento e assoluta libertà nel mostrare l’espressività del corpo e dello spirito sul palcoscenico, la Baker non tardò a placare i suoi detrattori e accumulare spettacolari trionfi.
In questa sala, lo spettatore potrà godere di diverse esperienze che completano l’esposizione attraverso una concezione scenica intellettuale, come quella dei cabaret letterari, e allo stesso tempo emozionante, attraverso i colori, profumi, film e musica dell’epoca. Così, il visitatore potrà ballare al ritmo del jazz, del charleston o delle Chansons dell’epoca, e inoltre ascoltare i compositori classici della musica dodecafonica.
Come valore distintivo rispetto ad altre mostre dedicate a questa epoca, l’esposizione I folli anni Venti riflette, nel corso di sette capitoli narrativi, lo scambio tra diversi movimenti progressisti come la Bauhaus, il Dadaismo e la Nuova oggettività, e include icone dell’architettura e del design che rivelano la diversità formale caratteristica di quegli anni di trasformazione. La mostra va oltre i cliché del decennio degli anni ‘20 per esplorare quei movimenti estetici che furono così influenti e importanti da essere ancora validi tutt’oggi, anche se non ce ne rendiamo conto. In essa è inclusa inoltre l’opera di artisti contemporanei che impiegano espressamente il linguaggio formale e i temi del decennio degli anni ‘20, ricollegandosi così al momento presente.
Un’altra delle novità principali di questa mostra è la pioniera collaborazione tra il Museo Guggenheim Bilbao e il noto drammaturgo e regista teatrale Calixto Bieito, che si occupa della scenografia dando luogo a un ricco dialogo tra le arti plastiche e le arti performative. L’attuale direttore artistico del Teatro Arriaga di Bilbao e direttore residente del Teatro di Basilea, oltre ad avere una brillante carriera internazionale nel corso della quale ha diretto più di 80 opere e opere teatrali, è un profondo conoscitore dell’epoca; ciò consente di apportare all’esposizione una concezione scenica al contempo intellettuale ed emozionante.
Si tratta, quindi, di una mostra che sorprenderà il pubblico, in cui non si vuole ricostruire o ricordare in modo nostalgico, bensì conservare nella memoria ed evidenziare sensorialmente le nostre origini culturali, sottolineando come distinte fasi della storia siano simili e diverse allo stesso tempo.
Con le parole della curatrice della mostra di Bilbao, Petra Joos, “gli anni Venti del secolo scorso hanno significato un’esplosione di creatività, liberazione erotica, pulsione sessuale e femminismo, ma anche di trauma, lotta ed economia selvaggia e spietata. E tutta questa ‘follia’ si riflette nel Museo Guggenheim Bilbao in un modo molto speciale, grazie alla regia della scenografia di Calixto Bieito”. Il prestigioso direttore scenografico della mostra propone una sfida, un appello: “Sfruttiamo l’esperienza dei ‘folli anni Venti’ per affidarci alla libertà creativa e non cadere negli errori che fecero sprofondare il mondo in una delle sue maggiori catastrofi. Che i nostri anni Venti del XXI secolo non diventino un Infinite Jest (scherzo infinito)”.
PERCORSO ALL’INTERNO DELL’ESPOSIZIONE
Gli anni ‘20 furono un decennio caratterizzato dalle difficoltà, ma allo stesso tempo dal progresso: le città crebbero a una velocità vertiginosa, il concetto patriarcale di famiglia fu messo in discussione e trasformato e i gruppi sociali svantaggiati fecero sentire la loro voce nella cultura e nella politica. D’altro canto, i miglioramenti delle condizioni dei lavoratori si ebbero parallelamente a una crescente industria dell’intrattenimento, e uno spirito innovativo alimentava l’arte, in cui la sperimentazione comprese tutte le discipline.
Sala 205. Addio al trauma della guerra
L’assenza di un nemico visibile, il logoramento di una guerra interminabile e l’anonima capacità di distruzione delle armi fabbricate in massa traumatizzarono la società. Allora, quando il conflitto era ancora in atto, un virus influenza a cui venne dato ingiustamente il nome di “influenza spagnola” (chiamato così perché la stampa spagnola, non soggetta a censura, fu la prima a fornire informazioni al riguardo) si propagò in tutto il mondo portandosi via milioni di persone, in una pandemia che si diffuse tra il 1918 e il 1920.
Questo periodo fu caratterizzato da una sensazione di realtà determinata da un mondo sempre più frammentato e accelerato; come il pittore Fernand Léger descrisse nel 1924: “Non ci fu mai un’epoca così avida di spettacolo come la nostra. […] Questo fanatismo, questa necessità di distrazione a ogni costo, sono la reazione necessaria contro questa vita che facciamo, dura e piena di privazioni”.
Una scoperta importante che si riflette nella mostra fu la meccanica quantistica, un campo profondamente influenzato dalle idee di Werner Heisenberg, Max Born e Niels Bohr che ottennero il Premio Nobel. In seguito a queste conoscenze, l’importante non è più la costruzione dell’atomo, bensì i processi che l’accompagnano. Come conseguenza, i concetti fino ad allora statici di identità, causalità e oggettività fanno strada a quelli di ambivalenza, caso e incertezza, in costante movimento.
Sala 206. Nuovi ruoli, nuovi modelli
Le nuove idee sui nuovi ruoli sociali dell’uomo e della donna sono strettamente legati alla Prima Guerra Mondiale e alle sue conseguenze. Dato che gli uomini combattevano al fronte, le donne reclamarono e acquisirono nuove libertà, sia a livello lavorativo che familiare, e con esse, una certa autonomia. L’introduzione graduale del suffragio femminile in molte parti d’Europa a partire dal 1918 ne fu la manifestazione più potente.
Questa trasformazione può ritrovarsi chiaramente nelle mode dell’epoca. Tra gli uomini, la barba lasciò spazio al volto rasato e ai capelli impomatati, la bombetta sostituì il cilindro, mentre l’abito più informale e l’elegante cravatta sostituirono la rigida redingote. In quanto alle donne, i capelli corti fecero furore, accanto ai vestiti fino alle ginocchia e dal taglio dritto, o la sigaretta occasionale che fumavano in pose eleganti. In tutta Europa, i romanzi e la ricerca sfidavano le abitudini sessuali convenzionali e rompevano i tabù che avvolgevano determinate “perversioni”. A Parigi nel 1922 venne pubblicato il best-seller di Victor Margueritte La Garçonne (la maschietta), con illustrazioni di Kees van Dongen nel 1925, mentre allo stesso tempo a Berlino si pubblicava Wege der Liebe (le strade dell’amore) di Aleksandra Kollontaj. Per questa autrice, la passione e l’amore definiscono alcune fasi più specifiche che continuative nella vita della “donna moderna e lavoratrice”, e naturalmente, una donna poteva essere madre senza dover essere sposata. Sorsero nuove professioni, come il segretariato, mentre si metteva in discussione il contenuto di determinati posti di lavoro; alcuni vengono qui analizzati più dettagliatamente.
Sala 207. Nuovi modi di vedere
Quando parliamo di “nuovi modi di vedere”, solitamente pensiamo al decennio degli anni 70, quando la televisione divenne l’oggetto quotidiano nelle case occidentali. Tuttavia, negli anni Venti, la velocità, che si manifestava sotto forma di maggiore mobilità (l’automobile), i nuovi metodi di lavoro nelle fabbriche (la catena di montaggio) e i nuovi modi di trasmettere le informazioni (la radio) stavano già trasformando la maniera in cui la gente vedeva le cose.
Il cinema e la fotografia, discipline che fino ad allora erano state ignorate in gran parte dal mondo artistico, acquisiscono maggiore riconoscimento da parte di artisti come Hans Richter e Fernand Léger e, al contempo, un carattere sempre più sperimentale. Il dibattito tra i difensori dell’arte figurativa/Nuova oggettività da un lato, e quelli dell’astrazione/Costruttivismo dall’altro giunse al termine, o almeno a una fase di pausa, fino agli inizi degli anni 30. Nel 1920 il regista Walter Ruttmann affermava: “[La] specificità del tempo deriva fondamentalmente dalla ‘velocità’ della nostra epoca […]. Così, il soggetto della nostra riflessione è ora l’evoluzione temporanea nella fisionomia della curva, che è sottoposta a una trasformazione continua, e non la rigida giustapposizione di punti isolati”.
Le sperimentazioni più audaci nel campo della fotografia si ebbero grazie a Man Ray e László Moholy-Nagy, attraverso, per esempio, i fotogrammi unici (fotografie senza macchina fotografica), o la mostra intitolata Film und Foto (FiFo), di cui Moholy-Nagy fu uno dei commissari e che, dopo l’apertura a Stoccarda nel 1929, andò, passando da Zurigo, a Berlino, Danzica, Vienna, Zagabria, Monaco di Baviera, Tokyo e Osaka. La rilevanza di questa mostra risiede nel fatto che fu la prima a presentare insieme al cinema e alla fotografia, un parallelismo che oggi, nell’era dell’ubiquità dello smartphone sembra ovvio.
Sala 202. La rivoluzione della moda
Questa sezione analizza come i cambiamenti nell’autopercezione di uomini e donne di cui si è parlato si espressero attraverso il prisma della moda. Fino ad oggi, il “piccolo vestito nero” di Coco Chanel che nasce intorno al 1927, continua ad essere l'espressione più atemporale dell’emancipazione della donna, che diventa visibile nella moda. L’abbigliamento diventa più funzionale, mentre la silhouette acquista maggiore protagonismo.
La nuova donna, garçonne o flapper, diventa una consumatrice entusiasta dei prodotti della moderna industria cosmetica, sperimentando anche la chirurgia estetica, che passa dalla ricostruzione dei volti sfigurati dei feriti di guerra alla ricerca degli ideali di bellezza. Nel 1927 il creatore di moda Lucien Lelong scrisse: “La dieta, l’esercizio, le macchine e i trattamenti riducenti, la diffusione degli sport all’aria aperta – o questo dice l’opinione generale – ci sono riusciti. La donna moderna è diventata l’architetto della propria figura. È riuscita a rifarsi secondo il suo ideale [...]. Oggi le donne sono giovani anche a quarant’anni”.
Nell’industria della moda, il settore della seta acquisisce una grande importanza come fornitore. Nel 1920, la Svizzera era sinonimo di industria della seta, trattandosi della più grande in Europa e con succursali anche negli USA. In questa sezione, alcuni esempi storicamente significativi testimoniano la vasta gamma di prodotti in seta e la sinergia esistente tra gli artisti e l’industria. Questo settore, oggi dimenticato, fu fondamentale per l’auge economica e per il consolidamento di una Svizzera moderna e florida.
Sala 203. Lavoro e intrattenimento
Le icone del design e dell’architettura degli anni 20 sono entrate con forza nel nostro immaginario dell’epoca. La vita raffinata era possibile fondamentalmente grazie ai cambiamenti nel mondo del lavoro. Indubbiamente, la trasformazione più profonda per la vita quotidiana della gente fu l’introduzione della catena di montaggio nelle fabbriche. Oltre a permettere la produzione in massa di beni di consumo, ridusse anche le ore di lavoro degli operai, dando luogo a una fiorente industria dell’intrattenimento.
La scuola di design “Bauhaus”, fondata a Weimar nel 1919 e a Dessau nel 1925, si consacrò a costruire una società migliore e più democratica a partire dall’educazione e la cultura. Nel 1928 Josef Albers diceva che la professione di artista poteva inserirsi perfettamente nella società: “Ci troviamo in un’epoca orientata verso l’economia. […] Sperimentare è più importante che studiare e un inizio ludico suscita forza. Per questo non iniziamo con un’introduzione teorica: al principio c’è solo la materialità”. Nel 1928 si inaugurò il Congrès Internationaux d’Architecture Moderne (CIAM, 1928–56) nel castello di Hélène de Mandrot a La Sarraz, una località della Svizzera francese; nei loro primi incontri, alcuni partecipanti, come Karl Moser (primo presidente), Le Corbusier, Walter Gropius e Gerrit T. Rietveld proclamarono niente meno che un’architettura socialmente responsabile che rappresentasse lo spirito dell’epoca. Questo aspetto toccò anche la sfera del design, come si nota nelle sedie dal design iconico qui presentate.
Sala 208. Nuove nozioni sul corpo
In questa sala lo spettatore incontra le nuove percezioni e forme di danza, attraverso figure sfolgoranti come Suzanne Perrottet e Rudolf von Laban, che furono i precursori della danza espressionista in Germania, oltre a Valeska Gert, Mary Wigman, Anita Berber e Gret Palucca. Su quest’ultima, il fotografo e pittore Moholy-Nagy affermò con grande entusiasmo nel 1927: “Cerchiamo di formulare una nuova estetica, e ci mancano ancora le basi elementari […]. Il corpo di Palucca, lei stessa, è un mezzo di rappresentazione della più pura espressione di una nuova cultura della danza”. Questo periodo vide anche l’arrivo del jazz in Europa dagli Stati Uniti, portando con sé suoni con un’espressività particolarmente potente e vibrante che cambiavano la percezione del tempo.
Una delle grandi sfide del decennio degli anni 2020 è come raggiungere l’equilibrio tra il corpo, la mente e la società. La danza è una metafora valida di questo desiderio, sia negli anni Venti sia attualmente. Si dice che la generazione del ‘68 fece strada a una rivoluzione della fisicità, che emarginò i modelli tradizionali a favore di una coscienza più ampia e assertiva del corpo. Come vediamo, la stessa cosa potrebbe dirsi del 1920. In questa sezione, artisti contemporanei come Rashid Johnson e Shirana Shahbazi espongono l’attualità di questi discorsi oggigiorno.
Sala 209. Desiderio
La quintessenza dei “folli anni ‘20” è costituita dai balli notturni, estatici e carichi di sensualità, di Montmartre e Montparnasse a Parigi o del Moka Efti a Berlino. L’esposizione conclude con la manifestazione esplosiva di uno stile di vita emancipato e sensuale, in cui la figura più celebre è la ballerina Josephine Baker. Fu la prima persona di colore a diventare una star dello spettacolo, ottenendo il successo in Europa invece che negli Stati Uniti, suo paese d’origine, a causa della segregazione e della proibizione nel suo paese.
A Josephine Baker viene attribuita l’introduzione e il successo del charleston in Europa. La sua influenza fu tale che le donne parigine, dalla caratteristica carnagione bianca, si mettevano creme per scurire la pelle e assomigliare all’imponente ballerina, conosciuta come la “Venere d’ebano”. Grazie alla sua carismatica personalità, talento e assoluta libertà nel mostrare l’espressività del corpo e dello spirito sul palcoscenico, la Baker non tardò a placare i suoi detrattori e accumulare spettacolari trionfi.
In questa sala, lo spettatore potrà godere di diverse esperienze che completano l’esposizione attraverso una concezione scenica intellettuale, come quella dei cabaret letterari, e allo stesso tempo emozionante, attraverso i colori, profumi, film e musica dell’epoca. Così, il visitatore potrà ballare al ritmo del jazz, del charleston o delle Chansons dell’epoca, e inoltre ascoltare i compositori classici della musica dodecafonica.
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