Var Ve Yok
Il primo volume della Costituzione Italiana cancellata di Emilio Isgrò
Dal 23 Maggio 2012 al 22 Luglio 2012
Milano
Luogo: Fondazione Marconi
Indirizzo: via Alessandro Tadino 15
Orari: da martedì a sabato 10,30-12,30/ 15,30-19
Telefono per informazioni: +39 02 29419232
E-Mail info: info@fondazionemarconi.org
Sito ufficiale: http://www.fondazionemarconi.org
Dal 23 Maggio in mostra alla Fondazione Marconi le opere realizzate dall’artista per Istanbul capitale europea della
cultura 2010
Si inaugura mercoledì 23 maggio 2012, presso la Fondazione Marconi di Milano, la mostra di Emilio Isgrò Var Ve Yok,
che in turco significa “c’è e non c’è”. La mostra propone infatti per la prima volta in Italia - dopo una tappa alla Fondazione
Boghossian di Bruxelles - i quattordici Codici ottomani che l’artista creò appositamente per Istanbul “capitale della cultura
europea 2010”, nel quadro di una grande retrospettiva dedicata al maestro italiano presso la Taksim Sanat Galerisi.
La mostra, a cura di Marco Bazzini e con scritti dello stesso curatore e di Achille Bonito Oliva, promossa dall’Università
Aydin di Istanbul e dal Coppem (Comitato permanente per il partneriato euromediterraneo dei poteri locali e regionali),
era organizzata dal “Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci” di Prato e ripercorreva le tappe fondamentali
dell’attività di Emilio Isgrò, artista, poeta e scrittore.
Considerato, insieme a Lucio Fontana e Piero Manzoni, tra gli innovatori del linguaggio artistico italiano del secondo
dopoguerra, Emilio Isgrò è il padre indiscusso della cancellatura, un atto che ha iniziato a sperimentare dai primi anni
Sessanta e che ancora oggi mantiene la stessa vivacità e audacia creativa.
Della cancellatura Isgrò dice: “Alle origini, probabilmente, essa non fu che un gesto: uno dei tanti gesti che gli artisti
compivano un tempo per segnare di sé il percorso della vita e del mondo”. E continua: “Essa mi si è di fatto trasformata
tra le mani anno per anno, minuto per minuto, piegandosi meglio di quanto volessi o sperassi al mio desiderio d’artista”.
È infatti il 1964 quando l’autore comincia a realizzare le prime opere intervenendo su testi, in particolare le pagine dei
libri, coprendone manualmente gran parte. Le parole sono cancellate con un segno denso e dello scritto restano leggibili
soltanto piccoli frammenti di frasi o un solo vocabolo. Nel tempo si applica alle carte geografiche, ai telex, al cinema, agli
spartiti musicali, anticipa le espressioni più tipiche dell’arte concettuale, si declina in installazioni e, con il passaggio dal
nero al bianco negli anni Ottanta, questo “segno proibitivamente popolare e pittoricamente inibitorio”, scrive Marco
Bazzini, “arriva a risultati pittorici senza cedere alla pittura”.
Il cancellare è un gesto contraddittorio tra distruzione e ricostruzione. Le parole, e successivamente le immagini, non
sono oltraggiate dalla cancellatura, ma attraverso questa restituiscono nuova linfa a un significante portatore di più
significati: l’essenza primaria di ogni opera d’arte. La cancellatura è la lingua inconfondibile della sua ricerca artistica che
oggi appare come una filosofia alternativa alla visione del mondo contemporaneo: spiega più cose di quanto non dica.
L’ampiezza operativa concessa dalla cancellatura è tutte le volte sorprendente e può arrivare anche a cancellare
un’intera mostra, come avvenne a Istanbul e come avverrà alla mostra presso la Fondazione Marconi di Milano. Da qui
anche il titolo Var ve yok, che in italiano suona come un “esserci e non esserci”.
Questa ambigua valenza, tra presenza e assenza, non è soltanto la radice del gesto di Isgrò, ancora una volta declinato
diversamente nell’omonima opera presente in mostra, ma la ritroviamo anche in quel corpo vivo dell’arte come
rappresentazione poetica in cui agiscono le dimensioni soggettive e oggettive.
Isgrò, che in tutti questi anni è rimasto indipendente dal mondo dell’arte come soltanto i grandi protagonisti di un’epoca
sanno fare, non ha esitato a negarsi quando, nel 1971, ha realizzato Dichiaro di non essere Emilio Isgrò, per poi
ricomparire trentasette anni dopo con il Dichiaro di essere Emilio Isgrò, titolo della grande retrospettiva al Centro per l’arte
contemporanea Luigi Pecci di Prato nel 2008 e della grande cancellatura presente nella collezione dello stesso museo.
Tra i lavori realizzati per Istanbul spicca con i quattordici codici ottomani cancellati l’opera Il sorriso di Atatürk. Scrive a
questo proposito l’artista: “Un tributo a un ‘cancellatore’ gloriosamente laico, oltreché alieno da ogni fondamentalismo
religioso o culturale, che noi europei sentiamo come nostro, e tuttavia turco fino alle midolla, innamorato del proprio
paese e, forse, anche delle sue contraddizioni”. E continua: “Anche un gesto controverso come la cancellazione integrale
innesca di fatto un processo dialettico, e per ciò stesso vitale, tra l’essere e il non essere delle cose, tra la morte e la vita
delle parole, e persino la lingua ottomana, un tempo annichilita, viene in qualche modo preservata e protetta dallo strato
di colore che la occulta e la copre, fino a riemergere provvisoriamente non con il peso nostalgico di una tradizione per
fortuna dissolta, bensì con il monito disarmante di Pasolini: ‘Solo la rivoluzione salva il passato’. Come dire che per
salvaguardare il mondo (non soltanto l’Europa e i paesi che le stanno intorno come la Turchia o la Russia) è a volte
necessario scuoterne le fondamenta”.
La mostra di Milano, che nell’allestimento ideato per la Fondazione Marconi marca lo stretto legame che Isgrò ha avuto in
tutti questi anni con l’universo del libro, ha come immagine guida Istanbul (2010), una grande carta della Turchia dove
sono cancellati tutti i toponimi esclusa la capitale del Bosforo, un modo diverso per fermare l’immagine di questa nazione
nella nostra memoria.
Intanto per il giugno del 2013 è in preparazione una grande retrospettiva dell’artista presso la Galleria Nazionale d'Arte
Moderna di Roma.
Biografia
Emilio Isgrò è nato a Barcellona Pozzo di Gotto, in provincia di Messina nel 1937. Dopo l’esordio letterario con la
raccolta di versi Fiere del Sud (Schwarz 1956), si trasferisce a Milano dove attualmente vive e lavora. Si dedica alla
Poesia visiva, nel doppio ruolo di teorizzatore e artista. Nel 1964 inizia la produzione delle Cancellature, esposte in
gallerie e musei italiani e stranieri. Nel 1966 si tiene a Padova la sua prima personale presso la Galleria 1 + 1 di Padova.
Nei due anni successivi espone alla Galleria Apollinaire di Milano; espone poi presso la Galleria Schwarz nel 1971, a La
Bertesca di Genova nel 1973 e nel 1974 presso lo Studio G7 di Bologna, da Lia Rumma a Napoli e alla Galleria Blu di
Milano. Nel 1977 vince il primo premio alla Biennale di San Paolo. Nel 1985 realizza a Milano l’installazione multimediale
La veglia di Bach, commissionatagli dal Teatro alla Scala per l’Anno Europeo della Musica, mentre nel 1998 il Seme
d’arancia viene installato a Barcellona di Sicilia. Negli anni 1972, 1978, 1986, 1993 viene invitato alla Biennale di
Venezia. Dona alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma la grande scultura Le Tavole della Legge ovvero La
Bibbia di vetro, che resterà esposta al pubblico nella collezione permanente della Galleria. Di rilievo è anche la sua
attività di scrittore e uomo di teatro, consolidatasi con L’Orestea di Gibellina (1983/84/85) e con alcuni romanzi e libri di
poesia, tra cui L’avventurosa vita di Emilio Isgrò (Il Formichiere, 1975), Marta de Rogatiis Johnson (Feltrinelli, 1977),
Polifemo (Mondadori, 1989), L’asta delle ceneri (Camunia, 1994), Oratorio dei ladri (Mondadori, 1996) e, infine, Brindisi
all’amico infame (Aragno, 2003), finalista al premio Viareggio e vincitore del premio San Pellegrino.
cultura 2010
Si inaugura mercoledì 23 maggio 2012, presso la Fondazione Marconi di Milano, la mostra di Emilio Isgrò Var Ve Yok,
che in turco significa “c’è e non c’è”. La mostra propone infatti per la prima volta in Italia - dopo una tappa alla Fondazione
Boghossian di Bruxelles - i quattordici Codici ottomani che l’artista creò appositamente per Istanbul “capitale della cultura
europea 2010”, nel quadro di una grande retrospettiva dedicata al maestro italiano presso la Taksim Sanat Galerisi.
La mostra, a cura di Marco Bazzini e con scritti dello stesso curatore e di Achille Bonito Oliva, promossa dall’Università
Aydin di Istanbul e dal Coppem (Comitato permanente per il partneriato euromediterraneo dei poteri locali e regionali),
era organizzata dal “Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci” di Prato e ripercorreva le tappe fondamentali
dell’attività di Emilio Isgrò, artista, poeta e scrittore.
Considerato, insieme a Lucio Fontana e Piero Manzoni, tra gli innovatori del linguaggio artistico italiano del secondo
dopoguerra, Emilio Isgrò è il padre indiscusso della cancellatura, un atto che ha iniziato a sperimentare dai primi anni
Sessanta e che ancora oggi mantiene la stessa vivacità e audacia creativa.
Della cancellatura Isgrò dice: “Alle origini, probabilmente, essa non fu che un gesto: uno dei tanti gesti che gli artisti
compivano un tempo per segnare di sé il percorso della vita e del mondo”. E continua: “Essa mi si è di fatto trasformata
tra le mani anno per anno, minuto per minuto, piegandosi meglio di quanto volessi o sperassi al mio desiderio d’artista”.
È infatti il 1964 quando l’autore comincia a realizzare le prime opere intervenendo su testi, in particolare le pagine dei
libri, coprendone manualmente gran parte. Le parole sono cancellate con un segno denso e dello scritto restano leggibili
soltanto piccoli frammenti di frasi o un solo vocabolo. Nel tempo si applica alle carte geografiche, ai telex, al cinema, agli
spartiti musicali, anticipa le espressioni più tipiche dell’arte concettuale, si declina in installazioni e, con il passaggio dal
nero al bianco negli anni Ottanta, questo “segno proibitivamente popolare e pittoricamente inibitorio”, scrive Marco
Bazzini, “arriva a risultati pittorici senza cedere alla pittura”.
Il cancellare è un gesto contraddittorio tra distruzione e ricostruzione. Le parole, e successivamente le immagini, non
sono oltraggiate dalla cancellatura, ma attraverso questa restituiscono nuova linfa a un significante portatore di più
significati: l’essenza primaria di ogni opera d’arte. La cancellatura è la lingua inconfondibile della sua ricerca artistica che
oggi appare come una filosofia alternativa alla visione del mondo contemporaneo: spiega più cose di quanto non dica.
L’ampiezza operativa concessa dalla cancellatura è tutte le volte sorprendente e può arrivare anche a cancellare
un’intera mostra, come avvenne a Istanbul e come avverrà alla mostra presso la Fondazione Marconi di Milano. Da qui
anche il titolo Var ve yok, che in italiano suona come un “esserci e non esserci”.
Questa ambigua valenza, tra presenza e assenza, non è soltanto la radice del gesto di Isgrò, ancora una volta declinato
diversamente nell’omonima opera presente in mostra, ma la ritroviamo anche in quel corpo vivo dell’arte come
rappresentazione poetica in cui agiscono le dimensioni soggettive e oggettive.
Isgrò, che in tutti questi anni è rimasto indipendente dal mondo dell’arte come soltanto i grandi protagonisti di un’epoca
sanno fare, non ha esitato a negarsi quando, nel 1971, ha realizzato Dichiaro di non essere Emilio Isgrò, per poi
ricomparire trentasette anni dopo con il Dichiaro di essere Emilio Isgrò, titolo della grande retrospettiva al Centro per l’arte
contemporanea Luigi Pecci di Prato nel 2008 e della grande cancellatura presente nella collezione dello stesso museo.
Tra i lavori realizzati per Istanbul spicca con i quattordici codici ottomani cancellati l’opera Il sorriso di Atatürk. Scrive a
questo proposito l’artista: “Un tributo a un ‘cancellatore’ gloriosamente laico, oltreché alieno da ogni fondamentalismo
religioso o culturale, che noi europei sentiamo come nostro, e tuttavia turco fino alle midolla, innamorato del proprio
paese e, forse, anche delle sue contraddizioni”. E continua: “Anche un gesto controverso come la cancellazione integrale
innesca di fatto un processo dialettico, e per ciò stesso vitale, tra l’essere e il non essere delle cose, tra la morte e la vita
delle parole, e persino la lingua ottomana, un tempo annichilita, viene in qualche modo preservata e protetta dallo strato
di colore che la occulta e la copre, fino a riemergere provvisoriamente non con il peso nostalgico di una tradizione per
fortuna dissolta, bensì con il monito disarmante di Pasolini: ‘Solo la rivoluzione salva il passato’. Come dire che per
salvaguardare il mondo (non soltanto l’Europa e i paesi che le stanno intorno come la Turchia o la Russia) è a volte
necessario scuoterne le fondamenta”.
La mostra di Milano, che nell’allestimento ideato per la Fondazione Marconi marca lo stretto legame che Isgrò ha avuto in
tutti questi anni con l’universo del libro, ha come immagine guida Istanbul (2010), una grande carta della Turchia dove
sono cancellati tutti i toponimi esclusa la capitale del Bosforo, un modo diverso per fermare l’immagine di questa nazione
nella nostra memoria.
Intanto per il giugno del 2013 è in preparazione una grande retrospettiva dell’artista presso la Galleria Nazionale d'Arte
Moderna di Roma.
Biografia
Emilio Isgrò è nato a Barcellona Pozzo di Gotto, in provincia di Messina nel 1937. Dopo l’esordio letterario con la
raccolta di versi Fiere del Sud (Schwarz 1956), si trasferisce a Milano dove attualmente vive e lavora. Si dedica alla
Poesia visiva, nel doppio ruolo di teorizzatore e artista. Nel 1964 inizia la produzione delle Cancellature, esposte in
gallerie e musei italiani e stranieri. Nel 1966 si tiene a Padova la sua prima personale presso la Galleria 1 + 1 di Padova.
Nei due anni successivi espone alla Galleria Apollinaire di Milano; espone poi presso la Galleria Schwarz nel 1971, a La
Bertesca di Genova nel 1973 e nel 1974 presso lo Studio G7 di Bologna, da Lia Rumma a Napoli e alla Galleria Blu di
Milano. Nel 1977 vince il primo premio alla Biennale di San Paolo. Nel 1985 realizza a Milano l’installazione multimediale
La veglia di Bach, commissionatagli dal Teatro alla Scala per l’Anno Europeo della Musica, mentre nel 1998 il Seme
d’arancia viene installato a Barcellona di Sicilia. Negli anni 1972, 1978, 1986, 1993 viene invitato alla Biennale di
Venezia. Dona alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma la grande scultura Le Tavole della Legge ovvero La
Bibbia di vetro, che resterà esposta al pubblico nella collezione permanente della Galleria. Di rilievo è anche la sua
attività di scrittore e uomo di teatro, consolidatasi con L’Orestea di Gibellina (1983/84/85) e con alcuni romanzi e libri di
poesia, tra cui L’avventurosa vita di Emilio Isgrò (Il Formichiere, 1975), Marta de Rogatiis Johnson (Feltrinelli, 1977),
Polifemo (Mondadori, 1989), L’asta delle ceneri (Camunia, 1994), Oratorio dei ladri (Mondadori, 1996) e, infine, Brindisi
all’amico infame (Aragno, 2003), finalista al premio Viareggio e vincitore del premio San Pellegrino.
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