Spazio/Territorio. Quattro artisti: un dialogo con Vincenzo Agnetti

Vincenzo Agnetti, 1977 I Ph. Maria Mulas
Dal 03 Maggio 2022 al 15 Luglio 2022
Milano
Luogo: Archivio Vincenzo Agnetti
Indirizzo: Via Machiavelli 30
E-Mail info: archivio@vincenzoagnetti.com
Sito ufficiale: http://www.vincenzoagnetti.com
L’Archivio Vincenzo Agnetti presenta a Milano dal 3 maggio al 15 luglio la mostra Spazio/Territorio. Quattro artisti: un dialogo con Vincenzo Agnetti, a cura di Giorgio Verzotti, che inaugura un nuovo ciclo intitolato “Andata e Ritorno” per mettere a confronto le opere di Agnetti con quelle di artisti di generazioni più giovani con l’intento di esplorare come questi considerino la portata concettuale della sua opera e come possa essere riletta alla luce delle esigenze culturali di oggi.
Il progetto verte sullo spazio a partire dai concetti elaborati da Vincenzo Agnetti, in particolare la dicotomia spazio/territorio e ciascuno dei quattro artisti - Sergio Limonta, Filippo Manzini, Cesare Pietroiusti, Luca Vitone - espone un’opera in relazione a una o più opere di Agnetti.
Sergio Limonta mette a confronto le sue bandiere allungate in modo sproporzionato con quelle elaborate da Agnetti nella definizione di uno spazio geopolitico.
Filippo Manzini espone le sue fotografie in bianco e nero e a colori in cui lo si vede intervenire negli spazi urbani con le sue sbarre metalliche come sculture effimere. L’artista identifica spazio esistenziale, come quello a cui alludono alcuni feltri di Agnetti, per esempio “Abitato dalle cose e dal respiro”.
Lo spazio istituzionale, il “Corfine” (la cornice del quadro, ma anche quella dell’intero sistema dell’arte, definisce un confine) viene affrontato con le opere di Cesare Pietroiusti, quelle che si possono prendere gratuitamente dagli spazi espositivi ma che poi non si possono vendere pena la perdita di ogni valore economico. All’istituzione si risponde col paradosso, una pratica molto frequentata da Agnetti.
Luca Vitone espone alcuni suoi lavori sulle comunità Rom, il popolo nomade opposto ad ogni territorialità uno fra i concetti centrali indagati da Agnetti con i suoi feltri, le grafiche e gli assiomi sull’argomento, fra tutti “Misurare lo spazio è solo e solo un gesto di appropriazione territoriale”.
L’Archivio pubblicherà un Quaderno di approfondimento che raccoglierà le mostre 2022/2023 del nuovo ciclo “Andata e Ritorno”.
Inaugurazione: martedì 3 maggio dalle ore 18 alle 22
Ingresso libero su prenotazione: cell 328 8840143 e 347 7559633 dalle ore 14 alle 18
Vincenzo Agnetti
Figura di primo piano nel panorama dell’arte concettuale e la sua intensa attività artistica, concentrata in quindici anni dal 1966 al 1981, trae linfa da uno straordinario lavoro, iniziato ancor giovanissimo, di ricerca e di sperimentazione nel campo della poesia, della pittura e della tecnologia. Ha viaggiato molto accumulando scritti, progetti, schemi, idee, costruendo e sedimentando nei suoi Quaderni argentini quello che esprimerà nel suo lavoro, in modo da “iniziare dalla fine”, come egli stesso scriverà. Il fermento degli anni ‘70 è il contesto ideale per sviluppare il suo discorso: le sue opere si propongono come strumenti critici che si incuneano nella ricerca dell’intervallo, dell’interspazio, del margine. Si tratta di critica operante che ingloba aspetti della politica, del linguaggio, dell’arte. La ricerca del negativo, propria di quegli anni, trova in Agnetti uno dei suoi massimi esponenti e si svilupperà lungo tutto il suo percorso con modalità espressive e tecniche di volta in volta diverse, all’incrocio tra tecnologia, arte e poesia. E’ un maestro della poetica dell’azzeramento che invita l’operazione concettuale ad entrare paradossalmente in contatto con un mondo visionario e profondamente ancorato alle emozioni. Il medium espressivo per Agnetti è organico al discorso che vuole rappresentare, per questo la sua ricerca sui differenti modi di creare arte, sulle tecniche e sui materiali è così importante: la parola, l’immagine fotografica, la tecnologia manipolata, la carta fotografica esposta e graffiata, la scultura accompagnata alla fotografia e ancora alle registrazioni e ai video, le installazioni, le performance sono sempre utilizzati come supporto del progetto artistico. Artista concettuale che non espone concetti, ma li costruisce e li rende visibili e percepibili all’occhio dell’osservatore, che può decodificare il senso concettuale delle sue opere e che entrando nel suo spazio è invitato attraverso un’operazione concettuale rigorosa a entrare i contatto con un mondo visionario paradossalmente ancorato alle emozioni.
Il progetto verte sullo spazio a partire dai concetti elaborati da Vincenzo Agnetti, in particolare la dicotomia spazio/territorio e ciascuno dei quattro artisti - Sergio Limonta, Filippo Manzini, Cesare Pietroiusti, Luca Vitone - espone un’opera in relazione a una o più opere di Agnetti.
Sergio Limonta mette a confronto le sue bandiere allungate in modo sproporzionato con quelle elaborate da Agnetti nella definizione di uno spazio geopolitico.
Filippo Manzini espone le sue fotografie in bianco e nero e a colori in cui lo si vede intervenire negli spazi urbani con le sue sbarre metalliche come sculture effimere. L’artista identifica spazio esistenziale, come quello a cui alludono alcuni feltri di Agnetti, per esempio “Abitato dalle cose e dal respiro”.
Lo spazio istituzionale, il “Corfine” (la cornice del quadro, ma anche quella dell’intero sistema dell’arte, definisce un confine) viene affrontato con le opere di Cesare Pietroiusti, quelle che si possono prendere gratuitamente dagli spazi espositivi ma che poi non si possono vendere pena la perdita di ogni valore economico. All’istituzione si risponde col paradosso, una pratica molto frequentata da Agnetti.
Luca Vitone espone alcuni suoi lavori sulle comunità Rom, il popolo nomade opposto ad ogni territorialità uno fra i concetti centrali indagati da Agnetti con i suoi feltri, le grafiche e gli assiomi sull’argomento, fra tutti “Misurare lo spazio è solo e solo un gesto di appropriazione territoriale”.
L’Archivio pubblicherà un Quaderno di approfondimento che raccoglierà le mostre 2022/2023 del nuovo ciclo “Andata e Ritorno”.
Inaugurazione: martedì 3 maggio dalle ore 18 alle 22
Ingresso libero su prenotazione: cell 328 8840143 e 347 7559633 dalle ore 14 alle 18
Vincenzo Agnetti
Figura di primo piano nel panorama dell’arte concettuale e la sua intensa attività artistica, concentrata in quindici anni dal 1966 al 1981, trae linfa da uno straordinario lavoro, iniziato ancor giovanissimo, di ricerca e di sperimentazione nel campo della poesia, della pittura e della tecnologia. Ha viaggiato molto accumulando scritti, progetti, schemi, idee, costruendo e sedimentando nei suoi Quaderni argentini quello che esprimerà nel suo lavoro, in modo da “iniziare dalla fine”, come egli stesso scriverà. Il fermento degli anni ‘70 è il contesto ideale per sviluppare il suo discorso: le sue opere si propongono come strumenti critici che si incuneano nella ricerca dell’intervallo, dell’interspazio, del margine. Si tratta di critica operante che ingloba aspetti della politica, del linguaggio, dell’arte. La ricerca del negativo, propria di quegli anni, trova in Agnetti uno dei suoi massimi esponenti e si svilupperà lungo tutto il suo percorso con modalità espressive e tecniche di volta in volta diverse, all’incrocio tra tecnologia, arte e poesia. E’ un maestro della poetica dell’azzeramento che invita l’operazione concettuale ad entrare paradossalmente in contatto con un mondo visionario e profondamente ancorato alle emozioni. Il medium espressivo per Agnetti è organico al discorso che vuole rappresentare, per questo la sua ricerca sui differenti modi di creare arte, sulle tecniche e sui materiali è così importante: la parola, l’immagine fotografica, la tecnologia manipolata, la carta fotografica esposta e graffiata, la scultura accompagnata alla fotografia e ancora alle registrazioni e ai video, le installazioni, le performance sono sempre utilizzati come supporto del progetto artistico. Artista concettuale che non espone concetti, ma li costruisce e li rende visibili e percepibili all’occhio dell’osservatore, che può decodificare il senso concettuale delle sue opere e che entrando nel suo spazio è invitato attraverso un’operazione concettuale rigorosa a entrare i contatto con un mondo visionario paradossalmente ancorato alle emozioni.
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