WunderCamera
![WunderCamera, Metronom, Modena WunderCamera, Metronom, Modena](http://www.arte.it/foto/600x450/14/13450-aaa.jpg)
WunderCamera, Metronom, Modena
Dal 02 Dicembre 2012 al 26 Gennaio 2013
Modena
Luogo: Metronom
Indirizzo: viale G. Amendola 142
Orari: da martedì a sabato 15-19 e su appuntamento
Telefono per informazioni: +39 059 344692
E-Mail info: info@metronom.it
Sito ufficiale: http://www.metronom.it/ita/
Si inaugura sabato 1 dicembre alle 18.30 la mostra collettiva wunderCAMERA, che raccoglie i lavori di 14 artisti chiamati a confrontarsi con il tema. Le opere in mostra, in alcuni casi lavori inediti in altri riletture ad hoc, propongono un confronto tra realtà e finzione in cui l’opera incuriosisce, prima ancora di rivelare.
Le wunderkammer rinascimentali avevano lo scopo di presentare oggetti di varia natura e di varia provenienza, creando combinazioni attraenti e singolari, per creare collezioni che nella ricercatezza e nello stupore avevano un punto fondante. Facendo riferimento a questi allestimenti, a queste ricerche di mirabilia, wunderCAMERA propone una riflessione sull’idea dell’oggetto fotografico come risultato di un processo di conoscenza prima di tutto mentale, di una alchimia fotografica.
La ricerca dell’arte, e in particolare della fotografia, in ambito concettuale è il ponte ideale per fare dialogare il lavoro di autori di giovane generazione e confermare la vitalità di un dibattito attorno all’uso del mezzo fotografico, concepito sempre più come strumento del guardare e in grado di costruire una grammatica della visione oltre a registrare la realtà. La diffusione e le potenzialità della tecnica digitale se da un lato moltiplicano le possibilità di esecuzione con esiti numericamente esponenziali, dall’altro offrono spunti per ricerche personali e contemporanee riletture.
Giulio Paolini, fedele a una ricerca a metà tra visione e parola, affida a Copia e Originale una delle riflessioni essenziali sulla fotografia, unicità, molteplicità, riproducibilità. La scala di valori è in questo caso sovvertita, mescolando le carte, o meglio i fogli. Guido Guidi si offre con Variazione sul punto di vista (1968) un vero e proprio esercizio di grammatica della fotografia mentre Olivo Barbieri rilegge la serie Flipper alla luce delle possibilità del web 2.0. Franco Vaccari ri-mette a nudo Duchamp, riprendendo le fila di un discorso iniziato nel 1978 con Duchamp e l’occultamento del lavoro, mentre gli oggetti trovati di Paolo Ventura sono la base per le miniature ingrandite che popolano le sue storie fotografiche. L’installazione di Benedetta Alfieri ci guida in un processo di scoperta, i gradini della scala alludono a un percorso da compiere, il binocolo per soffermarci a guardare. E’ invece una fotografia destrutturata e ricomposta quella di Palmo a Palmo del duo Richard Sympson, un metodo empirico che parte dalla scomposizione del soggetto in una griglia molto fitta, ogni piccola porzione viene poi fotografata zenitalmente e l’immagine totale esiste solo come montaggio di ogni singola fotografia. Un processo di straniamento fotografico. E’ una declinazione in video L’Oblivious di Elena Arzuffi che realizza attraverso fotografie e disegni il montaggio di una esperienza interiore dove la musica, coinvolgente e incalzante, obbliga ad un ascolto in cuffia di un dialogo visivo. Bruno Cattani ci invita a spiare l’Eros di corpi seducenti con immagini protette da una campana di vetro, mentre Nicola Vinci costruisce un allusivo Castello di carte. Marco Signorini compie un lavoro filologico sui visori stereoscopici ottocenteschi, trasformandoli in molto contemporanee camere della visione e Michele Buda non rinuncia alla possibilità di realizzare un libro che scompone e ricompone mettendolo a servizio dell’immagine fotografica. La ricerca di Annabel Elgar si muove sul confine tra immagine e opera scultorea: i set, le ambientazioni che ricostruisce, popolate da oggetti trovati o realizzati, si trasformano in moderni tableaux vivant, in cui la finzione cede il passo alla composizione armonica. Il lavoro di Martina Della Valle si affida invece all’archivio e alle sue potenzialità di custodire e generale conoscenza al tempo stesso; l’immagine fotografica diventa una traccia per un esercizio di astrazione raffinato che si compie nei disegni a spolvero.
Lungi dal voler compiere una indagine esaustiva la mostra si propone piuttosto come un contenitore per esperienze, una camera chiara in cui la fotografia si manifesta per la sua potenziale molteplicità di esiti e di ricerche, in cui lo spettatore non è mero osservatore ma sempre più spesso chiamato a comportarsi da reagente.
Le wunderkammer rinascimentali avevano lo scopo di presentare oggetti di varia natura e di varia provenienza, creando combinazioni attraenti e singolari, per creare collezioni che nella ricercatezza e nello stupore avevano un punto fondante. Facendo riferimento a questi allestimenti, a queste ricerche di mirabilia, wunderCAMERA propone una riflessione sull’idea dell’oggetto fotografico come risultato di un processo di conoscenza prima di tutto mentale, di una alchimia fotografica.
La ricerca dell’arte, e in particolare della fotografia, in ambito concettuale è il ponte ideale per fare dialogare il lavoro di autori di giovane generazione e confermare la vitalità di un dibattito attorno all’uso del mezzo fotografico, concepito sempre più come strumento del guardare e in grado di costruire una grammatica della visione oltre a registrare la realtà. La diffusione e le potenzialità della tecnica digitale se da un lato moltiplicano le possibilità di esecuzione con esiti numericamente esponenziali, dall’altro offrono spunti per ricerche personali e contemporanee riletture.
Giulio Paolini, fedele a una ricerca a metà tra visione e parola, affida a Copia e Originale una delle riflessioni essenziali sulla fotografia, unicità, molteplicità, riproducibilità. La scala di valori è in questo caso sovvertita, mescolando le carte, o meglio i fogli. Guido Guidi si offre con Variazione sul punto di vista (1968) un vero e proprio esercizio di grammatica della fotografia mentre Olivo Barbieri rilegge la serie Flipper alla luce delle possibilità del web 2.0. Franco Vaccari ri-mette a nudo Duchamp, riprendendo le fila di un discorso iniziato nel 1978 con Duchamp e l’occultamento del lavoro, mentre gli oggetti trovati di Paolo Ventura sono la base per le miniature ingrandite che popolano le sue storie fotografiche. L’installazione di Benedetta Alfieri ci guida in un processo di scoperta, i gradini della scala alludono a un percorso da compiere, il binocolo per soffermarci a guardare. E’ invece una fotografia destrutturata e ricomposta quella di Palmo a Palmo del duo Richard Sympson, un metodo empirico che parte dalla scomposizione del soggetto in una griglia molto fitta, ogni piccola porzione viene poi fotografata zenitalmente e l’immagine totale esiste solo come montaggio di ogni singola fotografia. Un processo di straniamento fotografico. E’ una declinazione in video L’Oblivious di Elena Arzuffi che realizza attraverso fotografie e disegni il montaggio di una esperienza interiore dove la musica, coinvolgente e incalzante, obbliga ad un ascolto in cuffia di un dialogo visivo. Bruno Cattani ci invita a spiare l’Eros di corpi seducenti con immagini protette da una campana di vetro, mentre Nicola Vinci costruisce un allusivo Castello di carte. Marco Signorini compie un lavoro filologico sui visori stereoscopici ottocenteschi, trasformandoli in molto contemporanee camere della visione e Michele Buda non rinuncia alla possibilità di realizzare un libro che scompone e ricompone mettendolo a servizio dell’immagine fotografica. La ricerca di Annabel Elgar si muove sul confine tra immagine e opera scultorea: i set, le ambientazioni che ricostruisce, popolate da oggetti trovati o realizzati, si trasformano in moderni tableaux vivant, in cui la finzione cede il passo alla composizione armonica. Il lavoro di Martina Della Valle si affida invece all’archivio e alle sue potenzialità di custodire e generale conoscenza al tempo stesso; l’immagine fotografica diventa una traccia per un esercizio di astrazione raffinato che si compie nei disegni a spolvero.
Lungi dal voler compiere una indagine esaustiva la mostra si propone piuttosto come un contenitore per esperienze, una camera chiara in cui la fotografia si manifesta per la sua potenziale molteplicità di esiti e di ricerche, in cui lo spettatore non è mero osservatore ma sempre più spesso chiamato a comportarsi da reagente.
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