Sguardi a fior di pelle
Dal 06 Ottobre 2020 al 25 Ottobre 2020
Milano
Luogo: Centro Culturale di Milano
Indirizzo: Largo Corsia dei Servi 4
Curatori: Roberto Mutti
Sito ufficiale: http://www.milanophotofestival.it
Dal 6 al 25 ottobre, nell’ambito della 15ª edizione di Photofestival, l’importante rassegna dedicata alla fotografia d’autore in corso fino al 15 novembre nella Città Metropolitana milanese e in alcune province lombarde, il Centro Culturale di Milano ospita la mostra fotografica “Sguardi a fior di pelle”.
Curata da Roberto Mutti e realizzata in collaborazione con l’azienda farmaceutica Giuliani, l’esposizione raccoglie oltre 50 opere provenienti da una collezione privata di importanti autori italiani e internazionali che si sono misurati dalla seconda metà dell’Ottocento a oggi con i più diversi generi fotografici. Un percorso che, attraverso stili, approcci, filosofie molto differenti, propone una molteplicità di sguardi che permette di viaggiare nel tempo.
Suddivisa in cinque sezioni - human, nudo, paesaggio, ricerca, urban - la mostra presenta alcune tappe che fanno della fotografia un prodotto dell’ingegno sia dal punto di vista estetico che tecnico, passando dalle stampe all’albumina a quelle all’alogenuro d’argento, dalle tante tecniche del colore alle più recenti legate al mondo digitale, ed è anche in parallelo il racconto della capacità di ogni sistema produttivo di trasformarsi, come Giuliani, che nel video e nel catalogo che accompagnano la mostra celebra la sua storia fatta di innovazioni, dal 1889 ai giorni nostri.
“Giuliani è sponsor orgogliosa di questa mostra che tratta due temi che ci sono cari - dichiara Fabio Rinaldi, Head R&D Giuliani Spa -. La tendenza naturale a innovare che fa parte del DNA di chi non accetta di fermarsi. Un parallelo che accomuna la forma più onesta di trasmissione della realtà quando si parla di fotografia, e per una azienda farmaceutica come Giuliani spa un lavoro costante di ricerca di benessere e risposte terapeutiche. La capacità di puntare lo sguardo verso orizzonti (che ad altri potranno sembrare solo idee) che non vediamo ancora ma che possiamo immaginare concretamente... l’importanza di uno sguardo educato alla ricerca del valore è l’unico modello dentro al quale si può sviluppare un senso di appartenenza che faccia crescere chi partecipa a questo cammino. La verità sta nella foto così come nella ricerca di una risposta per un problema di benessere non ancora risolto. Così oggi Giuliani vi invita a scoprire la bellezza della fotografia, prendete la macchina del tempo e scoprite assieme alla bellezza di uno scatto, e quel che genera, le tappe fondamentali che ci hanno portato ad arrivare fino a qui oggi.”
Roberto Mutti: “Soltanto nel 1999 in Italia alla fotografia è stato ufficialmente riconosciuto il titolo di bene culturale e in questo incredibile ritardo rispetto ad altre nazioni come la Francia e l’Inghilterra sta la ragione della scarsa considerazione che nel nostro paese le si attribuisce. Collezionare opere fotografiche è stata, quindi, fino a pochi anni fa, attività di un numero ristretto di appassionati ognuno dei quali si è costruito un suo personalissimo percorso legato a esperienze, visioni, disponibilità economiche, scelte culturali ed estetiche profondamente diverse. C’è chi ha puntato sulle opere diventate iconiche e chi ha preferito concentrarsi su autori specifici più o meno famosi o magari su opere che raccontano l’evoluzione della tecnica dal dagherrotipo al digitale. Se le raccolte istituzionali di archivi e musei obbediscono a principi tassonomici ben precisi, i collezionisti privati sono in genere onnivori perché si nutrono di sguardi altrui, di esperienze trasformate in opere creative, di viaggi sintetizzai in una sola immagine, di volti ed espressioni, di frammenti di vita catturati per essere condivisi. L’interessante risultato finale è l’eterogeneità che apre un nuovo interessante problema, quello del come raggruppare fra di loro le opere per creare un percorso intrigante.
Nei suoi primi anni di vita quella che venne definita l’invenzione fatale si impiglia nelle sue contraddizioni (destino comune, a ben pensarci, di quasi tutte le scoperte) contrapponendo quanti propugnavano la dettagliatissima e preziosa copia unica del dagherrotipo a chi preferiva realizzare negativi da cui riprodurre diverse copie. L’affermazione di questi ultimi apre la strada all’epoca che Walter Benjamin definì acutamente come quella della riproducibilità tecnica dell’opera d’arte. Già alla fine dell’Ottocento si possono individuare due percorsi paralleli: del primo fanno parte autori come Giorgio Sommer che si dedica alla documentazione di architetture e opere d’arte realizzando immagini di grande precisione richieste anche dalle Accademie di Belle Arti per scopi didattici. Del secondo quei fotografi che provengono dalla pittura e ne sentono l’influenza estetica: Francesco Paolo Michetti si propone per la sua modernità, per la capacità di intuire la crisi dell’arte rappresentativa e le nuove prospettive che la fotografia ormai indica.
L’evoluzione dell’industria che propone fotocamere più maneggevoli apre la strada a documentazioni della quotidianità che al momento sembrava solo notazioni realizzate da un bravo dilettante di pregio come Luigi Chierichetti ma con gli anni diventano testimonianza storica. Il rapporto fra lavoro professionale e ricerca personale trova in alcuni autori degli interpreti ideali: il praghese Josef Sudek realizza paesaggi suggestivi della sua città di cui coglie la dimensione poetica, Gianni Berengo Gardin si segnala come il più grande e coerente esponente italiano di quel tipo di reportage che si rifà all’estetica della photographie humaniste francese, Roberto Polillo lavora giovanissimo nel campo del jazz su indicazioni del padre Arrigo che di questa musica è il più acuto critico e divulgatore. Il dibattito attorno al tema del paesaggio diventa centrale attorno agli anni Ottanta grazie al contributo di alcuni grandi fotografi come Mario Giacomelli che dalla sua Senigallia si proietta verso una più ampia dimensione poetica e Luigi Ghirri che getta uno sguardo oltre la retorica del Bel Paese per proporre una visione fortemente contemporanea. Ciò porta a spostare l’attenzione verso il rapporto con le ricerche artistiche: Franco Fontana, dopo aver prodotto opere di un rigore compositivo vicino all’astrattismo lavora sul tema della luce, Luigi Erba scompone e ricompone i piani nella sua indagine polisemica, Enrico Cattaneo porta all’estremo la sua investigazione metafotografica con opere che sembrano paesaggi e sono invece processi di ossidazione delle carte. Il nuovo secolo apre a prospettive di ricerca che caratterizzano ogni campo così il nudo di Ewa-Marie Johansson privilegia la composizione geometrica, l’attenzione ai particolari di Francesca Moscheni è funzionale a un racconto che si svolge per analogie, l’estro di Nino Migliori sottolinea il rapporto fra realtà e rappresentazione, l’osservazione della luna cara a Edoardo Romagnoli rende creativa la fotografia astronomica, i tagli audaci di Lia Stein trasfigurano le architetture, gli still life di Maria Vittoria Backhaus propongono una riflessione ironica sulla natura mentre quelli di Romana Zambon trasformano oggetti anonimi in suggestive composizioni astratte. La figura umana resta centrale e viene affrontata da Raoul Iacometti con un’indagine sulla flessuosità del corpo, da Silvia Amodio con ritratti in studio di assoluto rigore, da Giancarla Pancera con immagini colte con immediatezza e sguardo intuitivo.
Le fotografie accompagnano l’evoluzione dell’età contemporanea, la rappresentano, la interpretano ma ne sono anche parte integrante. Si può dire che nel corso della sua vita abbia più volte letteralmente cambiato pelle passando dal metallo del dagherrotipo al vetro delle lastre fino agli innumerevoli tipi di carta su cui le immagini sono state impresse. Questa è la ragione per cui una collezione è anche un modo per riflettere su chi siamo.”
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